Che cosè il Novecento?
Questa domanda dal punto di vista della
professione storica può apparire peregrina e superficiale, perché è assai difficile, e
forse anche inutile tentare di definire con un'espressione sintetica, che vuole avere la
pretesa di restituire la complessità di un periodo storico, un intero secolo.
Eppure lesercizio, che può apparire
puramente accademico, può avere qualche utilità nel tentativo di "mettere
ordine" in un secolo, che a differenza di quelli precedenti, appare
allimmaginario collettivo un coacervo di eventi alla cui intelligenza mancano punti
focali forti in grado di fungere non solo da selettori delle rilevanze, ma anche da centri
di irradiazione di senso. Soprattutto dopo il 1945 questa assenza si fa drammatica: la
storia appare come un indistinto fluire di date e personaggi, di guerre e di fenomeni che
non riescono a diventare oggetti storici definiti e sembrano sfuggire allo sforzo di
organizzarli secondo esplicite periodizzazioni che costituiscono il punto di partenza
dellinterpretazione storiografica.
In effetti, se ci ponessimo lo stesso
interrogativo per tutti i secoli precedenti, non sarebbe difficile dare una risposta
universalmente condivisa. La ragione di ciò dipende dal fatto che la fisionomia e i
caratteri degli altri secoli si sono progressivamente consolidati in un insieme di
rilevanze ormai stabilizzate, risultato di una osmosi tra cultura storica egemone e
formazione storica veicolata dallistruzione.
Per questo complesso processo culturale il
settecento ci appare come secolo "dei lumi" e delle rivoluzioni, il seicento
quello dellassolutismo e delleconomia - mondo, lottocento quello delle
nazioni e del capitalismo. E lelenco potrebbe proseguire allindietro con gli
stessi risultati.
Per il Novecento la risposta al quesito
iniziale è, invece, assai più problematica, in buona parte perché la cultura storica è
ancora alla ricerca di una gerarchia consolidata di rilevanze e di quadri interpretativi.
D'altronde questa incertezza sulle chiavi di lettura è propria di ogni storiografia che
si confronta con la contemporaneità, cioè con una dimensione "non finita" del
tempo storico, che si riarticola man mano che levoluzione della vicenda storica
modifica le periodizzazioni possibili e offre nuovi punti di vista e nuovi osservatori da
cui rileggere il nostro secolo.
Scipione Guarracino, in un suo recente
lavoro (Il Novecento e le sue storie, Milano, Bruno Mondadori, 1997) ha ricostruito
i diversi "novecento" che si sono susseguiti negli ultimi decenni mettendo in
luce tutti i passaggi di fase che abbiano contribuito a modificare le immagini del secolo
codificate dalla cultura storica trasferitesi poi nella mentalità collettiva.
Losservatorio di fine secolo consente
forse di superare in parte questa circostanza negativa e di definire qualche quadro
concettuale attraverso il quale potere rispondere allinterrogativo che ci siamo
posti.
Se noi leggiamo in quest'ottica la
produzione storiografica recente non è difficile individuare qualche prima risposta.
La convinzione di Eric Hobsbawm, che il
900 sia un "secolo breve", racchiuso tra la "grande guerra" e la
fine della guerra fredda fa emergere innanzitutto un definizione del 900 come secolo
delle guerre.
Lesperienza bellica attraversa il
secolo non solo come effetto di un sistema di relazioni internazionali, che non riescono a
stabilizzarsi, ma soprattutto perché lo scontro è tra sistemi e ideologie irriducibili.
Le tre guerre mondiali - due "calde" e una "fredda" - sono diverse da
tutte quelle che le hanno precedute, per il potenziale distruttivo a disposizione dei
belligeranti, per il teatro planetario nel quale sono state combattute e infine perché
sono guerre che non ammettono la pace come loro naturale conclusione.
Sono dunque guerre assolute, dove si
scontrano diverse concezioni del mondo, diversi modelli di organizzazione sociale, che
ambiscono a dominare lintero pianeta attraverso la distruzione degli avversari. Dopo
la prima guerra mondiale scompaiono dalla carta geografica gli imperi che rappresentavano
gli ultimi residui premoderni rimasti nel vecchio continente ed ovunque si affermano gli
stati nazione; la seconda guerra mondiale si conclude con la scomparsa irreversibile del
nazifascismo e con la cancellazione della Germania, come stato unitario; la guerra fredda
ha termine con la fine del comunismo e della stessa Unione sovietica.
Lirriducibilità del conflitto
giustifica inoltre la drammatica violenza di cui si tingono non solo le guerre generali,
ma anche la lunga serie di guerre locali che ha percorso soprattutto la seconda parte del
secolo: lolocausto, lo sterminio degli armeni, piuttosto che il genocidio contro gli
intellettuali perpetrato in Cambogia da Pol Pot, rappresentano altrettante raccapriccianti
metafore di questo secolo, dove le più nobili utopie fondate sulla speranza
delluomo nuovo e della realizzazione del "sol dellavvenire" si sono
trasformate in regimi totalitari e in movimenti sanguinari che hanno elevato il grado
della violenza collettiva a soglie impressionanti e senza precedenti.
La guerra dunque si combina
allideologia: la guerra appare dunque una sorta di prosecuzione armata e violenta di
uno scontro tra grandi sistemi ideologici che attraversa permanentemente il XX secolo.
Infatti capitalismo, comunismo, fascismo
continuano a rimanere mobilitati in permanenza gli uni contro gli altri anche nei periodi
di "pace", sotto forma di idee che animano la lotta politica allinterno
dei singoli stati nazionali, strutturano, sotto forma di partiti, il sistema politico e
definiscono le appartenenze e le identità dei gruppi sociali.
Modernità che si declina anche come
valorizzazione della differenza di genere.
II XX secolo è lepoca nella quale
irrompono sulla scena le donne, protese allaffermazione della propria emancipazione
sociale e civile e alla propria liberazione come soggetto autonomo, non più sottoposto
allautorità maschile.
La storia del 900 può e deve essere
scritta come storia di uomini e di donne: come storia dunque nella quale le differenze di
genere assumono il carattere di elemento che distingue lattuale da tutti i secoli
precedenti, nei quali la soggettività femminile raramente raggiungeva la soglia della
visibilità sociale e rimaneva chiusa nei vincoli di società gerarchiche dominate dalla
figura del maschio adulto. Questa storia segnata dalla differenza di genere è in parte
storia dellacquisizione di diritti negati e dellemancipazione, in nome della
parità tra i sessi delle opportunità, dei trattamenti, dei diritti, dei poteri; è in
parte storia della sofferta conquista di autonomie i cui effetti si dispiegano sulla
natura e i ruoli della famiglia, sui comportamenti demografici e sulla mentalità
collettiva. La formazione di una società di donne e di uomini si iscrive, e in qualche
misura ne costituisce lunità di misura più elevata, nei processi di
democratizzazione e di deruralizzazione che rappresentano due processi fondamentali che
hanno caratterizzato il 900.
Può sembrare ovvio sottolineare che questi
processi riguardano soltanto le aree sviluppate: in realtà unaltra rilevanza
significativa con la quale leggere il secolo riguarda appunto il nesso
sviluppo-sottosviluppo, che in parte sottende il gigantesco processo di decolonizzazione
dellAsia e dell Africa e che, in parte, caratterizza il processo di
globalizzazione delleconomia novecentesca.
Lo sguardo planetario, che allinizio
di queste riflessioni avevamo proposto come indispensabile per insegnare il 900, è
costituito principalmente da questo nesso. Esso consente di comprendere le dinamiche
delleconomia e le sue specificità novecentesche, che chiamano in causa non solo il
concetto, già messo in evidenza di globalizzazione, ma anche quello di capitalismo
organizzato, nel quale cioè il mercato ha perso progressivamente il ruolo di regolatore
delle attività economiche, assunto da altri soggetti, quali lo stato, le grandi corporations,
la banca, le relazioni industriali.
Quel nesso però rende intelligibili anche
altri fenomeni drammatici come i nuovi flussi migratori o il ritorno dei fondamentalismi
religiosi, che tra le masse diseredate dei Sud del mondo paiono aver preso il posto un
tempo occupato dalle ideologie laiche occidentali.
In questa ricognizione sono emersi alcuni
"caratteri" del Novecento che lo distinguono da tutti i secoli precedenti e che
consentono di ordinare e interpretare una notevole quantità di fatti e di fenomeni:
dentro questo "ordine" e allinterno di questa griglia di rilevanze essi
acquistano "senso" storico.
Ci si potrebbe fermare qui, se ad una
analisi più attenta, dietro questi caratteri, non emergesse un fenomeno trasversale e
più profondo a cui potremmo attribuire un potere caratterizzante ancor più forte di
quelli che abbiamo fin qui delineato.
Questo fenomeno é lirruzione delle
masse nella storia: il XX secolo è dunque il secolo delle masse, mentre tutti quelli che
lo hanno preceduto sono stati i secoli delle èlites.
La percezione di questa novità, che segna
una rottura profonda tra la contemporaneità e il passato, è già presente nella grande
tradizione sociologica tardo - ottocentesca e primo - novecentesca, da Durkheim a Weber, a
Weil a Pareto , nella filosofia antipositivistica, da Nietzsche e Simmel a Heidegger, e in
tanta produzione letteraria - basta pensare al Celine di Au but de la nuit - :
dalle pagine di questi intellettuali emerge persino drammaticamente, la consapevolezza che
il mondo fosse ormai entrato nellage des foules.
Le masse di cui parliamo non sono
semplicemente una grande quantità di popolazione che entra in movimento: sono una
complessa costruzione storica risultato dellintreccio di almeno cinque fattori
fondamentali:
-
la crescita sorprendente della popolazione
-
lurbanizzazione
-
il taylorismo
-
la diffusione dei consumi a soglie sociali sempre più basse
-
lalfabetizzazione.
Le masse quindi sono un agglomerato di
individui scolarizzati, che si muove nello spazio sociale ed economico della città, a cui
si apre per la prima volta l'accesso ai consumi e che sono coinvolti nella nuova
organizzazione del lavoro fordista. Dentro le masse stanno uomini e donne e, in quanto
parte integrante di questo agglomerato, sono entrambi sottoposti a processi di
differenziazione di omologazione che ne rimodellano i ruoli e i rapporti.
Le masse quindi sono il più complesso
prodotto della modernità, riconoscibile nella sua genealogia: il soggetto e la sua
atomizzazione, il primato della tecnica, il progresso.
Man mano che questo nuovo soggetto cresce
mette in campo una domanda di integrazione sociale che assume le forme di un protagonismo
politico del tutto originale: il socialismo, il nazionalismo e poi il fascismo
costituiscono le curvature ideologiche attraverso le quali si esprime questa volontà di
integrazione al contempo di rottura dellordine sociale preesistente, rappresentato
dallelitismo liberale.
Tutti i fenomeni che abbiamo individuato in
precedenza - guerra, ideologie, partito politici, mercato - assumono il loro senso se ad
essi aggiungiamo lattributo "di massa".
Democrazia e totalitarismo sono entrambi
risposte storicamente determinate a questa richiesta di integrazione/rottura messa in
campo dalle masse e sono comprensibili solo se viene presupposta lesistenza di una
società compiutamente massificata. La prima tende a garantire un' integrazione "dal
basso", fondata sulla partecipazione e il conflitto organizzato degli interessi; la
seconda ha proposto un modello di integrazione dallalto, imperniato sulla
enfatizzazione del primato dello stato sulla società e sulla centralità del capo
carismatico. Entrambi però nascono come risposta al medesimo problema, quello appunto
dellintegrazione sociale nellepoca della società di massa.
Ma questo nuovo tipo di società rimodella
completamente i comportamenti collettivi e crea nuovi stili di vita: dalla fruizione
dellopera darte ai consumi, dallutilizzazione dello spazio al rapporti
tra uomo e natura: buona parte delle aporie con cui gli uomini e le donne si confrontano
in questa fine secolo - dallambiente ai limiti dello sviluppo, dalle nuove forme di
comunicazione di massa ai nuovi nazionalismo - affondano le loro radici nella irrisolta
complessità delle masse come soggetto storico.
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