3. La storia insegnata in Italia

 

 

In Italia, la storia insegnata conosce una modalità di ‘apertura al mondo’ del tutto originale rispetto agli altri paesi europei, legata ai particolari programmi che vuoi per la loro obsolescenza ( scuola media inferiore e superiore), vuoi per il loro eclettismo (scuola elementare), si sono rivelati incapaci di selezionare contenuti.

Di conseguenza si è avuto un accrescimento implosivo della narrazione nella quale una sorta di politically correct nostrano ha indotto gli autori di manuali a tratteggiare Ittiti, Celti, Sciti, Algonchini e altre popolazioni prima neglette, con una certa dovizia di particolari. Conosciamo i risultati di questa operazione concretizzati in un aumento della foliazione dei manuali tanto imponente da essere giudicato, a metà degli anni ’90, universalmente intollerabile.

Ma la storia dell’insegnamento della storia in Italia ha il pregio di aver drammatizzato un assioma epistemologico: " non si può raccontare tutto parlando distesamente di tutti". L’apertura al mondo non può essere ottenuta sommando le storie di ciascun popolo: occorre scegliere, ma cosa?, con quali criteri?

Potremmo ad esempio scegliere, all’interno delle storie di diversi paesi, momenti significativi rispetto allo scopo interculturale che ci proponiamo - episodi di pace, scambi, relazioni fraterne - espungendo accuratamente guerre e sopraffazioni vicendevoli così da costruire nel passato una proiezione di un modello interculturale. Così non faremmo altro che riprodurre una modalità di insegnamento che, sino a pochi decenni fa, ha strumentalizzato lo studio della storia per ottenere la formazione di cittadini bellicosi, pronti a versare il sangue per la patria: la storia come maestra di comportamenti, ieri di guerra, oggi di pace.

In alternativa, ed è la soluzione adottata in molti paesi e da molte prospettive didattiche, possiamo rinunciare alla comprensione del mondo e ricercare una didattica alternativa fondata sul vissuto di esperienze dell’alunno; sul genere (pari opportunità…); sul proprio gruppo di appartenenza; sul proprio luogo.

In questi casi è come se si attribuisse alla storia del mondo l’insieme delle cattiverie e delle storture e si ricercasse una bontà originaria in una storia circoscritta, localistica, non contaminata da guerre e da politica.

L’argomento fondamentale che giustifica tale proposta è che per avere buoni rapporti con gli altri bisogna prima di tutto, conoscere se stessi. La convivenza delle diversità viene vista come possibile compatibilità di differenze o come desiderio, sforzo di vivere insieme. Per quanto differenti fra loro queste proposte si assomigliano molto perché ritengono che l’unica forma per conoscere il passato sia quella lineare e tradizionale.

Questo assunto rimane un punto di forza sia delle "innovazioni" che introducono nella sequenza temporale la storia di altre società e di paesi extraeuropei, sia di quelle che formalmente rinunciano alla sequenza temporale (storia del vissuto, storia locale, storia del genere), ma affermando di rinunciare alla conoscenza della storia del mondo sostanzialmente confermano la tesi che l’unica storia generale possibile sia quella cronologico-sequenziale.

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