Questo volume fa parte di una pregevole collana della Casa Editrice
Unicopli diretta da Angelo Malinverno dal titolo " Strumenti per
una didattica rinnovata- Didattica delle discipline" avviata nel
1999, che ha in attivo ben 12 titoli. Il laboratorio di storia è il
tema centrale, intorno a cui si articolano risposte teoriche,
metodologiche e operative secondo quattro prospettive diverse ma fra
loro convergenti : Giuseppe Deiana sviluppa una riflessione molto
ampia sulla funzione del laboratorio di storia e sulla sua
necessarietà per una didattica della storia riformata (grazie all’autonomia
e alle prospettive di nuovo curricolo verticale) , sostantivando la
riflessione teorica con le esperienze concrete svolte nel laboratorio
attivato presso il Liceo Scientifico "S. Allende" di Milano;
Giancarlo Pennacchietti ( Liceo Scientifico "S. Allende")
coniuga in modo originale l’idea del laboratorio con la didattica
modulare esemplificandola con percorsi di storia medievale; Antonino
Criscione (Istituto Magistrale "G.Agnesi", Milano), in un
saggio molto analitico, mostra la possibilità di intreccio fra il
laboratorio di storia e l’uso delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione; Concetta Brigadeci si occupa di un nodo cruciale
dell’insegnamento, la questione della "storia di genere" e
ne esemplifica un possibile approccio mediante il racconto di un’esperienza
compiuta presso l’Istituto Professionale " Bertarelli" di
Milano.
L’introduzione
di Maurizio Gusso chiarisce la prospettiva didattica sottesa alle
esperienze sopra citate ovvero il nesso indissolubile fra laboratorio,
ricerca e formazione per il rinnovamento della didattica della storia.
Suggerisce agli autori e ai lettori di collegarsi con le associazioni
nazionali di didattica della storia, che fanno parte del Forum delle
associazioni disciplinari della scuola ( Insmli, Landis, Clio’92,
Sis), di confrontarsi con le organizzazioni non governative che si
occupano di educazione interculturale e di educazione alla pace, e
invita ad interagire con gli enti nazionali e territoriali del
Ministero dell’Istruzione. Gusso propone un elenco esaustivo, con i
relativi siti internet, di tutte le organizzazioni interessate alla
didattica della storia.
La
centralità del laboratorio emerge dalle riflessioni di tutti gli
autori e il laboratorio di storia ha senso solo in una scuola che, a
sua volta, viene concepita come laboratorio di ricerca ; per Deiana il
termine ricerca è sinonimo di laboratorio "inteso come luogo e
modo concreto della sua realizzazione"; il laboratorio è uno
spazio fisico attrezzato ma anche "una modalità complessiva di
approccio alla disciplina e della mediazione didattica, come un nuovo
paradigma dell’insegnamento-apprendimento della cultura storica
centrato sul metodo della ricerca". I cardini su cui esso poggia
consistono nell’arricchimento della lezione frontale con l’uso di
strumenti audiovisivi, informatici ( come esemplifica Criscione),
librari, cartografici, nell’elaborazione e sperimentazione del
modello didattico della ricerca "simulata" o limitata, nella
realizzazione di esperienze di aggiornamento degli insegnanti e nell’apertura
al territorio con convegni e seminari che potenzino l’apporto
culturale della scuola alla cittadinanza. Ė importante
sottolineare che il laboratorio non può essere pensato come una
semplice integrazione del lavoro in classe: esso trasforma la
programmazione della didattica della storia e la sua interazione con
le altre discipline (cioè col consiglio di classe ) e muta il
rapporto insegnante –allievo: non può essere definita attività
laboratoriale quella che, all’interno di un insegnamento della
storia svolto cronologicamente, secondo l’ordine del manuale e
secondo la modalità privilegiata della lezione frontale, vede una
saltuaria integrazione della lezione mediante la proiezione di un film
o l’utilizzo di un audiovisivo.
Ė
doveroso che l’insegnante di storia chiarisca a se stesso le finalità
della ricerca didattica: il "modello forte" (Deiana) della
didattica della ricerca dovrebbe ispirarsi alla cultura della
complessità, sostantivata da motivazioni ideali e etiche razionali e
laiche, che si prefiggono l'educazione allo spirito della Resistenza,
alla salvaguardia dell’ambiente, allo sviluppo umano, alla
legalità, alla mondialità, alla pace, all’interculturalità e alla
responsabilità , che trovo di particolare rilievo in questo contesto
storico, a causa della sensazione di impotenza di fronte agli eventi
che sovente porta i giovani al disinteresse , alla delega acritica e
al ritrarsi nel privato.
Tra
gli obiettivi formativi che Deiana elenca mi sembrano di importanza
fondamentale quelli della "scrittura" e della
"centralità dello studente" , obiettivi che sono fra loro
strettamente collegati. La finalità della didattica laboratoriale,
più che produrre, come sostengono alcuni, dei "piccoli
storici" (non credo che l’insegnante di storia sia uno storico
e quindi, detto in modo un po’ semplicistico, non vedo come possa
trasformare gli studenti in storici) deve consistere nell’
acquisizione, da parte dello studente, di conoscenze storiche (se pur
parziali ), metodologiche ed epistemologiche: gli studenti, quindi,
dovrebbero essere in condizione di produrre materiali, nella forma del
saggio, della relazione, della dispensa, del dossier, dell’ipertesto,
con ciò attuando il passaggio dal sapere al saper fare e coniugando
capacità, abilità e competenze. L’esperienza laboratoriale può
essere dunque intesa come prassi di autonomia dello studente. L’elaborazione
di materiali, attraverso gli anni scolastici, è necessaria anche alla
costruzione della memoria della classe e della scuola , relativamente
alle attività didattiche che in esse sono svolte e che possono porsi
come rivelatori della cultura storica in senso lato e come indicatori
dello sviluppo dei processi di apprendimento e di rielaborazione
autonoma e critica. Con ciò, l’attività laboratoriale modifica
sostanzialmente anche le forme di verifica della disciplina, che non
possono più essere quelle tradizionali. Il libro in questione mostra
un certo equilibrio fra progettazione di esperienze e realizzazione
delle stesse: permane comunque la curiosità rispetto alla produzione
degli studenti: che cosa hanno scritto e ideato gli studenti,
protagonisti delle esperienze laboratoriali? Sarebbe auspicabile che
un prossimo volume vedesse raccolte le loro elaborazioni.
Giancarlo
Pennacchietti, che condivide con Deiana l'esperienza del laboratorio
del liceo "Allende" , sottolinea un aspetto che spesso viene
trascurato: la motivazione dell’insegnante e il suo entusiasmo nell’affrontare
la didattica laboratoriale. Prima di indagare le motivazioni degli
allievi sarebbe necessario che gli insegnanti chiarissero le loro: e
Pennacchietti elenca una serie di suggerimenti: se manca la curiosità
ed è assente un atteggiamento problematizzante, l’esperimento in
laboratorio non riuscirà; se si pensa che la storia sia un prodotto
già preconfezionato pronto per l’uso ( il fatto storico come dato e
non come costruzione), l’esperienza laboratoriale non potrà
consistere; se non si interroga il passato in funzione del presente e
se si ritiene il passato " morto" , il laboratorio sarà
solo un luogo fisico. Pennacchietti, che si occupa principalmente di
storia medievale, ha il merito di aver chiarito il senso della
didattica modulare , che continua a creare equivoci e che molti
ritengono essere uguale all’unità didattica; esemplifica inoltre
alcuni moduli di storia medievale che nella loro totalità possono
costituire una visione organica nonché problematica del medioevo
stesso. Pregevolissima e intrigante la bibliografia scientifica ma
anche la segnalazione di strumenti di "mediazione didattica"
come opere letterarie, romanzi ,anche gialli, e un lungo elenco di
film storici la cui presenza può essere costitutiva di un laboratorio
permanente di storia medievale.
Una
bibliografia molto ampia, e specialistica, si trova anche nel saggio
di Antonino Criscione. Gli insegnanti che guardano con una certa
diffidenza alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
fugheranno molte delle loro perplessità grazie alla lettura di Criss-crossed
landscapes (pp. 103-146).La riflessione di Criscione ruota attorno
a questo assunto: "E’ possibile [...] auspicare che l’inserimento
delle nuove tecnologie non venga considerato dagli insegnanti di
storia in termini strumentali (fare meglio e più velocemente ciò che
si è sempre fatto) ma diventi un potente contributo alla
ridefinizione dell’insieme delle strategie adottate nonché del
senso stesso dell’insegnare e dell’apprendere storia" (pg.
104). Questa considerazione è fondamentale: i mezzi, gli strumenti
non sono neutrali rispetto al processo di apprendimento e alla
costruzione del sapere. L’attenzione, come sostiene Criscione, si
sposta dall’insegnamento e dal curriculum all’apprendimento e allo
studente. A dimostrazione di ciò, il saggio sviluppa tre temi: il
primo riguarda la multimedialità e la definizione dell’ipertesto o
ipermedia , dei suoi usi e funzioni in contesti di apprendimento, il
secondo le simulazioni e i giochi per computer di ambientazione e
contenuto storici, il terzo la telematica e internet. Relativamente al
primo punto,vengono indagati i media e i modelli cognitivi ad essi
sottesi: solo i media simbolici( il linguaggio parlato o scritto, i
grafici, le tabelle) possiedono una struttura della comunicazione
isomorfa alla struttura della conoscenza e per tale motivo possono
essere molto efficaci per l’apprendimento. Contrariamente ai luoghi
comuni diffusi fra gli insegnanti, le tecnologie informatiche rendono
possibile anche un’interattività "transitiva" da parte
degli studenti, ovvero una loro partecipazione attiva nella gestione
delle modalità della comunicazione, nel ricevere e interpretare il
messaggio e nel selezionare i contenuti. Particolarmente intrigante è
il quesito, di difficile soluzione, sulla sopravvivenza della storia
all’ipertesto, quesito che scandaglia i caratteri fondanti il sapere
storico, messi in crisi dall’ipertesto, per la sua stessa
articolazione e struttturazione: la riflessione coinvolge quindi le
concezioni tradizionali di temporalità e di causalità e l’ipertesto
è visto come un "potenziale killer" della storia. Per
alcuni esperti tale strumento dà la possibilità di fruire di più
ampie basi documentarie e per altri invece consente la costruzione di
percorsi interpretativi i cui modelli di riferimento sono la scrittura
saggistica e il laboratorio dello storico: questo secondo aspetto
assume un rilievo maggiore per l’attività didattica laboratoriale,
in quanto permette allo studente di apprendere competenze trasferibili
su più oggetti. Il saggio aiuta anche a districarsi tra le varie
tipologie di giochi (soprattutto i giochi di simulazione) e le diverse
funzioni didattiche che assolvono.
L’ultima
parte del libro tratta della storia di genere : Concetta Brigadeci si
cimenta con uno dei temi più ardui della storia e della didattica
della stessa. Dopo un excursus ampio e approfondito del dibattito
svolto in sede scientifica sulle modalità mediante le quali è
possibile cercare di risolvere tale questione (un percorso nel
pensiero della differenza nazionale e internazionale ricostruito
attraverso le tappe significative di convegni, seminari e testi),
Brigadeci racconta di un’esperienza realizzata con gli studenti
avente come centro alcune interviste condotte da ragazze e rivolte a
donne e uomini che durante la II guerra mondiale erano bambini: la
ricerca ha cercato di stabilire una relazione fra storia generale e
storie individuali, con una valorizzazione , grazie alle modalità
narrative delle testimonianze, della soggettività del testimone
stesso. Tale esperienza didattica prende forma all’interno di una
riflessione scientifica sulla storia che si rifà soprattutto agli
studi di Luisa Passerini e di Paola Di Cori , che a lungo si sono
interrogate sulla memoria di una storia dalla quale le donne sono di
fatto escluse. La questione irrisolta dello scarto fra il tempo della
storia lineare e evolutivo e il tempo individuale , ciclico e
ripetitivo dell’esperienza delle donne nel corpo e nella casa è uno
dei temi più inquietanti per un approccio ad una nuova storia e a una
nuova didattica della stessa. Il problema della temporalità si
ripresenta ,all’interno di attività laboratoriali diverse (vedi
anche Criscione e Pennacchietti) come un tema centrale, perché
costitutivo della storia e del suo senso. Ma la storia di genere mette
in crisi anche altri paradigmi storiografici e pone un interrogativo
radicale: al di là delle ricerche che hanno recuperato il percorso
dell’emancipazione femminile e che hanno trattato delle forme, quasi
sempre violente, dell' esclusione delle donne, è veramente possibile
parlare di una storia al femminile, contrapposta alla logica del
dominio maschile (sottesa alla storiografia tradizionale e da questa
acriticamente accettata)? Non si corre forse il pericolo di ricadere
in atteggiamenti metafisici o di rozzo biologismo, presupponendo un
punto di vista di genere? Si rischia infatti di capovolgere la storia
al maschile, con un procedimento uguale e contrario e per ciò stesso
errato. Forse la soluzione potrebbe consistere nel ripensare la storia
come storia di uomini e donne "in relazione", le cui
identità si strutturano e si trasformano nella reciproca interazione
, svelando "l’assortimento dei ruoli sessuali e dei simbolismi
sessuali" in epoche storiche diverse e in situazioni specifiche.
Ma come praticare concretamente, con le giovani generazioni di
studenti, tale prospettiva? Brigadeci ha il merito di aver
sperimentato una soluzione alternativa, che con difficoltà può
diventare paradigmatica della didattica della storia. Ma il suo
intervento stimola la riflessione e induce il desiderio di mettersi
alla prova.
|