Radici e orizzonti della contemporaneità

 

        Quando il 4 novembre 1996 il decreto ministeriale n. 682 diede al Novecento, già entrato nei programmi scolastici dal 1960, uno spazio adeguato, la Commissione didattica dell'Insmli, il LANDIS e moltissimi Istituti della Resistenza furono chiamati a sostenere, per la loro parte, il grande sforzo dell'aggiornamento di massa avviato con la direttiva 681, secondo il modello "leggero" del piano nazionale di formazione che la Direzione classica, cui era stato assegnato il ruolo di coordinamento fra tutte le Direzioni ministeriali, aveva individuato nel quadro dell'avvio dell'autonomia scolastica. Secondo tale modello, l'impulso avviato dal centro, di fronte alla domanda differenziata della scuola, doveva funzionare come attivatore delle risorse di formazione individuabili sul territorio, moltiplicando così le energie complessive e rispondendo alla varietà dei bisogni.

        La vastità della domanda ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, quanto la scuola si trovasse in difficoltà a lavorare su territori di frontiera, non ancora consolidati da una tradizione didattica di lunga memoria, e senza una formazione iniziale adeguata. Qui non si tratta più di muoversi, come per il passato, entro circuiti aperti ma, tutto sommato, segnati dalla sensibilità accese, per gli insegnanti che vi accedevano, da interessi specifici. ui abbiamo di fronte anche renitenze al dettato ministeriale, indifferenze, disattenzioni. La sfida didattica è alta. E questa sfida è un aspetto della storia del nostro presente.

        La storia è sempre servita, nella scuola degli stati contemporanei, a disegnare le "biografie delle nazioni" per creare cittadini con uno sviluppato senso d'appartenenza. Di qui l'insistenza sui "miti fondativi" più o meno remoti, i Padri della Patria, il 14 luglio 1789 o la Magna Charta libertatum, secondo le latitudini e le epoche storiche, miti irrigiditi nella loro funzione di paradigmi civili, e perciò lontani, intoccabili, sacralizzati. Se però si capovolge la direzione dello sguardo, e s'impara ad osservare il passato dal punto di vista di chi è tanto immerso nella storia del presente da non saperla riconoscere come tale, gli "atti fondativi" del presente si moltiplicano in un limes temporale frastagliato, sfumato, oppure incuneato profondamente in epoche lontane sull'onda della lunga durata. Gli storici, nei lavori specifici, offrono questo ventaglio di periodizzazioni; nelle opere generali, s'interrogano su come, e da che punto di vista, sia possibile chiudere lo spazio storico della contemporaneità entro limiti definiti (ed insegnabili).

        Ma l'insistenza sulla contemporaneità a scuola pone una domanda diversa: perché il passato, anche quello più vicino a noi, dovrebbe interessare prioritariamente i bambini e le bambine, i giovani e le giovani che comunque lo percepiscono come estrema lontananza? Ha ancora senso dire, di fronte ad una generazione i cui paradigmi conoscitivi sono così mutati, che il presente è il punto di partenza e d'arrivo per la comprensione del passato, quando sembra si stia vivendo su una taglia del tempo? Perché le competenze storiografiche dovrebbero costituire un bagaglio necessario per chi vivrà in un mondo così profondamente mutato?

        Perché non sono ancora esaurite le domande che il passato pone, potremmo rispondere, e perché bisogna che gli occhi di oggi imparino a guardarlo ponendogli quelle domande. E, se la comunicazione tra le generazioni fosse spenta, allora dovremmo dare il nostro passato ai ragazzi perché imparassero a ricostruirlo per appropriarsene. Così costituirebbe memoria. Dovremmo dare loro la padronanza dei paradigmi del tempo, così comprenderebbero che, forse, le epoche non finiscono finché ci sono domande ancora aperte su di esse: la "crisi e la ridefinizione delle forme della cittadinanza e della rappresentanza politica (inquadrabili nel più ampio e complesso processo costituito dal tragitto delle democrazie contemporanee); i processi di riterritorializzazione e il mutare delle dimensioni spaziali che definiscono gli ambiti statuali e le relazioni tra soggetti collettivi; la crisi del "modello fordista" e la riconfigurazione del rapporto tra individuo e lavoro; la dislocazione definitiva dei modelli e dei sistemi produttivi su uno scenario globale; il rapporto fra diverse appartenenze culturali e la loro compresenza sul piano sociale e nelle esperìenze dei singoli. Procedere in questa direzione significa anche utilizzare la prospettiva offerta dalla differente esperienza storica di uomini e donne, e prendere a riferimento il paradigma delle relazioni fra i sessi sul piano materiale e simbolico" (31).

        E dovremmo dire ai ragazzi che il loro mondo attuale, così nuovo' per certi aspetti, così complesso, ha profonde radici e che il Novecento, come il Duemila, è allora solo una metafora temporale. E tutto ciò deve tradursi in azioni concrete, in una paideia che costruisca, giorno dopo giorno, non più le virtuali enciclopedie dei sapere storico comune (32) ma i fondamenti di consapevoli cittadinanze.

        Ed il sapere storico deve oggi, dopo la riforma dei cicli, essere ricomposto in un itinerario nuovo, che richiede nuove scansioni e nuovi parametri. Nuclei fondanti, competenze, conoscenze, capacità sono indicatori di un nuovo approccio. Tutto ciò può produrre nelle scuole un effetto di spaesamento, oppure può ridursi ad una rivisitazione dell'insegnamento tradizionale secondo un nuovo lessico: i contenuti possono diventare conoscenze, i nuclei fondanti possono camuffare partizioni del programma, nelle competenze possono tradursi le abilità del vecchio sistema d'apprendimento.

       Allora bisogna comunicare agli insegnanti, mentre si offrono linee - guida per costruire in autonomia il loro progetto entro parametri consolidati dalla ragione scientifica, e non più liste di argomenti, l'arte di sentirsi storia, che è memoria e speranza dei futuro, per trasmettere storia (33).

NOTE

31. Documento congiunto Commissione didattica - LANDIS "Istituti e storia dei Novecento. Un documento", I' dicembre 1997. torna su

32. Va superata la ciclicità dei programmi e adottato il criterio della strutturazione della materia in una pluralità di operazioni mentali ed operative in modo graduale, secondo un ordine di complessità crescente...".L. Lajolo, Un modello di mediazione didattica, in Problemi della contemporaneità. Unità e Autonomie nella storia italiana.. Seminario di formazione per Docenti, Atti del Corso di aggiornamento interdirezionale, Arona, 17 - 22 marzo 1997, Quaderni Ministero Pubblica Istruzione - Direzione Generale Istruzione Classica Scientifica e Magistrale - INSMLI, n. 22/1, Liceo Scientifico Statale "G. Segrè", Torino, marzo 1997, p. 223. torna su

33. "... il problema vero è quello dei "nuclei fondanti', distinti cioè non solo da un'oggettività scientificamente riconosciuta, ma caratterizzati - per la loro stessa natura - da una valenza non riduzionistica e da una capacità di evocazione (e di implicazione) tali da "ridurre" la storia senza con ciò impoverirla. "Creare memoria"..., una memoria che sia ... il fondamento su cui costruire il futuro". E. Bertonelli, Una "scuola nascosta " che può venire alla luce, in Problemi della contemporaneità, cit., p. 227. torna su