La scuola superiore

 

La sua caratteristica, come si nota immediatamente, è quella di essere attraversata dalla frontiera dell’obbligo. Questo fatto (non deciso dalla Commissione) ha imposto la particolarità più nota di questo curricolo: se, infatti, la storia è materia formativa fondamentale, deve essere uguale per tutti (è difficile immaginare una cittadinanza di serie a e una di serie b). Si può discutere all’infinito: ma l’unico contenuto di studio che risponde pienamente a questo requisito- di essere, cioè, egualmente utile per tutti, sia per quelli che continuano e sia per quelli che non studieranno più storia - è il Novecento (su questo tema particolare ci sono stati decine di convegni di insegnanti, e inoltre una mobilitazione straordinaria, anche di universitari, a seguito della direttiva 682 sulla riperiodizzazione, ci permette di affermare che il consenso nelle scuole è larghissimo e convinto). Qualsiasi altra alternativa è penalizzante per quelli che non proseguono, come peraltro ammettono anche i sostenitori del documento Villari. Ovviamente, si tratta di pensare a correttivi, soprattutto per i licei classici e scientifico-umanistici: di questo si occuperà la fase prossima dei lavori, così come si occuperà del triennio finale. Su questi temi, la sottocommissione non ha prodotto, nel corso delle sue sessioni, alcun documento. Nel documento finale, sottoposto al vaglio del Cnpi, si prospetta la necessità di completare lo studio della storia generale nel primo biennio delle superiori, e la possibilità di affrontare temi di studio, in ordine rigorosamente cronologico, nel triennio finale.

Qui è bene soffermarsi sulle caratteristiche di questa storia generale: la sua lunghezza (cinque anni) e il fatto che le materie storico-geografiche siano perfettamente integrate possono permettere di supporre che essa venga, finalmente, spiegata e appresa per bene. Le innovazioni fondamentali riguardano quello che attualmente è il programma di prima media, che va dalla preistoria fino al 1350. Questa materia, ora, è stata distribuita in due anni e ¼, in questo modo: a dieci anni, il bambino studierà il processo di ominazione (così, infatti lo chiamano i paleoantropologi, in luogo di "comparsa dell’uomo", che giudicano uno stereotipo controproducente) fino alle società dell’età del ferro. Nel secondo, quando l’allievo ha 11 anni, si studieranno i contenuti centrali della prima media attuale: mondo antico, tardoantico e primo-medioevo; nel terzo dal XII-XIII secolo fino al XVII secolo. E’ stato osservato che il primo anno è molto "leggero". Questa è una scelta precisa, perché si è tenuto conto del fatto che si tratta dei primi studi sistematici e dell’approccio iniziale ad un racconto storico complesso. Poi, man mano, i contenuti si infittiscono, perché si suppone l’aumento delle capacità di studio (anche questo è un esempio di come le cose siano alquanto diverse, se osservate dal punto di vista didattico e da quello storico).

Naturalmente, si potrebbe dire che, studiata nella scuola superiore, la storia generale verrebbe appresa meglio: ma il rovescio della medaglia sarebbe l’uscita della storia dalle materie di base, dal momento che non sarebbe più "uguale per tutti", o –come vederemo subito - la penalizzazione delle professionali. Inoltre, è tutto da dimostrare che nelle superiori la storia generale in futuro verrebbe studiata con più attenzione e frutto, come sanno bene i colleghi universitari, quando pensano all’attuale formazione storica delle matricole, dal momento che è oggi, che la storia generale si studia nei cinque anni delle superiori. Infine, pur nella generale autoesaltazione, potrà valere qualcosa l’argomento che in Francia, Germania, Spagna, Inghilterra e in altri paesi europei, nelle superiori non si studia "storia generale", ma si cerca di formare i giovani con altri contenuti storici.

La storia proposta dalla Sottocommissione è legata strettamente al concetto di cittadinanza. Infatti, come è stato autorevolmente suggerito (Oslo 2000), la storia mondiale è strumento fondamentale per affrontare la difficilissima questione della formazione di cittadini, di diversa appartenenza etnica e religiosa, e che fanno parte – nel loro complesso e sempre più – di organizzazioni sovranazionali (dall’Onu fino all’Ue). Per questo motivo il nuovo curricolo è "a molte dimensioni": quella mondiale (sui processi fondamentali della storia umana: formazione dell’uomo, neolitico, popolamento del pianeta, formazione dei grandi imperi e avvento della planetarizzazione); quella europea e italiana (antico, tardo antico, medievale, rinascimento, umanesimo, formazione degli stati ecc.); quella locale, lasciata ovviamente all’integrazione delle scuole. Molte dimensioni, dunque, per una cittadinanza anch’essa a molte dimensioni. E’ in questa chiave (peraltro già ben presente negli stessi programmi del 1979, firmati a suo tempo da Arnaldi) che va considerata la temuta introduzione della storia mondiale. Questa non annulla, ma cerca di convivere con le altre. D’altra parte, se si tiene conto dell’avvertenza esposta sopra (che il curricolo non va letto come l’indice di un libro), faranno meno impressione le sottolineature sui bantu o sui mesoamericani. Non si tratta affatto di proporre monografie su questioni specialistiche (come pure si è detto, quasi che la colonizzazione dell’Oceania sia un argomento specifico, e non invece una questione di storia generale), ma si tratta di tenere conto che nel mondo, se si deve parlare di popolamento, esistono anche gli altri: e qualche pagina da leggere o una carta tematica da consultare non faranno mai male. Infine, se si guarda all’odierna partizione dei manuali correnti della media, si osserverà che essi dedicano parti più o meno uguali alla storia mondiale, a quella europea e a quella italiana (esistono due tesi di dottorato presso l’Università di Pavia, coordinate da Guderzo, che mi paiono del tutto convincenti su questo argomento): è presumibile che tale percentuale potrà non variare nel futuro.

I curricoli alternativi affrontano la questione solo dal punto di vista "nominale", con formali ossequi alla storia mondiale, per ribadire subito dopo, che, proprio per rapportarsi bene con gli altri, è necessario conoscere bene se stessi, e dunque, studiare la medesima storia di prima. In particolare, il documento Villari sostiene a più riprese che la nostra identità è italiana ed europea, e che si è costituita una volta per tutte fra antichità classica e Medioevo, con qualche esaltazione nazionalistica (l’impareggiabile storia italiana, si scrive) talmente imbarazzante, che sarà molto difficile tradurre in un testo ufficiale del governo. Se appaiono sbrigativi su questo punto, i curricoli alternativi insistono molto sulla "omogeneità" del percorso formativo delle superiori, che verrebbe alterata appunto dallo scavalco. In realtà, sono proprio gli obiettivi e i metodi quelli che definiscono la qualità dello studio, e quindi l’omogeneità e la congruità interna dei due percorsi diversi percorsi formativi, di base e superiore. Ma su questo punto non dovrebbero esserci problemi, se non quelli derivanti dall’idiosincrasia verso i "metodi", esibita da molti sostenitori del documento Villari.