C. Brigadeci, A. Criscione, G. Deiana, M. Gusso, G. Pennacchietti, Il laboratorio di storia. Problemi e strategie per l’insegnamento nella prospettiva dei nuovi curricoli e dell’autonomia didattica, Milano, Unicopli, 2001, pp. 192, £ 25.000
di Aurora Delmonaco

    Il volume si propone come una rassegna di "sensate esperienze e necessarie dimostrazioni" compiute nell’area milanese da insegnanti che attingono a piene mani al loro bagaglio culturale e professionale, con l’occhio puntato al dibattito che, al tempo della composizione del volume, animava il campo dell’istruzione. Il cambio di prospettiva nella politica generale sulla scuola non rende, però, superato ciò che essi ci mostrano.

    Di là dalla vicenda dei cicli e dei curricoli, il mutamento di rotta politica più chiara è visibile nella scomparsa dall’orizzonte ministeriale di una scuola concepita come luogo di ricerca e d’elaborazione del sapere, come punto di raccordo fra territorio e formazione culturale: l’insegnante, nei documenti ministeriali non è più "produttore" ma semplice "trasmettitore" di conoscenze già confezionate, indipendenti dalle trasformazioni del rapporto fra società giovane e adulta, dai problemi del dialogo e della comunicazione. Indipendenti dalle domande di senso che si affacciano in un mondo in rapidissima trasformazione.

     Nel libro si affaccia più volte il problema del rapporto fra l’autonomia delle scuole, la loro evoluzione verso la produzione del sapere e la necessità di linee d’indirizzo comuni. Questo problema ora sembra superato perché, mentre scompare ogni preoccupazione di definire il campo generale in cui tutte le autonomie possano ricondursi, si riconosce alle "famiglie" il diritto di operare scelte in un mercato dell’istruzione liberamente articolato tra divergenti indirizzi confessionali e laici, tra scuole d’élite e un tipo d’apprendistato che nemmeno la Confindustria apprezza. Anche l’autonomia, del resto, si riduce a poca cosa nell’attenzione dei progetti che si susseguono.

     Si va formando da tempo, tuttavia, nella scuola italiana un tessuto di esperienze e di elaborazione, un desiderio di provare a mutare i vecchi canoni, che cerca un suo spazio collaudato, che tende a collegarsi in una rete dal basso intorno a luoghi di raccordo, che assorbe indicazioni e metodi di lavoro sperimentati. A questi insegnanti, questo volume può dire molto, ed è tanto più necessario quanto più la deriva conduce altrove.

    Il caso del laboratorio di storia è uno di quelli che rappresentano con maggiore evidenza questo bisogno. Completamente sconosciuto ai più, il tam tam tra le scuole, tra le reti professionali, tra enti di ricerca e promozione dell’innovazione, sta aprendo diversi luoghi, mentali e fisici, che si connettono all’idea di una storia insegnata come nelle antiche botteghe dell’arte, con un giusto dosaggio di sapere e saper fare, connettendo memoria e storiografia, fonti ed immaginario, categorie interpretative e materiali del passato. Questo tipo di laboratorio non può dar luogo ad un sapere standard, come da programma. Il suo riferimento pedagogico è al curricolo, come pluralità di percorsi e di opportunità, autonomo nelle scelte. Ma le scelte sono difficili nell’assenza di riferimenti metodologici e culturali.

    Questo lavoro collettivo ne offre molti, dalla ricerca didattica simulata legata a un "fare scuola aperto alla società e al mondo per significative esperienze culturali di educazione ai valori" a un possibile percorso di storia ambientale (Giuseppe Deiana) a problemi di sviluppo curricolare sul tema del Medioevo (Giancarlo Pennacchietti), alla prospettiva della storia di genere fra teorie e pratiche didattiche (Concetta Brigadeci), a una riflessione accurata sull’impatto che le nuove tecnologie possono avere su una storia che si muova nell’ambiente del laboratorio. È interessante notare come, spesso, coloro che non hanno idea di questa metodologia confondano l’attività che essa propone con l’introduzione tout-court delle nuove tecnologie in aula, mentre per la maggior parte delle reali esperienze, questo è un nodo da sciogliere, un "buco nero" nella progettazione, nell’ impossibilità di connettere le competenze informatiche degli/delle studenti, che sanno come fare ma non conoscono gli obiettivi, con quelle dei/delle docenti, che conoscono le vie del percorso ma ignorano le possibilità della tecnologia. Antonino Criscione offre un grande aiuto nell’operare questa connessione, attento a scarti ancora irrisolti ed alle possibilità di nuove risorse che vengono dal web.

     Accanto a problemi di tipo generale, affrontati soprattutto da Angelo Malinverno, Maurizio Gusso e Giuseppe Deiana, si incontrano osservazioni generate dal lavoro reale nelle classi, dai rapporti con l’ambiente scolastico, dalla risposta degli/delle studenti. Concetta Brigadeci, ad esempio, da un lato offre il risultato di un’esplorazione sul terreno degli women’s studies, dall’altro, in linea con un progetto che coniuga soggettività e rilevanze storiografiche, dà voce ai suoi, alle sue alunne con spiragli che possono generare ulteriori approfondimenti sul significato di una storia piena di domande su noi stessi, sul mondo.

     Certo, la pratica del laboratorio sta dando vita a molti modelli, a molti tipi d’intervento, ispirati a diversi presupposti teorici. Questo presentato da Deiana si fonda sull’idea di una ricerca "simulata", che non cerca di "emulare" quella degli storici perché se ne riconoscono le differenze profonde, che si colloca in una "parte libera" del curricolo, distinta dallo "zoccolo duro" del sapere minimo di storia generale ma integrabile ad esso. Si potrebbero indicare altre logiche per il laboratorio, ma osserverei soltanto che il concetto di "simulazione" sottovaluta la portata dell’operazione didattica che descrive. Per gli/le studenti niente si simula. Se ricercare è trovare risposta ad una domanda, allora il compito è reale, vissuto, coinvolgente. È ricerca didattica, con un’epistemologia distinta da quella degli storici, ma sicuramente ricerca. La simulazione non è categoria sufficiente a descrivere il complesso rapporto convergente-divergente tra il lavoro dello storico e quello della didattica.

    Per insegnanti che provano ad entrare in una nuova logica, una nuova idea di scuola, questo libro è un utile arricchimento di esperienze e di riflessioni, per uscire dall’individualismo didattico che è tra le maggiori cause della rigida ripetitività delle procedure scolastiche. Ed è anche una risposta concreta a quanti ritengono che le ansie di nuovo siano soltanto effetti scriteriati di una concezione tutta "didattichese" dell’insegnante-ricercatore.