Una riforma in movimento*

di Luigi Berlinguer
Ministro della Pubblica Istruzione

Tra progetto e quotidianità, La Riforma Gentile, Il Novecento e il programma di Storia, I tempi della riforma.

Tra progetto e quotidianità.
La vicenda storica della scuola italiana è attualmente letta da alcuni, e forse anche da molti, nella prospettiva dell’ansiosa attesa di una sorta di renovatio messianica, dalla quale discende una certa presbiopia progettuale sfortunatamente congiunta ad una notevole miopia operativa.
Accade, insomma che,  da parte di chi vive in questa tensione psicologica, che finisce con l’essere anche sospensione razionale, non si riesca a realizzare il necessario collegamento con l’indispensabile ed insopprimibile realtà della quotidianità scolastica.
Parliamo di presbiopia progettuale perché molte delle tante attività di progettazione che fioriscono nella trama culturale del sistema scolastico, soffrono di una sorta d’effetto proiezione, per cui si finisce con l’immaginarne la piena realizzazione soltanto in tempi lunghi o in qualche caso lunghissimi.
Si pensi, a questo proposito, alle argomentazioni di coloro che sostenevano che soltanto dopo il riordino del sistema scolastico secondario si sarebbe potuto dar luogo alla riforma, pur invocata disperatamente, degli esami di Stato finali e conclusivi del corso di studi secondari superiori.
Tali argomentazioni portavano, in pratica, ad ipotizzare che quell’invocata riforma degli esami fosse operativa almeno dieci anni dopo che ad essa si fosse in qualche modo arrivati sul piano legislativo, poiché questi risultavano, a conti fatti, i tempi tecnici occorrenti per la messa a regime di una ipotesi di riordino totale del sistema scolastico che culminasse e sfociasse nel rinnovo anche delle procedure di verifica conclusiva dei risultati raggiunti dal sistema stesso.
Sulla riforma degli esami di Stato torneremo, comunque, più avanti, per riflettere sulla portata che essi possono avere in termini di incidenza sul rinnovamento dello stesso sistema scolastico.
Ma parliamo anche di miopia operativa, perché proprio nella fase spicciola, banale, quotidiana dell’operare scolastico accade spesso che si verifichino sfasature e ci si aggrovigli in difficoltà che una visione appena più lungimirante e aperta della situazione avrebbe potuto evitare.

La Riforma Gentile.
Proprio in relazione a questa situazione complessiva di non limpida lettura e visione della problematica complessiva del rinnovamento, vuoi in riferimento ad obiettivi a breve o brevissimo termine, vuoi pensando e proponendo risultati a più lunga scadenza, può essere particolarmente utile una riflessione che, magari ancorandosi a qualche realtà storica di riferimento, possa proporsi come ipotesi di sistema, per fare chiarezza su quello che oggi esiste, in tema di rinnovamento della scuola italiana, e su quello che domani, dall’esistente di oggi potrebbe, con buona probabilità progettuale, derivare.
E non si fa certo fatica ad identificare la possibile realtà storica di riferimento nella Riforma Gentile, alla quale occorre riconoscere subito lo status di unico provvedimento legislativo che nella complessità della sua pluriennale articolazione ha inciso in maniera sufficientemente marcata sul sistema scolastico italiano nel corso di quest’ultimo secolo.
Si sarebbe tentati di dire che, prima di fare giustizia  della Riforma Gentile, come qualcuno potrebbe essere tentato di proporre, magari anche soltanto nella prospettiva di uno slancio iconoclasta, è indispensabile rendere giustizia alla Riforma Gentile. E si potrebbe anche essere tentati di dire che il limite di sintesi di quella progettazione scolastica sta, al massimo, nella sua data, nel senso, non revocabile in dubbio, che quello che poteva andar bene nel 1923 (ma la Riforma fu a regime soltanto dal 1928), anche a non voler considerare le peculiarità intrinseche del contesto storico-politico in cui Gentile pensava ed operava, non va comunque certamente bene nel Duemila.
Non è questa certamente la sede adatta per svolgere compiutamente una rassegna degli aspetti caratterizzanti di quella riforma, aspetti abbastanza noti se non per altro, almeno per la loro diuturna presenza nel sistema scolastico. Quello che in questo contesto potrà essere utile ricordare è che la Riforma Gentile impiegò almeno cinque anni, a partire dalla prima acquisizione normativa, per articolarsi nella sua compiutezza, e che gli interventi correttivi si susseguirono in quei cinque anni e nei successivi, senza che la proposta di rinnovamento avesse quella sorta di monolitica compattezza che solo nel tempo e col tempo ha finito con l’assumere.
Va detto, insomma, che se a noi, oggi, nella prospettiva di una lettura “storica” essa appare come un blocco abbastanza compatto dal punto di vista dell’impatto normativo, in realtà quella compattezza venne fuori soltanto attraverso una sorta di stratificazione che è certamente il segno del travaglio esperienziale e decisionale che alla compattezza stessa porta.
Di qui farei discendere in primo luogo un atto di fiducia nel travaglio attuale, nel senso che le difficoltà che si incontrano sul cammino di un processo di rinnovamento, tanto indispensabile quanto faticoso1, vanno forse collocate in una prospettiva di fisiologico superamento delle contingenze storiche e della loro altrettanto fisiologica resistenza alle novità, soprattutto quando queste novità, come nel caso dell’innovazione scolastica, vadano ad incidere in prospettiva diacronica, nei tempi lunghi della vicenda dei cittadini.
Voglio dire che una innovazione registrata nel sistema scolastico produce conseguenze su larga scala: avrà forse bisogno di tempi lunghi per essere assimilata e messa compiutamente in circolo, ma, una volta inserita nel meccanismo operativo del sistema scuola, la sua azione si esplicita a lungo e largamente.


Il Novecento e il programma di Storia.
Uno dei casi più tipici ed esemplari di quanto appena detto lo si può riscontrare nelle dinamiche apertesi a seguito della decisione di considerare il Novecento un luogo privilegiato e insostituibile della formazione degli studenti nell’anno conclusivo dell’ultimo ciclo. Era inevitabile che da quella scelta scaturissero polemiche anche se non sempre il modo con cui esse si sono articolate ha permesso di approfondire quello che era ed è il nesso principale dell’intera questione: il rapporto tra comprensione del passato e analisi del presente, la formazione di una mentalità critica e di una coscienza civile e attenta, la verifica che l’intero curriculum sia orientato tanto all’inserimento nel mondo del lavoro quanto alla partecipazione critica alla vita pubblica come cittadini consapevoli.
La scelta di dedicare alla storia del Novecento l’intero ultimo anno non può essere vista come un semplice appiattimento verso il presente dello studio della storia. Resta centrale, in questa disciplina, la globalità dell’approccio diacronico: che s’integra del resto perfettamente con il mantenimento di una forte presenza della cultura classica, medievale e umanistica in altre fondamentali materie del ciclo superiore.
La necessità di affrontare in modo più completo e globale la storia del Novecento è nata da una duplice esigenza: superare il limite ormai anacronistico della seconda guerra mondiale come termine ad quem del programma reale — nel migliore dei casi — dell’ultimo anno; spingere gli insegnanti a un’opera di aggiornamento e di maggiore sensibilità interdisciplinare coerente proprio con le esperienze compiute da una minoranza degli stessi nella sperimentazione compiuta nell’ultimo decennio. Che si sia trattato di una scelta attesa e necessaria, del resto, lo attestano proprio le decine di corsi di aggiornamento che hanno visto impegnati migliaia di insegnanti in ogni parte d’Italia; corsi che hanno permesso un confronto e un rapporto proficuo tra il mondo della scuola e quello dell’università e della ricerca.
La scuola non può restare alla retroguardia della formazione storica delle coscienze, non può ignorare i processi di costruzione del senso comune storiografico che i mass-media sollecitano e attuano con modalità spesso strumentali e sempre superficiali ma che lasciano comunque un segno indelebile nelle convinzioni e nella trasmissione di paradigmi interpretativi. Non si tratta, ovviamente, di proporre delle verità storiche condivise su temi su cui la stessa analisi storica è lungi dall’aver trovato giudizi comuni: ma di innescare un ripensamento critico, metodologicamente e teoricamente agguerrito, capace di affrontare la complessità delle problematiche che sono dentro a ciascuna delle grandi questioni del Novecento.
Soltanto se e quando ci saremo messi compiutamente e chiaramente d’accordo su quello che tutti i cittadini debbono possedere a livello di strumenti della conoscenza, potremo rendere meno prescrittivi, vincolanti, cogenti i programmi scolastici. Solo allora potremo proporre un modello di scuola degli obiettivi, in alternativa secca alla scuola dei programmi, per arrivare a far uscire dal sistema giovani ai quali possiamo serenamente chiedere di mettere in campo le loro capacità, perché quelle capacità la scuola gliele ha date.

I tempi della riforma.
Non è questa la sede per passare in rassegna le caratteristiche e le peculiarità della proposta normativa di riassetto totale del sistema scolastico italiano. Voglio dire soltanto che, al di là delle integrazioni e correzioni che il parlamento vorrà apportare, auspicabilmente senza snaturarlo, il progetto disegna con sufficiente snellezza la scuola italiana degli anni Duemila, una scuola che recuperi uno spazio attualmente piuttosto poco valorizzato, quello terminale della scuola materna, che riorganizzi il ciclo primario, dandogli più spazio, che ponga al centro anche temporale del processo l’orientamento dei giovani, attraverso l’anno di orientamento generale, il biennio di orientamento mirato e la netta caratterizzazione del triennio.
C’è una cosa, apparentemente marginale, che mi piace sottolineare a proposito di questa ipotesi di riordino dei cicli scolastici: un avvio realizzato secondo le prospettive tradizionali con l’inizio dal primo anno e la successiva crescita fisiologica, se così si può dire, delle classi rinnovate, richiederebbe tredici anni per la messa a regime piena e totale. Non credo di esagerare se dico, a questo punto, che probabilmente al traguardo del tredicesimo anno, sugli anni iniziali del corso si registrerebbe già la necessità di qualche correttivo rinnovatore.
Ed è questo un caso tipico di presbiopia progettuale, che abbiamo cercato di correggere, prevedendo la possibile messa a regime con partenze simultanee da quattro livelli: quello iniziale della scuola materna, uno intermedio nel ciclo primario, un altro a livello iniziale del ciclo secondario ed un quarto livello di seconda parte dello stesso ciclo secondario. Il che implica che, una volta accettato questo sistema, nel giro di tre anni dal suo avvio la riforma sarebbe completamente a regime.
Autonomia e rigenerazione della scuola.
Fare, a questo punto, previsioni sull’evoluzione prossima e remota della situazione scolastica italiana è attività da cui rifugge l’impegno culturale ed anche quello politico, con riferimento ai troppi fattori imponderabili che governano la realtà socioculturale in generale e quella scolastica in particolare.
C’è però la possibilità di fare almeno una riflessione: lo stato di sclerotizzazione del sistema era giunto ad un livello tale, nel momento in cui s’è messo mano all’autonomia scolastica, che continua ad apparirmi il collante di tutte le problematiche innovative, il brodo di coltura di tutti i positivi germi della crescita culturale del sistema educativo italiano, che un ulteriore indugio avrebbe forse di quel sistema segnato il collasso.
Di qui discende la certezza di una sorta di inarrestabile processo rigenerativo: una scuola attraverso la quale sta passando la ventata ossigenatrice dell’autonomia non potrà non essere anche una scuola nella quale la catena di reazioni alla staticità normativa si metterà in moto inarrestabilmente.
Si pensi anche alle spinte rinnovatrici che pulsano all’interno del sottosistema delle sperimentazioni, un sottosistema che s’è tentato, riuscendovi in gran parte, di disciplinare senza soffocarlo, attraverso opportune e meditate restrizioni nell’ambito delle autorizzazioni, ma che continua a costituire il grande polmone dell’innovazione, opportunamente verificata sul campo prima ancora di sistemarla nella organicità di un regime normativo.
Al parlamento italiano, sotto la spinta propositiva del governo, spetta in questo momento il compito e la responsabilità di non frustrare queste spinte rinnovatrici, determinando invece le condizioni più positive per la loro maturazione ed organica definizione.

*Riprendiamo da "Italia Contemporanea" n. 214 questo intervento del Ministro della P.I. on. Luigi Berlinguer. "Italia Contemporanea" è la rivista trimestrale dell'INSMLI (abbonamento annuo £ 100.000, abbonamento annuo per insegnanti e soci della rete degli istituti associati all'INSMLI £ 75.000;  ccp 77228005 intestato a: Carocci editore, via Sardegna, 50 - 00187 Roma), stampata e distribuita da Carocci editore (e-mail: carocci.riv@swen.it).

 

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