Parlare di
scuola? Strano paese il paese nel quale tutti parlano di tutto, e tutti sentono di aver buchi di informazione. Il caso della scuola è emblematico. In questi giorni la scuola è il tema sul piatto: sta sul tavolo finché altri piatti più saporiti non lo spostano; ricompare quando il tavolo è vuoto. Il dibattito è acceso: cicli sì, cicli no; riforma necessaria, riforma da non fare; scuola da cambiare (su questo tutti sono daccordo) ma da cambiare un po più in là, un po più in qua, radicalmente, toccando morbidi. Ecc. La babele delle lingue è alta. Chi è in trincea, chi cioè lavora dentro una scuola, si rende conto di avere un eccesso di informazione, ma non si sente informato. Le cause di questi strani effetti sono due. La prima. La scuola è listituzione più passivamente democratica, nel senso che con lei tutti hanno a che fare: o per via di figli, o per via di mogli o di mariti (che ci lavorano), o per via di amici (che sono padri o madri di studenti). La seconda è che tutti sono andati a scuola. Questi due fatti legittimano tutti a parlare di scuola, ma non impediscono a tanti di straparlarne; resta il fatto che, in quanto istituzione complicata, e in quanto italiana, la scuola del nostro paese è un oggetto del quale è difficile parlare. Nella scuola vanno a esaltarsi - nel bene e nel male - tutti i processi in atto nel corpo sociale, nella cultura, nelleconomia. Questo intreccio che fa della scuola il sistema più delicato e complesso fa essere la scuola il luogo e loggetto affascinante che è; ma fa sì che pochi ne parlino a ragion veduta e con conoscenza. La conclusione è che editorialisti della carta stampata, della TV e di altri mezzi di informazione, quando non hanno altro da fare, pontificano sulla scuola: chi nella scuola vive, guarda e tace, e si meraviglia. In questi giorni tutti si stracciano le vesti per la tracotanza del ministro che si permette di fare sulla scuola un colpo di mano violento e improvviso: cambia i cicli e limpianto che sta in piedi da ¾ di secolo. Lopposizione minaccia che straccerà le leggi e azzererà loperato del ministro. Chi insegna guarda attonito e sorpreso. Per tante ragioni.
Nel febbraio 2000 il parlamento ha approvato la Legge 30 che ri-disegna la scuola del Paese. La legge ha dato una delega al Ministro per la predisposizione degli atti conseguenti e per la definizione dei curricola; insieme gli ha anche dato una tabella di marcia. Il ministro dà corso alle cose che la legge gli dice di fare. E dunque, e per essere precisi. I cicli non li inventati il ministro in carica, ma li ha voluti il parlamento. E li ha voluti così, dopo un lungo e impegnativo dibattito dentro la scuola e tra chi se ne occupa. Chi oggi si straccia le vesti dovrebbe chiedersi dovera mentre il parlamento approvava la legge. A questo punto viene da dire che il problema, prima che della scuola, è un problema di elementare democrazia: le leggi si fanno, si fanno rispettare, e i ministri della repubblica, se possono, fanno il loro dovere dando alle norme il giusto corso. Fare strame delle leggi è un problema, prima ancora che di scuola, di convivenza civile. Da tempo la scuola e lopinione pubblica non sentivano parlare di Costituzione. Ebbene, il ministro ha declinato i 12 articoli della prima parte della legge fondamentale dello Stato per avere una bussola, e per darla alla scuola degli anni 2000. Si può essere daccordo o meno con la proposta del ministro, si può legittimamente dissentire sui contenuti della riforma, ma sentirsi commentare larticolo 6 con parole che richiamano al dovere di "costruire le condizioni per la parità di opportunità e per lintegrazione", fa bene. In questi ultimi dieci anni, chi aveva sentito nominare la Costituzione si era sentito dire che quella Costituzione scritta alla fine della guerra e per la nascita di questa Repubblica doveva essere cancellata e riscritta. Che un ministro cerchi nella Costituzione la bussola per la scuola di domani era una notizia da dare agli insegnanti, ai cittadini, allopinione pubblica. Di questa situazione di illegittimità qualcuno avrebbe dovuto parlare. È una riforma che piace? Sul piacere o meno ciascuno naturalmente ha il diritto di dire la sua. La battaglia adesso, in ogni caso, non è tanto sulla scuola, sui cicli lunghi o brevi, sulla elementarizzazione della secondaria o sulla secondarizzazione delle elementari: è una battaglia di democrazia, di civiltà, di convivenza civile, fatta e da fare, possibilmente con parole piene.
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