La scuola che cambia fa la storia. Un progetto per il 2000

sintesi della relazione di Maria Teresa Sega


"La scuola che cambia fa la storia. Un progetto per il 2000" è il titolo che abbiamo dato a questo progetto, forse un po' ambizioso, ma che intenzionalmente vuole stabilire un nesso tra cambiamenti in atto nella scuola , storia e passaggio al nuovo secolo. Parlando di cambiamenti in atto mi riferisco al rinnovamento dell'insegnamento della storia, con l'inclusione del novecento nei programmi, l'autonomia, la riforma dei cicli.

Al di là di una valutazione positiva o negativa su queste riforme, credo si possa affermare che si tratta di cambiamenti profondi, che investono anche il piano simbolico, oltre che quello materiale e quotidiano, e che perciò mettono in discussione tradizioni consolidate, mentalità, identità. La scomparsa della scuola media, tempo intermedio tra la scuola elementare e la scuola superiore che segna un passaggio di crescita, di ruolo, di identità per l'alunna/o, e connota anche l'identità professionale dell'insegnante, ci obbliga a ripensare questi aspetti. Un'unica scuola di base mette in discussione l'idea stessa di ciclicità legata al percorso scolastico.

L'autonomia, paradossalmente vissuta come imposizione, crea molto disagio tra gli/le insegnanti, per la fretta, l'approssimazione e la direttività con cui viene perseguita, che eludono spesso la discussione sui contenuti.

Penso che valga la pena , collocandoci in questo contesto, volgere lo sguardo indietro e osservare il nostro percorso: che cosa è stata la scuola nella storia del '900? Che cos'è stata la nostra formazione? Che cos'è un'educazione? è la domanda con cui ha inizio il libro che Luigi Meneghello dedica alla sua esperienza scolastica Fiori italiani, libro uscito per la prima volta nel 1976, ma la domanda se l'era posta nel 1944 durante la Resistenza , quando, dopo un rastrellamento, trovò rifugio in una grotta in Valsugana e venne aiutato e sfamato dai montanari: tutte le parole che aveva imparato in anni di scuola dalle elementari all'università gli parvero allora prive di senso. Meneghello appartiene alla generazione che ha fatto la scuola fascista, esperienza di cui riesce bene a rendere il non-senso nei suoi scritti autobiografici. Ma credo che la stessa domanda dovrebbero porsela le generazioni successive: in particolare la generazione di chi oggi insegna e che è stato bambino/a negli anni '50, adolescente negli anni '60 e della scuola ha vissuto il grande cambiamento.

Che cos'è la nostra formazione? La risposta ci fa tracciare una biografia intellettuale che connette il nostro presente alla nostra storia, all'appartenenza ad una generazione testimone di cambiamenti che difficilmente riusciamo a rappresentare, per compiere quel passaggio necessario dalla memoria alla storia. Partendo dalla domanda: che senso ha una scuola femminile? Adriana Longo, allieva e poi insegnante all'Istituto Vendramin Corner - un tempo scuola tecnica femminile - ha cominciato ripensare al proprio percorso a ritroso e poi a scavare nella storia della sua scuola, arrivando a modificare il suo insegnamento per il presente e per il futuro: da applicazioni tecniche femminili a scienza della vita quotidiana. La domanda sul senso dell'insegnare e dell'apprendere è una domanda che continuamente come educatori dovremmo porci in relazione ai tempi, ai cambiamenti. Nel passaggio all'autonomia questa visione prospettica ci aiuta ad interpretare la identità e ruolo della scuola nel presente e nel territorio . C'è un testo che voglio citare, scritto da Hannah Arendt nel 1960, che meriterebbe di essere riletto : "Gli educatori rappresentano di fronte al giovane un mondo del quale devono dichiararsi responsabili anche se non l'hanno fatto loro e anche se (...) lo desiderassero diverso. Questa responsabilità ( ...) è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di continuo. (...) l'insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto di quel mondo si assume la responsabilità." (Hannah Arendt, Saggio sull'istruzione (1960), in Tra passato e futuro, Vallecchi, Firenze, 1970) Assumere la responsabilità della memoria: lo sguardo retrospettivo serve anche a colmare i silenzi e gli oblii della scuola nella storia del novecento. Le nostre aule hanno visto bambini e bambine ebrei cacciati in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, hanno visto la guerra, le bambine lavoravano calzini e scrivevano letterine ai soldati, i bambini raccolgievano metalli; hanno ospitato profughi; hanno visto la povertà, anche la povertà culturale - pensiamo a quella "pedagogia dell'ignoranza" rivolta soprattutto alle bambine negli anni più lontani. Hanno visto discriminazioni e violenza, ma hanno visto però anche l' affermazione di diritti di cittadinanza, l'accoglienza e il riconoscimento delle differenze sociali, culturali e di genere. Di questo possiamo trovare documentazione nei nostri archivi o cercarle negli archivi cittadini. La storia della scuola è la storia del 800 e 900, nell'intreccio tra dimensione locale e nazionale, nell'intersecarsi di percorsi individuali, appartenenza generazionale e contesti politici, culturali, sociali.

Credo si possa affermare che la nostra è una scuola smemorata, che non conserva la memoria del proprio percorso, non ha cura di ciò che produce. La conservazione di documenti e materiali è spesso causale, non intenzionale, così come la perdita e la distruzione. Paradossalmente documenti e oggetti si salvano per dimenticanza. L'archivio oggi è un ingombro, la stanza-archivio spesso un deposito caotico e polveroso di oggetti inutilizzati, realtà e metafora della memoria scolastica. Si può forse leggere, in questa trascuratezza della memoria, un senso di precarietà del nostro lavoro, la difficoltà di stabilire intrecci tra presente e futuro, tra esperienza singolare e dimensione storica più generale. La scuola è smemorata anche nel senso che raramente i soggetti della scena scolastica elaborano, attraverso la scrittura, l'esperienza, spesso affannosa, lacerata, pressata da incombenze. Rimangono scritture "oggettive", atti dovuti scritti con linguaggio gergale, programmazioni, piani, valutazioni: la vita burocratico-istituzionale, non il pulsare della vita di classe; raramente riemergono le tracce degli individui, della loro soggettività. Per fare un esempio: si conservano le "gazzette ufficiali" e si buttano i temi svolti in classe. Altre suggestioni sono quelle che troviamo nella lettura dei "diari" (registri scolastici) scritti dalle maestre del passato, con osservazioni puntuali e quotidiane degli alunni ed alunne. Come ci appaiono oggi i nostri registri se li guardiamo come documenti per futura storia? Che cosa restituiscono del nostro sforzo quotidiano di insegnanti che devono saper rispondere all'imprevisto, saper stare in una relazione che è affettiva oltre che educativa, devono saper comunicare con nuove generazioni con le quali si approfondisce di anno in anno la distanza di età? Dice Maria Bacchi - ex maestra ora scrittrice sulla memoria d'infanzia - nell'incontro che si è svolto nel novembre scorso in apertura dell'Itinerario educativo La memoria scolastica: "la ricchezza straripante della soggettività infantile viene censurata, la scuola si fa promotrice di una catena di silenzi attraverso la distorsione dello sguardo dalle domande dei bambini e delle bambine alle procedure della funzione valutativa.". E' importante dunque produrre e conservare le fonti della soggettività accanto alle altre: la scuola stessa, noi insegnanti, dovremmo consapevolmente operare questa scelta, prendere coscienza di ciò che vogliamo conservare, per dare significato al lavoro quotidiano che svolgiamo a scuola guardando al futuro. Diceva Quinto Antonelli - nello stesso incontro - "la costruzione di un archivio richiede un senso della storia, ma anche del futuro." Si lascia traccia della propria presenza perché coloro che verranno dopo possano ricostruirla come storia, la loro storia.

Mi stupisce conoscere ogni giorno persone, colleghi, ex insegnanti appassionati della storia che raccolgono e conservano oggetti di scuola, quaderni. Spesso sono maestre e maestre - o ex - elementari e questo dato non è privo di significato poiché il legame con l'infanzia ha implicazioni affettive molto profonde; si tratta quasi sempre di iniziative private, anche se comincio a registrare interesse e iniziative da parte di scuole di ogni grado. Sentiremo - in queste giornate - interessanti storie di scoperte nel labirinto degli archivi, nei depositi delle scuole. Dunque perché recuperare gli archivi scolastici? Che cosa possono contenere di così importante? Per quale storia? Non pensiamo soltanto alla storia istituzionale, alla "biografia d'istituto", ma alla storia sociale, la storia dell'educazione maschile e femminile, del rapporto dentro fuori - scuola-lavoro, scuola-territorio - , la storia della città e dei suoi abitanti. Invitiamo le scuole, le equipes tutoriali di storia, gli insegnanti a considerare la propria scuola come contenitore di memoria, dove si sono depositate le tracce delle persone che nel tempo l'anno abitata; a recuperare queste tracce -documenti di archivio, oggetti, materiali didattici, biblioteche - a progettare un museo-laboratorio dove poter realizzare percorsi di ricerca e itinerari didattici.

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