Le considerazioni che seguono
possono essere lette come un commento a tre eventi accaduti in queste ultime settimane,
certo limitati in sé, ma significativi per cogliere la complessità delle questioni
ideali, culturali e politiche che si agitano nello spazio della memoria del passato.
Il primo di questi eventi è la condanna
inflitta allo storico David Irving, noto per le sue posizioni più vicine al negazionismo
che al riduzionismo in merito alla Shoah, da un tribunale
inglese, al quale egli si era rivolto intentando una causa per diramazione nei confronti
di una sua collega che lo aveva esplicitamente accusato di filonazismo. Il tribunale ha
invece riconosciuto la fondatezza delle accuse rivolte a Irving, declassando il riduzionismo/negazionismo
dal novero delle teorie storiografiche che si confrontano e scontrano liberamente nel
campo della ricerca scientifica, a quello assai più modesto, ma non per questo meno
pericoloso, delle controversie ideologiche e politiche.
Con l'assenza di sfumature che
contraddistingue una sentenza, il tribunale di Londra ha fatto chiarezza su di un problema
cruciale attorno a cui si era in questi anni dipanata una discussione spesso fumosa tra
gli storici: il riduzionismo/negazionismo rappresenta un modello assolutamente
improprio e inaccettabile di storicizzazione dei più sconvolgente evento della storia
contemporanea. Esso trasforma il tentativo di opacizzare lo sterminio nella memoria
europea, che costituisce l'essenza culturale del revisionismo storiografico e del suo
disegno di relativizzarne l'unicità, attraverso una esplicita accusa allo stato di
Israele e ai vincitori della seconda guerra mondiale: essi avrebbero consapevolmente e
pretestuosamente assunto una delle tante barbarie commesso in Europa durante il conflitto
a simbolico monumento del male assoluto per riversare sul vinto - la Germania - una
condanna terribile e inespiabile attraverso una sorta di eterna damnatio memoriae.
Attraverso la negazione/riduzione della Shoah
si va ben oltre lo sforzo del revisionismo di "normalizzare" il passato -
come ha notato qualche anno fa Pier Paolo Poggio (1) - per
rendere possibile una impossibile elaborazione del lutto inferto dallo sterminio alla
memoria tedesca; si tenta attraverso cervellotiche operazioni storiografiche,
astrattamente dotate di un loro senso tecnico - enfatizzando ad esempio il fatto che non
siano state ritrovate fonti certe che documentino l'ordine di Hitler di avviare lo
sterminio - di spezzare il nesso, invece indissolubile, tra il totalitarismo nazista e la
soluzione finale, con l'intento dichiarato di ridurre l'Olocausto a una
"narrazione" di parte, elaborata per legittimare le pretese ebraiche ad uno
stato in Terra santa.
La corte di Londra ha negato a questa
operazione la dignità di ricerca storica, per rubricarla nell'elenco dei ricorrenti
tentativi di rivalutare il nazismo, e quindi in un campo assai più prossimo all'apologia
di reato (e di quel reato che oggi sta diventando il più grave nella coscienza europea),
quello contro i diritti umani. Una sentenza ha quindi sorprendentemente delimitato il
campo possibile delle revisioni storiografiche, ponendo un argine tra quelle che si
possono legittimamente perseguire e quelle che invece vanno condannate e impedite perché
costituiscono una manipolazione indebita della memoria collettiva: non solo un'offesa ai
morti e ai sopravvissuti al lager, ma il tentativo di fondare l'identità
dell'Europa uscita dall'età dei totalitarismi su di un nuovo "senso comune" che
ne attenui le responsabilità e ne occulti gli orrori, esplicitamente antagonista alla
memoria "antifascista" e democratica, che aveva trovato, proprio nella condanna
inappellabile dello sterminio degli ebrei, il suo fondamento essenziale.
1 giudici inglesi hanno quindi fatto
emergere quel filo "nero" che sotterraneamente lega la proliferazione di gruppi
neonazisti soprattutto in Germania e in Austria, le ricorrenti profanazioni delle tombe
ebraiche, la ricomparsa della xenofobia e del razzismo nel bagaglio ideale di movimenti e
partiti politici - il caso Haider insegna - con un lavoro storiografico spregiudicato e
aggressivo che si è incaricato di fornire una ricostruzione del passato e una
rielaborazione della memoria funzionali, più che a rivalutare il nazifascismo, a
svalutare l'antifascismo e reciderne i suoi indissolubili rapporti con la rifondazione
dell'Europa democratica dopo il 1945: negare l'Olocausto significa in sostanza dimenticare
da quali abissi la libertà e la cittadinanza democratiche provengono.
Note
1 Pier Paolo Poggio, Nazismo
e revisionismo storico, Roma, Manifestolibri, 1997, pp. 231-233.2 torna
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