Quale memoria per il 27 gennaio?
Giuliana Bertacchi

 

 Non mi propongo un bilancio delle iniziative che hanno visto coinvolti, in veste di promotori o attivi partecipanti, gli Istituti in occasione della Giornata della memoria del 27 gennaio 2001. Un censimento ragionato e soprattutto critico, base indispensabile per un bilancio serio, richiederebbe una ricerca di notevole respiro, allargata alle realtà territoriali e culturali in cui gli Istituti operano: proporre Schindler’s list piuttosto che Shoah o Notte e nebbia può avere un senso in una determinata realtà, all’interno di determinati percorsi o per avviare itinerari di riflessione e di coinvolgimento, oppure, all’opposto, può essere un ripiego, una scelta riduttiva, perdente o semplicemente sbagliata. Al primo quadro informativo che qui presentiamo, vorrei premettere, anziché un bilancio provvisorio e per forza di cose generico e un po’ astratto, una proposta di riflessione e di dibattito. 

Il 27 gennaio: l’occasione ufficiale, i suoi limiti, le sue opportunità 

 Molti (e anche molti di noi) hanno colto l’occasione dell’ufficialità conferita dalla legge alla ricorrenza per reclamare spazio alle iniziative sulle tematiche dell’insegnare Auschwitz. Hanno fatto, abbiamo fatto benissimo, e questo bisognerà continuare a fare con molta determinazione. Ma la legge dà una più ampia opportunità, da cogliere fino in fondo, con altrettanta determinazione, vale a dire la considerazione della memoria, oltre che della shoah, delle leggi razziali e della persecuzione italiana dei cittadini ebrei, della deportazione politica e militare, dell’opposizione allo sterminio e alle persecuzioni.

 Il testo della legge, dunque, può suggerire un itinerario che porta dentro la storia italiana (e questo in verità è stato l’intendimento dei proponenti), pur essendo stata scelta la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, a differenza di quanto avvenuto in Francia, dove la Giornata del ricordo, fissata il 16 giugno, indica la ricorrenza della grande rafle del Vélo d’hiver, spostando decisamente la prospettiva dalle colpe della Germania nazista alle responsabilità di Vichy e dei francesi.

 Il testo della legge italiana, però, non compie esplicitamente questo passo, (e, del resto, come notava a suo tempo Michele Sarfatti, non contiene il termine fascismo, né indica l’ideologia dei persecutori), tuttavia consente di compierlo. E’ un passaggio obbligato, se non si vuole cadere nel “paradosso della commemorazione” (“tener desto il ricordo significa aggirare la sua istituzionalizzazione”, scrive al proposito Paolo Jedolwski), in altre parole, se non si vuole ridurre il ricordo all’ufficialità della commemorazione, con tutti i guasti del caso, ampiamente compiuti, come ben sappiamo, per la memoria della Resistenza.

 Andare oltre la commemorazione

 La Giornata della memoria del 27 gennaio non è stata universalmente accolta, secondo lo spirito e la lettera della legge: varrà la pena ricordare, del resto, che, nonostante l’approvazione all’unanimità con pochissimi astenuti, si era tentato di annegarne il significato nel generico ricordo delle vittime di “tutte le ideologie oppressive” senza limiti di tempo, “prima, durante e dopo la guerra 1939-1945” (disegno di legge Terracini, Vegas, Rotelli), con il fine non esplicitato, ma trasparente, di negare l’unicità della Shoah e di introdurre la revisionistica normalizzazione con gli “altri” massacri e orrori del secolo, dal GULag alle foibe.

 Nel paese, analogamente, si sono verificati atteggiamenti di rifiuto, di indifferenza, da parte di istituzioni pubbliche e scolastiche, persino di iniziative ispirate al più sfacciato revisionismo, mentre in moltissimi altri casi sono stati enti e associazioni - in prima fila i nostri Istituti – a progettare, organizzare, realizzare un fitto calendario di incontri, realizzazioni, manifestazioni rivolte soprattutto alle scuole. In tutti queste situazioni, si è rivendicata la necessità di rispettare e applicare correttamente una legge che intende agire nella formazione della memoria collettiva e della formazione dei cittadini e questo rimane un punto di forza, anche per il futuro.  

Usi e abusi della memoria

 Per andare oltre i rituali della commemorazione, per non limitarsi a reclamare lo spazio dell’ufficialità commemorativa, occorre dunque affrontare con piena consapevolezza i temi complessi della memoria e i suoi rapporti intricati e conflittuali con la storia.

 Gli abusi delle memoria non sono una prerogativa di revisionisti e nostalgici del fascismo, dobbiamo guardarcene tutti, a partire dall’abuso del testimone, che si verifica quando gli si affida un messaggio soltanto emozionale, dimenticando che il racconto dell’orrore non vaccina dall’orrore (sarà utile rileggere in proposito le pagine de L’era del testimone di Annette Wieviorka), o affidandogli la diretta responsabilità etico-pedagogica, che fa parte invece degli ardui obiettivi dell’azione formativa nel suo completo e complesso dispiegarsi, o ancora sostituendo l’impatto diretto con il racconto dell’esperienza autobiografica individuale – così importante e centrale per la costruzione del senso storico – all’approccio con i piani, i problemi, le comparazioni, le periodizzazioni della storia.

 Bisogna evitare quelle che Todorov definisce “le Scilla e Cariddi del lavoro della memoria”, vale a dire la sacralizzazione e la banalizzazione, processi questi che si possono insinuare - al di là delle buone intenzioni – in forme sottili e striscianti, non sempre avvertite da docenti e operatori culturali.

 E’stato più volte e da tempo osservato come Auschwitz rischi di essere presentato quale simbolo del male assoluto, inevitabile, fatale, avulso dalla contestualizzazione storica e dalle precise scelte e azioni quotidiane di uomini e donne “comuni” (l’uso stesso del termine olocausto al posto di sterminio è indizio significativo in tal senso), mentre basta riflettere sulla disinvolta generalizzazione del termine genocidio per rendersi conto degli esiti della banalizzazione, in termini di pura e semplice omologazione, che distorce e rende incomprensibili i diversi eventi, del passato e del presente.

 Il nesso tra memoria e responsabilità e quello tra memoria e identità nazionale ci riportano al discorso iniziale: la Shoah, le persecuzioni, le deportazioni dei militari e dei politici non sono crimini soltanto della Germania nazista. Gli italiani hanno precise e grandi responsabilità, a partire dalle leggi razziali, dalla loro applicazione, dalla collaborazione attiva e passiva alla macchina tedesca dello sterminio. Se apriamo il capitolo della deportazione politica e militare, il discorso dell’esame di coscienza” si fa più fitto e stringente, intrecciandosi ai caratteri costitutivi, repressivi e violenti del fascismo, a quelli della guerra fascista, alla tragedia dei soldati italiani abbandonati al loro tragico destino l’8 settembre.  Torna d’attualità l’ammonimento che Alessandro Cavalli formulava qualche anno fa, a proposito della mancata trasmissione ai giovani della memoria del fascismo: “ Se veramente non vogliamo che le giovani generazioni crescano nell’oblio di quanto è accaduto in Italia, in Europa e nel mondo nell’arco di quella prima drammatica metà del ventesimo secolo, dobbiamo avere il coraggio di scavare nella memoria, impietosamente, tutto quanto è stato rimosso e di riportarlo alla luce”.

Una storia italiana al posto del “buon italiano” 

 La Giornata delle memoria si propone di ricordare anche, oltre alla vittime, coloro che si sono opposti, che hanno avuto il coraggio e la dignità di rifiutare la logica aberrante del fascismo e del nazismo. E’ più che giusto, dal punto di vista storico e da quello etico (vorrei ricordare almeno la conclusione a cui giunge Zigmunt Bauman, nel suo Modernità e olocausto: non dimentichiamo mai che c’é stato chi ha anteposto il dovere morale all’imperativo dell’autoconservazione), ma, se scindiamo questo aspetto dalla linea d’indagine sopra indicata, corriamo un altro rischio, quello di ricadere nello stereotipo assolutorio del “buon italiano” e di portare acqua a un mito tra i più radicati, mistificanti e camaleontici.

 Ecco allora che si apre una prospettiva in cui storia e memoria possono trovare adeguata collocazione, specie attingendo al ricco patrimonio di esperienze e riflessioni, alla mole di studi e documenti della rete degli Istituti. La memoria delle responsabilità gravissime e dei crimini commessi dagli italiani non si compensa ricordando Giorgio Perlasca o Giovanni Palatucci (che pure vanno ricordati), ma va inserita in un percorso, di storia e di memoria, che comprende l’8 settembre e la scelta “chiara e difficile” che porta alla Resistenza, il 25 aprile che è la Liberazione dal fascismo sconfitto (giova ripeterlo, in tempi di equiparazioni galoppanti), il 2 giugno che è la nascita della Repubblica e l’avvio della Costituzione repubblicana.

 Su questo percorso, scavando anche nelle zone d’ombra della rimozione e dell’oblio, riaffrontando anche i conflitti più dolorosi e incresciosi, possiamo (vorrei dire dobbiamo) offrire elementi perché nelle scuole si realizzino iniziative e attività coinvolgenti, capaci di diventare esperienza dei ragazzi e quindi materiali per la costruzione della loro memoria del passato.

[gennaio 2001]