Il Secolo Delle Masse

di Alberto De Bernardi
direttore scientifico Insmli, Università di Bologna


Che cos’è il Novecento?

Questa domanda dal punto di vista della professione storica può apparire peregrina e superficiale, perché è assai difficile, e forse anche inutile tentare di definire con un'espressione sintetica, che vuole avere la pretesa di restituire la complessità di un periodo storico, un intero secolo.

Eppure l’esercizio, che può apparire puramente accademico, può avere qualche utilità nel tentativo di "mettere ordine" in un secolo, che a differenza di quelli precedenti, appare all’immaginario collettivo un coacervo di eventi alla cui intelligenza mancano punti focali forti in grado di fungere non solo da selettori delle rilevanze, ma anche da centri di irradiazione di senso. Soprattutto dopo il 1945 questa assenza si fa drammatica: la storia appare come un indistinto fluire di date e personaggi, di guerre e di fenomeni che non riescono a diventare oggetti storici definiti e sembrano sfuggire allo sforzo di organizzarli secondo esplicite periodizzazioni che costituiscono il punto di partenza dell’interpretazione storiografica.

In effetti, se ci ponessimo lo stesso interrogativo per tutti i secoli precedenti, non sarebbe difficile dare una risposta universalmente condivisa. La ragione di ciò dipende dal fatto che la fisionomia e i caratteri degli altri secoli si sono progressivamente consolidati in un insieme di rilevanze ormai stabilizzate, risultato di una osmosi tra cultura storica egemone e formazione storica veicolata dall’istruzione.

Per questo complesso processo culturale il settecento ci appare come secolo "dei lumi" e delle rivoluzioni, il seicento quello dell’assolutismo e dell’economia - mondo, l’ottocento quello delle nazioni e del capitalismo. E l’elenco potrebbe proseguire all’indietro con gli stessi risultati.

Per il Novecento la risposta al quesito iniziale è, invece, assai più problematica, in buona parte perché la cultura storica è ancora alla ricerca di una gerarchia consolidata di rilevanze e di quadri interpretativi. D'altronde questa incertezza sulle chiavi di lettura è propria di ogni storiografia che si confronta con la contemporaneità, cioè con una dimensione "non finita" del tempo storico, che si riarticola man mano che l’evoluzione della vicenda storica modifica le periodizzazioni possibili e offre nuovi punti di vista e nuovi osservatori da cui rileggere il nostro secolo.

Scipione Guarracino, in un suo recente lavoro (Il Novecento e le sue storie, Milano, Bruno Mondadori, 1997) ha ricostruito i diversi "novecento" che si sono susseguiti negli ultimi decenni mettendo in luce tutti i passaggi di fase che abbiano contribuito a modificare le immagini del secolo codificate dalla cultura storica trasferitesi poi nella mentalità collettiva.

L’osservatorio di fine secolo consente forse di superare in parte questa circostanza negativa e di definire qualche quadro concettuale attraverso il quale potere rispondere all’interrogativo che ci siamo posti.

Se noi leggiamo in quest'ottica la produzione storiografica recente non è difficile individuare qualche prima risposta.

La convinzione di Eric Hobsbawm, che il ‘900 sia un "secolo breve", racchiuso tra la "grande guerra" e la fine della guerra fredda fa emergere innanzitutto un definizione del ‘900 come secolo delle guerre.

L’esperienza bellica attraversa il secolo non solo come effetto di un sistema di relazioni internazionali, che non riescono a stabilizzarsi, ma soprattutto perché lo scontro è tra sistemi e ideologie irriducibili. Le tre guerre mondiali - due "calde" e una "fredda" - sono diverse da tutte quelle che le hanno precedute, per il potenziale distruttivo a disposizione dei belligeranti, per il teatro planetario nel quale sono state combattute e infine perché sono guerre che non ammettono la pace come loro naturale conclusione.

Sono dunque guerre assolute, dove si scontrano diverse concezioni del mondo, diversi modelli di organizzazione sociale, che ambiscono a dominare l’intero pianeta attraverso la distruzione degli avversari. Dopo la prima guerra mondiale scompaiono dalla carta geografica gli imperi che rappresentavano gli ultimi residui premoderni rimasti nel vecchio continente ed ovunque si affermano gli stati nazione; la seconda guerra mondiale si conclude con la scomparsa irreversibile del nazifascismo e con la cancellazione della Germania, come stato unitario; la guerra fredda ha termine con la fine del comunismo e della stessa Unione sovietica.

L’irriducibilità del conflitto giustifica inoltre la drammatica violenza di cui si tingono non solo le guerre generali, ma anche la lunga serie di guerre locali che ha percorso soprattutto la seconda parte del secolo: l’olocausto, lo sterminio degli armeni, piuttosto che il genocidio contro gli intellettuali perpetrato in Cambogia da Pol Pot, rappresentano altrettante raccapriccianti metafore di questo secolo, dove le più nobili utopie fondate sulla speranza dell’uomo nuovo e della realizzazione del "sol dell’avvenire" si sono trasformate in regimi totalitari e in movimenti sanguinari che hanno elevato il grado della violenza collettiva a soglie impressionanti e senza precedenti.

La guerra dunque si combina all’ideologia: la guerra appare dunque una sorta di prosecuzione armata e violenta di uno scontro tra grandi sistemi ideologici che attraversa permanentemente il XX secolo.

Infatti capitalismo, comunismo, fascismo continuano a rimanere mobilitati in permanenza gli uni contro gli altri anche nei periodi di "pace", sotto forma di idee che animano la lotta politica all’interno dei singoli stati nazionali, strutturano, sotto forma di partiti, il sistema politico e definiscono le appartenenze e le identità dei gruppi sociali.

Modernità che si declina anche come valorizzazione della differenza di genere.

II XX secolo è l’epoca nella quale irrompono sulla scena le donne, protese all’affermazione della propria emancipazione sociale e civile e alla propria liberazione come soggetto autonomo, non più sottoposto all’autorità maschile.

La storia del ‘900 può e deve essere scritta come storia di uomini e di donne: come storia dunque nella quale le differenze di genere assumono il carattere di elemento che distingue l’attuale da tutti i secoli precedenti, nei quali la soggettività femminile raramente raggiungeva la soglia della visibilità sociale e rimaneva chiusa nei vincoli di società gerarchiche dominate dalla figura del maschio adulto. Questa storia segnata dalla differenza di genere è in parte storia dell’acquisizione di diritti negati e dell’emancipazione, in nome della parità tra i sessi delle opportunità, dei trattamenti, dei diritti, dei poteri; è in parte storia della sofferta conquista di autonomie i cui effetti si dispiegano sulla natura e i ruoli della famiglia, sui comportamenti demografici e sulla mentalità collettiva. La formazione di una società di donne e di uomini si iscrive, e in qualche misura ne costituisce l’unità di misura più elevata, nei processi di democratizzazione e di deruralizzazione che rappresentano due processi fondamentali che hanno caratterizzato il ‘900.

Può sembrare ovvio sottolineare che questi processi riguardano soltanto le aree sviluppate: in realtà un’altra rilevanza significativa con la quale leggere il secolo riguarda appunto il nesso sviluppo-sottosviluppo, che in parte sottende il gigantesco processo di decolonizzazione dell’Asia e dell’ Africa e che, in parte, caratterizza il processo di globalizzazione dell’economia novecentesca.

Lo sguardo planetario, che all’inizio di queste riflessioni avevamo proposto come indispensabile per insegnare il ‘900, è costituito principalmente da questo nesso. Esso consente di comprendere le dinamiche dell’economia e le sue specificità novecentesche, che chiamano in causa non solo il concetto, già messo in evidenza di globalizzazione, ma anche quello di capitalismo organizzato, nel quale cioè il mercato ha perso progressivamente il ruolo di regolatore delle attività economiche, assunto da altri soggetti, quali lo stato, le grandi corporations, la banca, le relazioni industriali.

Quel nesso però rende intelligibili anche altri fenomeni drammatici come i nuovi flussi migratori o il ritorno dei fondamentalismi religiosi, che tra le masse diseredate dei Sud del mondo paiono aver preso il posto un tempo occupato dalle ideologie laiche occidentali.

In questa ricognizione sono emersi alcuni "caratteri" del Novecento che lo distinguono da tutti i secoli precedenti e che consentono di ordinare e interpretare una notevole quantità di fatti e di fenomeni: dentro questo "ordine" e all’interno di questa griglia di rilevanze essi acquistano "senso" storico.

Ci si potrebbe fermare qui, se ad una analisi più attenta, dietro questi caratteri, non emergesse un fenomeno trasversale e più profondo a cui potremmo attribuire un potere caratterizzante ancor più forte di quelli che abbiamo fin qui delineato.

Questo fenomeno é l’irruzione delle masse nella storia: il XX secolo è dunque il secolo delle masse, mentre tutti quelli che lo hanno preceduto sono stati i secoli delle èlites.

La percezione di questa novità, che segna una rottura profonda tra la contemporaneità e il passato, è già presente nella grande tradizione sociologica tardo - ottocentesca e primo - novecentesca, da Durkheim a Weber, a Weil a Pareto , nella filosofia antipositivistica, da Nietzsche e Simmel a Heidegger, e in tanta produzione letteraria - basta pensare al Celine di Au but de la nuit - : dalle pagine di questi intellettuali emerge persino drammaticamente, la consapevolezza che il mondo fosse ormai entrato nell’age des foules.

Le masse di cui parliamo non sono semplicemente una grande quantità di popolazione che entra in movimento: sono una complessa costruzione storica risultato dell’intreccio di almeno cinque fattori fondamentali:

            - la crescita sorprendente della popolazione

            - l’urbanizzazione

            - il taylorismo

            - la diffusione dei consumi a soglie sociali sempre più basse

            - l’alfabetizzazione.

Le masse quindi sono un agglomerato di individui scolarizzati, che si muove nello spazio sociale ed economico della città, a cui si apre per la prima volta l'accesso ai consumi e che sono coinvolti nella nuova organizzazione del lavoro fordista. Dentro le masse stanno uomini e donne e, in quanto parte integrante di questo agglomerato, sono entrambi sottoposti a processi di differenziazione di omologazione che ne rimodellano i ruoli e i rapporti.

Le masse quindi sono il più complesso prodotto della modernità, riconoscibile nella sua genealogia: il soggetto e la sua atomizzazione, il primato della tecnica, il progresso.

Man mano che questo nuovo soggetto cresce mette in campo una domanda di integrazione sociale che assume le forme di un protagonismo politico del tutto originale: il socialismo, il nazionalismo e poi il fascismo costituiscono le curvature ideologiche attraverso le quali si esprime questa volontà di integrazione al contempo di rottura dell’ordine sociale preesistente, rappresentato dall’elitismo liberale.

Tutti i fenomeni che abbiamo individuato in precedenza - guerra, ideologie, partito politici, mercato - assumono il loro senso se ad essi aggiungiamo l’attributo "di massa".

Democrazia e totalitarismo sono entrambi risposte storicamente determinate a questa richiesta di integrazione/rottura messa in campo dalle masse e sono comprensibili solo se viene presupposta l’esistenza di una società compiutamente massificata. La prima tende a garantire un' integrazione "dal basso", fondata sulla partecipazione e il conflitto organizzato degli interessi; la seconda ha proposto un modello di integrazione dall’alto, imperniato sulla enfatizzazione del primato dello stato sulla società e sulla centralità del capo carismatico. Entrambi però nascono come risposta al medesimo problema, quello appunto dell’integrazione sociale nell’epoca della società di massa.

Ma questo nuovo tipo di società rimodella completamente i comportamenti collettivi e crea nuovi stili di vita: dalla fruizione dell’opera d’arte ai consumi, dall’utilizzazione dello spazio al rapporti tra uomo e natura: buona parte delle aporie con cui gli uomini e le donne si confrontano in questa fine secolo - dall’ambiente ai limiti dello sviluppo, dalle nuove forme di comunicazione di massa ai nuovi nazionalismo - affondano le loro radici nella irrisolta complessità delle masse come soggetto storico.