Il naufragio

 

 

Girando per archivi di scuole della mia città, l’immagine che di frequente mi viene alla mente è quella del naufragio: pochi e  mal conservati  reperti stanno a significare ciò che non c’è più,  andato perduto o trafugato. Ciò che è rimasto spesso è raccolto alla rinfusa  in una stanza- deposito dove si accumulano, accanto alle carte d’archivio, strumenti didattici obsoleti, mobilio rotto, vecchi libri. Stanze di cui spesso si perde la chiave ( potrei raccontare di presidi che hanno buttato giù la porta a spallate) o che bisogna disinfestare prima di mettervi piede. Raccolti  e ricomposti i reperti sparsi qua e là , si  possono fare interessanti scoperte: ricostruire ad esempio il sistema metrico decimale e i pesi e misure, di cui le scuole vennero dotate all’inizio secolo XX, una “lanterna magica” con relativi vetrini per proiezioni di carattere geografico o scientifico, una carta geografica dell’Africa con l’indicazione dell’Impero italiano, un corpo umano smontabile e rimontabile per lezioni di anatomia, una tipografia “Freinet” per stampare giornalini, una pila di dischi 45 giri degli anni ’60 e giradischi coevo perfettamente funzionante che ci restituisce la voce roca di Patty Pravo, “Tu mi fai girar come fossi una bambola”….

Gli archivi scolastici tuttavia sono diversissimi tra loro per quantità e qualità di materiali reperibili e la visita di ognuno rappresenta un’ avventura: scoperta di piccoli “tesori” o  deludente nulla. Vi sono scuole che sono esse stesse pezzi di storia e di cultura cittadina: conservano il laboratorio scientifico attrezzato con strumenti  ottocenteschi (raramente catalogati) o una biblioteca storica contenente volumi preziosi frutto di donazioni di professori e filantropi. Ci sono scuole in cui tutto o quasi è stato buttato o trafugato e non ci si stupisca, girando per  mercatini delle pulci o dell’antiquariato, di trovare oggetti di cancelleria, libri e quaderni provenienti da archivi scolastici. Tanto è andato disperso o è stato buttato negli ultimi decenni in seguito a restauri, traslochi, accorpamenti. Tutto questo per dire che, almeno fino a non molto tempo fa, la scuola è stata smemorata di se’ stessa, non si è pensata come produttrice e conservatrice di memoria,  deposito di tracce delle persone che l’hanno abitata nel tempo, non ha elaborato una pratica della conservazione oculata di ciò che produce e una visione critica dei suoi cambiamenti e persistenze nel tempo. Nell’archivio scolastico – quando c’è – si conservano le carte prodotte dalla vita istituzionale della scuola, della segreteria e della direzione: il protocollo, la parte amministrativa, i fascicoli degli alunni e degli insegnanti, i registri, i verbali delle riunioni, le circolari. Carte sparse o raccolte con criteri diversi fino al 1927, dal 1928 classificate con direttive ministeriali.

Non esiste l’archivio didattico, tutto quel materiale prodotto dalle pratiche didattiche di insegnanti e allievi. Compiti in classe, quaderni dove bambini e bambine hanno imparato a scrivere, programmazioni e relazioni degli insegnanti, si sono conservati per caso, sfuggiti, a volte grazie a una svista,  alle periodiche pulizie dettate da esigenze di spazio che hanno salvato però le “Gazzette ufficiali” . Fa riflettere il fatto che la scuola non abbia avvertito l’importanza di documentare i propri percorsi, progetti, attività. Singoli insegnanti hanno conservato una memoria privata – e custodiscono gelosamente quaderni, fotografie, scritture - , non hanno elaborato una memoria della comunità scolastica. L’idea che se ne ricava è di un vissuto scolastico tutto volto al presente, senza pensare al futuro.

Nella scuola dell’autonomia penso spetti agli insegnanti porsi il problema dell’archivio didattico: che cosa e come conservare? Solo le scritture e gli elaborati prodotti con finalità burocratica o valutativa, o anche scritture libere, diari, poesie, lettere, articoli, disegni, cartelloni? E che fare di Cd-rom, video, fotografie? Scrive Maria Bacchi, acuta conoscitrice della memoria dell’infanzia: “Quali adulti si assumono il compito di archiviare le tracce della soggettività in divenire di bambini e adolescenti?”