Ultimo
evento su cui riflettere riguarda la discussione della Commissione affari costituzionali
sulla proposta del deputato di Alleanza nazionale Menia di concedere un riconoscimento ai
congiunti "di coloro - recita il testo della proposta di legge - che dall'8 settembre
1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle provincie dell'attuale confine
orientale sono stati soppressi o infoibati [...] Agli infoibati sono assimilati, a tutti
gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone sono stati
soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato in qualsiasi modo
perpetrati".
Il provvedimento proposto a prima vista è
ineccepibile, in quanto quella delle foibe è stata una delle pagine più oscure della
guerra sul confine orientale e della Resistenza italiana: prevedere un risarcimento
postumo delle vittime è dunque una scelta in sé condivisibile. Ma il provvedimento non
si ferma qui e, come si evince dalla seconda parte del testo riportato, si tenta di
assimilare alle vittime delle foibe i caduti delle forze fasciste che combatterono contro
la resistenza italiana, croata e slovena.
Dietro un provvedimento in apparenza
umanitario si delinea un nuovo tentativo di riscrivere la storia, assegnando ai fascisti
di Salò, che operarono nelle formazioni militari sotto il diretto comando nazista e
morirono nelle azioni di guerra contro le forze resistenziali nella Zona di operazioni
litorale adriatico - così si chiamava il confine orientale - la patente di vittime uccise
dal partigianato comunista.
Questa tesi non è nuova: costituisce
infatti la riproposizione delle tesi sostenute dai circoli culturali e reducistici
neofascisti, che da cinquant'anni tentano di accreditarla, in nome di un'altra memoria
della guerra e della lotta di Liberazione che rivendica il suo spazio e le sue presunte
verità. Risulta quindi davvero sorprendente che nel Parlamento della Repubblica nata
dalla Resistenza, si possa accogliere una tesi tanto infondata quanto aberrante e farla
diventare il presupposto ideale di un progetto di legge che tocca una materia tanto
delicata e complessa. La sorpresa diventa sgomento quando si legge che il relatore della
legge è lo storico Domenico Maselli dei Democratici di sinistra e che il Presidente della
Commissione, Rosa Russo Jervolino, ha accettato e fatto proprio questo progetto di legge.
Evidentemente nessuno si è accorto della
gravità di questo provvedimento che, attraverso il tentativo lodevole di manifestare la
solidarietà dello Stato democratico alle vittime innocenti e ai loro congiunti,
legittimava un'operazione politica e culturale inaccettabile, che cozza non solo con la
memoria antifascista di milioni di italiani, ma anche con i risultati della ricerca
storica più avvertita.
Il fenomeno dell'infoibamento è stato un
prodotto terribile della lunga guerra tra fascisti e jugoslavi che si verificò nella
Venezia-Giulia, in un arco di tempo che coprì quasi tutto il ventennio della dittatura e
che trovò il suo acme in due momenti specifici della seconda guerra mondiale, l'autunno
del '43, dopo il collasso dello Stato italiano successivo all'8 settembre, e la primavera
del '45 dopo la caduta del III Reich e la fine della dominazione tedesca su quella
parte del territorio italiano. In questi due periodi si scatenarono successive ondate di
violenza contro gli italiani promosse dalle forze jugoslave che in parte si proposero
così di vendicare le repressioni e le persecuzioni subite dal fascismo, equiparando tutti
gli italiani con il regime di Mussolini, in parte puntavano ad assumere il controllo
politico-militare di quei territori in una logica di espansionismo territoriale. Non si
può negare che in questo contesto emersero nelle forze partigiane italiane atteggiamenti
divergenti e che soprattutto i comunisti, nel loro intento di solidarizzare con l'esercito
di liberazione jugoslavo impegnato nella Resistenza antitedesca, entrarono in rotta di
collisione con le altre forze antifasciste animate dalla volontà di difendere contro la
Jugoslavia gli interessi dell'Italia e degli italiani, fino al punto di uscire dal Clnai e
di entrare in conflitto con le altre componenti della Resistenza.
La ricerca storica ha altresì messo in
luce come tra gli infoibati siano presenti figure sociali e politiche diversissime tra
loro: da cittadini inermi vittime di vendette e rappresaglie a esponenti più o meno
significativi dei fascismo locale, da antifascisti ritenuti scomodi dal comando jugoslavo
a pubblici ufficiali.
Tutte queste sono questioni storiche
aperte, campo di numerose controversie storiografiche tuttora in corso nello sforzo di
fare luce su vicende e problemi della guerra e della Resistenza sul confine orientale per
troppo tempo lasciate in un cono d'ombra.
Ma in ogni caso vi è una distanza siderale
tra l'infoibamento degli italiani e la violenza che accompagnò la sanguinosa guerra
civile tra antifascista e fascisti sul confine orientale e nell'Italia tra il '43 e il
'45; essa aveva una origine ben precisa, costituita dalla guerra scatenata dalle forze
dell'Asse per assoggettare l'intera Europa al dominio nazifascista. In tutto il continente
si aprì una lotta mortale tra fascismo e antifascismo la cui posta era il destino
di milioni di uomini e di donne di fronte a un terribile dilemma, se vivere nella
libertà, nell'indipendenza nazionale, nella democrazia o vivere nel nuovo ordine
totalitario sognato da Hitler e da Mussolini. Di fronte a questo dilemma si trovarono
anche gli italiani che, scegliendo, si divisero tra quanti continuarono a militare sotto
le insegne dei fasci e della croce uncinata e quanti invece scelsero di militare nella
Resistenza antifascista.
La storia ha dato ragione a questi ultimi
che hanno ricostruito un continente disintegrato da una spaventosa guerra totale,
dotandolo di libere istituzioni democratiche che hanno consentito anche ai perdenti di
coltivare le loro memorie e di partecipare alla vita civile e politica: ora sarebbe
imperdonabile che la Repubblica nata dal quella lotta glorificasse e decorasse come
vittime chi ha combattuto non solo con determinazione, ma spesso con ferocia, dalla parte
del nazifascismo. Riconoscere la memoria dei vinti, rispettare i morti di tutte le parti
non può significare, in nessun caso, dimenticare da quale parte stavano quei valori di
libertà, di eguaglianza, di tolleranza di rispetto della persona, che costituiscono i
principi su cui si è venuta faticosamente rifondando l'identità europea dopo la barbarie
del fascismo.
Ma c'è di più; quella proposta di legge
si colloca nel solco di un tentativo condotto da diverse componenti culturali e politiche,
che fanno riferimento alla destra italiana, di mettere sullo stesso piano vinti e
vincitori, in nome di una pretestuosa riconciliazione nazionale con lo scopo non già di
realizzare una impropria e inutile "pacificazione" degli italiani, ancora divisi
dall'eredità della guerra civile, quanto piuttosto di infrangere il rapporto tra
antifascismo e democrazia repubblicana. In questo schema politico la democrazia non
scaturisce dalla frattura traumatica e sanguinosa con la dittatura, ma trova altrove i
suoi fondamenti; essa si è formata "a prescindere" e "nonostante" la
Resistenza, per l'agire esclusivo di fattori esterni prevalentemente di natura
internazionale. In questo quadro, la lotta di liberazione rimane un episodio di
"guerra civile" tra fascisti e comunisti.
Negare questa semplificazione non comporta
rifiutare, o peggio rimuovere - come spesso è accaduto nel campo antifascista -, la
complessità, anche contraddittoria, del fenomeno resistenziale come anche la vicenda
delle foibe mette in rilievo; non significa, cioè, negare che nell'azione antifascista
non vi fossero elementi e comportamenti propri di una "guerra civile"; questi
però non possono essere espunti da un processo storico assai più articolato e profondo
che resta evento decisivo per i destini futuri della nazione, perché in esso prese corpo
la nuova coscienza civile che ha saputo esprimere la Costituzione repubblicana su cui si
fonda la democrazia in Italia.
Se si rompe il rapporto tra democrazia e
antifascismo la Repubblica resta senza un atto fondativo in grado di legittimarla e priva
di una memoria plausibile su cui plasmare la sua identità."La lotta per il controllo
del passato", come quindi scrisse anni fa Nicola Gallerano con una preveggenza
straordinaria, passa appunto da qui: dalla ricerca ossessiva di un'alternativa possibile
alla Resistenza come mito fondatore della Repubblica e l'iniziativa della Commissione
affari costituzionali va, chissà quanto inconsapevolmente, nella direzione di assegnare
all'anticomunismo questo ruolo identitario a suon di medaglie ai parenti dei
repubblichini: forse tra poco invece del 25 aprile saremo chiamati a festeggiare il 18
aprile.
|