Storia e memoria

La percezione e l’insegnamento della contemporaneità implicano quindi la consapevolezza delle trasformazioni radicali che interrompono la continuità con il secolo precedente, e ciò significa in ultima analisi essere presenti alle contraddizioni del proprio tempo. Lo sviluppo della civiltà virtuale e multimediale ha prodotto un’accelerazione della storia, un consumo rapido del presente che ha segnato una rivoluzione dal punto di vista mentale e cognitivo. Su questo nodo centrale molto si era discusso in un convegno organizzato nell’ottobre del 1997 dall’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza. In quella occasione Marino Sinibaldi proponeva un ripensamento specifico del rapporto fra storia e memoria. La crescente egemonia audiovisiva, osservava, ha allargato la possibilità di conservare gli avvenimenti ma ha prodotto anche mutamenti più profondi. L’accumulo rapido delle conoscenze rischia di cancellare differenze, distanze e gerarchie producendo un indebolimento della storicità: l’eccesso di memoria può portare dunque all’arresto del tempo e alla diffidenza verso la trasformazione. Il pericolo principale ‹‹non è la perdita o la cancellazione, bensì il fatto che la memoria come l’abbiamo considerata e coltivata finisca per condizionare e ridurre la duttilità e la elasticità necessarie per far fronte ai mutamenti continui della realtà e al continuo confronto con le novità e le diversità. (..) Qualunque apertura al nuovo presuppone invece operazioni di smantellamento e di emancipazione dalla stringente continuità della memoria.››

Alessandro Cavalli, in quella stessa occasione, ha parlato del rischio di una "sindrome di presentificazione" che produce frammentazione del tempo storico e fa cadere la progettualità di lungo periodo. Sono tutti fenomeni che attraversano il mondo giovanile, ampiamente documentati dalla ricerca sociologica degli ultimi anni, e che costituiscono il terreno problematico in cui lavorano gli insegnanti.

Consumo veloce delle informazioni e pericolo di oblio: anche Todorov si è interrogato a lungo su questi temi per capire gli intrecci profondi della memoria e stigmatizzarne gli "abusi". La sua convinzione è che ‹‹la memoria non si oppone per niente all’oblio. I due termini in opposizione sono la cancellazione (l’oblio) e la conservazione; la memoria è, sempre e necessariamente, un’interazione dei due.››

Dunque la memoria come selezione: conservare significa in ultima analisi scegliere, una questione centrale anche per l’insegnamento, se si vuole che il rapporto tra presente e passato sia un fattore dinamico per la formazione storica e per l’assunzione di responsabilità.

Se gran parte del Novecento ha cercato di cancellare la memoria, che sembra sempre più essere intaccata dalla contemporaneità, la fine del secolo ha vissuto invece una "sorta di passione della memoria" che, secondo Anna Rossi-Doria ‹‹è divenuta oggetto di un vero e proprio culto (..) Le cause di questo cambiamento, di questo vero e proprio capovolgimento del rapporto con il passato sono state di recente individuate nella chiave di un vuoto di identità che il nuovo culto della memoria andrebbe a colmare.››

Memorie individuali e collettive, storia e testimonianze sono questioni cruciali per la storiografia e per la scuola, ma soprattutto rappresentano elementi costitutivi della percezione storica del presente. E’un presente che Annette Wieviorka definisce "l’era del testimone": un’era in cui il pericolo è dato dalla "americanizzazione della memoria" e dalla destoricizzazione della testimonianza. La Wieviorka si riferisce in particolare alle iniziative connesse alla "Visual History Fondation" di Spielberg, ma il suo è un monito diretto anche alla scuola affinché non confonda la carica di emotività del racconto diretto con la conoscenza storica. ‹‹Il testimone si rivolge al cuore e non alla ragione›› mentre lo storico ‹‹sente che questa giustapposizione di storie non è un racconto storico, e che anzi, in un certo senso lo cancella››. La Wieviorka conclude questa riflessione con un richiamo al lavoro storico ‹‹quando il tempo scolorisce le tracce, resta l’iscrizione degli eventi nella storia che è l’unico avvenire del passato.››

In questo passaggio di millennio il rapporto tra storia e memoria va riproposto con rinnovata consapevolezza, soprattutto se la memoria è finalizzata ad "attualizzare" il passato - come sostiene Leonardo Paggi riflettendo su Benjamin: ‹‹Il sapere storico, facendosi rammemorazione, rompe il tempo lineare per ritrasformare i fatti in significati, e includere in questa via, dentro se stesso, un sapere etico.››

Se la memoria è strumento importante per la conoscenza del passato e per un suo ripensamento, è indispensabile anche saperne riconoscere gli usi "distorti", la sua utilizzazione per formare identità di gruppo politicamente orientate o identità aggressive ed esclusive. I "conflitti di memorie" sono infine un altro terreno di analisi per misurarsi con le revisioni e le negazioni che periodicamente attraversano la storia.

Proprio in riferimento a questo versante Nicola Gallerano invitava ad interrogarsi non tanto sull’alternativa memoria/oblio, sul "più o sul meno di memoria", quanto sull’uso politico della memoria teso in particolare alla costruzione della identità nazionale (uso politico in cui diventa centrale oggi il ruolo dei media).

La portata di tali problemi pone la scuola e gli insegnanti al centro di un lavoro importante e delicato che continuamente si dovrà confrontare con la storiografia e con l’universo della comunicazione. E’ chiaro infatti che, in una società complessa, la circolazione del sapere storico dipende sempre più da un insieme di istituzioni e di strumenti. Si è già detto come la diffusione delle immagini possa portare a ridurre la prospettiva storica e a rendere ogni avvenimento contemporaneo, ma i media, nonostante producano spesso letture "disinvolte" del passato, rappresentano un veicolo potente di diffusione del sapere. Per questo la storiografia più attenta si confronta con l’universo della comunicazione ed era ancora Gallerano a sottolineare che: ‹‹Il rapporto con il passato è un campo aperto, dove sono attivi i più diversi soggetti, (..) Non esistono tuttavia confini netti e gerarchie scontate tra gli storici di professione e gli altri produttori di storia, tra ricerca scientifica e divulgazione: vi sono piuttosto contaminazioni e conflitti e un complesso sistema di scambi.››

La riflessione sull’uso pubblico della storia è resa più attuale dagli sconvolgimenti che hanno segnato questa fine secolo, ma anche dal rischio di sradicamento dal passato che accompagna i processi di modernizzazione. Sempre più quindi la ricerca storica dovrà fare i conti con la storia "pubblica" dei media e, in questa direzione, un compito importante spetta anche alla scuola come "agenzia" di trasmissione di saperi, di modelli di identità, di valori e di uso pubblico della storia.

Molteplici sono gli interrogativi, i livelli di analisi che l’orizzonte del tempo presente pone sia agli storici sia agli insegnanti che hanno il compito di trasmettere conoscenze capaci di interagire con il presente. Un lavoro importante nel quale la storia dovrebbe essere ‹‹non una morta sequenza di fatti e processi inevitabili, ma il terreno vivissimo e brulicante delle scelte di uomini e di donne: la storia fatta dagli innumerevoli presenti di chi, grande o piccolo, ha dovuto – come noi oggi – scegliere.››

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