C. Brigadeci, A. Criscione, G. Deiana, M.Gusso, G. Pennacchietti , Il laboratorio di storia. Problemi e strategie per l’insegnamento nella prospettiva dei nuovi curricoli e dell’ autonomia didattica, Milano, Unicopli, 2001, pp. 192, £ 25.000
di Isabella D'Isola

 

     Questo volume fa parte di una pregevole collana della Casa Editrice Unicopli diretta da Angelo Malinverno dal titolo " Strumenti per una didattica rinnovata- Didattica delle discipline" avviata nel 1999, che ha in attivo ben 12 titoli. Il laboratorio di storia è il tema centrale, intorno a cui si articolano risposte teoriche, metodologiche e operative secondo quattro prospettive diverse ma fra loro convergenti : Giuseppe Deiana sviluppa una riflessione molto ampia sulla funzione del laboratorio di storia e sulla sua necessarietà per una didattica della storia riformata (grazie all’autonomia e alle prospettive di nuovo curricolo verticale) , sostantivando la riflessione teorica con le esperienze concrete svolte nel laboratorio attivato presso il Liceo Scientifico "S. Allende" di Milano; Giancarlo Pennacchietti ( Liceo Scientifico "S. Allende") coniuga in modo originale l’idea del laboratorio con la didattica modulare esemplificandola con percorsi di storia medievale; Antonino Criscione (Istituto Magistrale "G.Agnesi", Milano), in un saggio molto analitico, mostra la possibilità di intreccio fra il laboratorio di storia e l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; Concetta Brigadeci si occupa di un nodo cruciale dell’insegnamento, la questione della "storia di genere" e ne esemplifica un possibile approccio mediante il racconto di un’esperienza compiuta presso l’Istituto Professionale " Bertarelli" di Milano.

     L’introduzione di Maurizio Gusso chiarisce la prospettiva didattica sottesa alle esperienze sopra citate ovvero il nesso indissolubile fra laboratorio, ricerca e formazione per il rinnovamento della didattica della storia. Suggerisce agli autori e ai lettori di collegarsi con le associazioni nazionali di didattica della storia, che fanno parte del Forum delle associazioni disciplinari della scuola ( Insmli, Landis, Clio’92, Sis), di confrontarsi con le organizzazioni non governative che si occupano di educazione interculturale e di educazione alla pace, e invita ad interagire con gli enti nazionali e territoriali del Ministero dell’Istruzione. Gusso propone un elenco esaustivo, con i relativi siti internet, di tutte le organizzazioni interessate alla didattica della storia.

     La centralità del laboratorio emerge dalle riflessioni di tutti gli autori e il laboratorio di storia ha senso solo in una scuola che, a sua volta, viene concepita come laboratorio di ricerca ; per Deiana il termine ricerca è sinonimo di laboratorio "inteso come luogo e modo concreto della sua realizzazione"; il laboratorio è uno spazio fisico attrezzato ma anche "una modalità complessiva di approccio alla disciplina e della mediazione didattica, come un nuovo paradigma dell’insegnamento-apprendimento della cultura storica centrato sul metodo della ricerca". I cardini su cui esso poggia consistono nell’arricchimento della lezione frontale con l’uso di strumenti audiovisivi, informatici ( come esemplifica Criscione), librari, cartografici, nell’elaborazione e sperimentazione del modello didattico della ricerca "simulata" o limitata, nella realizzazione di esperienze di aggiornamento degli insegnanti e nell’apertura al territorio con convegni e seminari che potenzino l’apporto culturale della scuola alla cittadinanza. Ė importante sottolineare che il laboratorio non può essere pensato come una semplice integrazione del lavoro in classe: esso trasforma la programmazione della didattica della storia e la sua interazione con le altre discipline (cioè col consiglio di classe ) e muta il rapporto insegnante –allievo: non può essere definita attività laboratoriale quella che, all’interno di un insegnamento della storia svolto cronologicamente, secondo l’ordine del manuale e secondo la modalità privilegiata della lezione frontale, vede una saltuaria integrazione della lezione mediante la proiezione di un film o l’utilizzo di un audiovisivo.

     Ė doveroso che l’insegnante di storia chiarisca a se stesso le finalità della ricerca didattica: il "modello forte" (Deiana) della didattica della ricerca dovrebbe ispirarsi alla cultura della complessità, sostantivata da motivazioni ideali e etiche razionali e laiche, che si prefiggono l'educazione allo spirito della Resistenza, alla salvaguardia dell’ambiente, allo sviluppo umano, alla legalità, alla mondialità, alla pace, all’interculturalità e alla responsabilità , che trovo di particolare rilievo in questo contesto storico, a causa della sensazione di impotenza di fronte agli eventi che sovente porta i giovani al disinteresse , alla delega acritica e al ritrarsi nel privato.

    Tra gli obiettivi formativi che Deiana elenca mi sembrano di importanza fondamentale quelli della "scrittura" e della "centralità dello studente" , obiettivi che sono fra loro strettamente collegati. La finalità della didattica laboratoriale, più che produrre, come sostengono alcuni, dei "piccoli storici" (non credo che l’insegnante di storia sia uno storico e quindi, detto in modo un po’ semplicistico, non vedo come possa trasformare gli studenti in storici) deve consistere nell’ acquisizione, da parte dello studente, di conoscenze storiche (se pur parziali ), metodologiche ed epistemologiche: gli studenti, quindi, dovrebbero essere in condizione di produrre materiali, nella forma del saggio, della relazione, della dispensa, del dossier, dell’ipertesto, con ciò attuando il passaggio dal sapere al saper fare e coniugando capacità, abilità e competenze. L’esperienza laboratoriale può essere dunque intesa come prassi di autonomia dello studente. L’elaborazione di materiali, attraverso gli anni scolastici, è necessaria anche alla costruzione della memoria della classe e della scuola , relativamente alle attività didattiche che in esse sono svolte e che possono porsi come rivelatori della cultura storica in senso lato e come indicatori dello sviluppo dei processi di apprendimento e di rielaborazione autonoma e critica. Con ciò, l’attività laboratoriale modifica sostanzialmente anche le forme di verifica della disciplina, che non possono più essere quelle tradizionali. Il libro in questione mostra un certo equilibrio fra progettazione di esperienze e realizzazione delle stesse: permane comunque la curiosità rispetto alla produzione degli studenti: che cosa hanno scritto e ideato gli studenti, protagonisti delle esperienze laboratoriali? Sarebbe auspicabile che un prossimo volume vedesse raccolte le loro elaborazioni.

    Giancarlo Pennacchietti, che condivide con Deiana l'esperienza del laboratorio del liceo "Allende" , sottolinea un aspetto che spesso viene trascurato: la motivazione dell’insegnante e il suo entusiasmo nell’affrontare la didattica laboratoriale. Prima di indagare le motivazioni degli allievi sarebbe necessario che gli insegnanti chiarissero le loro: e Pennacchietti elenca una serie di suggerimenti: se manca la curiosità ed è assente un atteggiamento problematizzante, l’esperimento in laboratorio non riuscirà; se si pensa che la storia sia un prodotto già preconfezionato pronto per l’uso ( il fatto storico come dato e non come costruzione), l’esperienza laboratoriale non potrà consistere; se non si interroga il passato in funzione del presente e se si ritiene il passato " morto" , il laboratorio sarà solo un luogo fisico. Pennacchietti, che si occupa principalmente di storia medievale, ha il merito di aver chiarito il senso della didattica modulare , che continua a creare equivoci e che molti ritengono essere uguale all’unità didattica; esemplifica inoltre alcuni moduli di storia medievale che nella loro totalità possono costituire una visione organica nonché problematica del medioevo stesso. Pregevolissima e intrigante la bibliografia scientifica ma anche la segnalazione di strumenti di "mediazione didattica" come opere letterarie, romanzi ,anche gialli, e un lungo elenco di film storici la cui presenza può essere costitutiva di un laboratorio permanente di storia medievale.

     Una bibliografia molto ampia, e specialistica, si trova anche nel saggio di Antonino Criscione. Gli insegnanti che guardano con una certa diffidenza alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione fugheranno molte delle loro perplessità grazie alla lettura di Criss-crossed landscapes (pp. 103-146).La riflessione di Criscione ruota attorno a questo assunto: "E’ possibile [...] auspicare che l’inserimento delle nuove tecnologie non venga considerato dagli insegnanti di storia in termini strumentali (fare meglio e più velocemente ciò che si è sempre fatto) ma diventi un potente contributo alla ridefinizione dell’insieme delle strategie adottate nonché del senso stesso dell’insegnare e dell’apprendere storia" (pg. 104). Questa considerazione è fondamentale: i mezzi, gli strumenti non sono neutrali rispetto al processo di apprendimento e alla costruzione del sapere. L’attenzione, come sostiene Criscione, si sposta dall’insegnamento e dal curriculum all’apprendimento e allo studente. A dimostrazione di ciò, il saggio sviluppa tre temi: il primo riguarda la multimedialità e la definizione dell’ipertesto o ipermedia , dei suoi usi e funzioni in contesti di apprendimento, il secondo le simulazioni e i giochi per computer di ambientazione e contenuto storici, il terzo la telematica e internet. Relativamente al primo punto,vengono indagati i media e i modelli cognitivi ad essi sottesi: solo i media simbolici( il linguaggio parlato o scritto, i grafici, le tabelle) possiedono una struttura della comunicazione isomorfa alla struttura della conoscenza e per tale motivo possono essere molto efficaci per l’apprendimento. Contrariamente ai luoghi comuni diffusi fra gli insegnanti, le tecnologie informatiche rendono possibile anche un’interattività "transitiva" da parte degli studenti, ovvero una loro partecipazione attiva nella gestione delle modalità della comunicazione, nel ricevere e interpretare il messaggio e nel selezionare i contenuti. Particolarmente intrigante è il quesito, di difficile soluzione, sulla sopravvivenza della storia all’ipertesto, quesito che scandaglia i caratteri fondanti il sapere storico, messi in crisi dall’ipertesto, per la sua stessa articolazione e struttturazione: la riflessione coinvolge quindi le concezioni tradizionali di temporalità e di causalità e l’ipertesto è visto come un "potenziale killer" della storia. Per alcuni esperti tale strumento dà la possibilità di fruire di più ampie basi documentarie e per altri invece consente la costruzione di percorsi interpretativi i cui modelli di riferimento sono la scrittura saggistica e il laboratorio dello storico: questo secondo aspetto assume un rilievo maggiore per l’attività didattica laboratoriale, in quanto permette allo studente di apprendere competenze trasferibili su più oggetti. Il saggio aiuta anche a districarsi tra le varie tipologie di giochi (soprattutto i giochi di simulazione) e le diverse funzioni didattiche che assolvono.

      L’ultima parte del libro tratta della storia di genere : Concetta Brigadeci si cimenta con uno dei temi più ardui della storia e della didattica della stessa. Dopo un excursus ampio e approfondito del dibattito svolto in sede scientifica sulle modalità mediante le quali è possibile cercare di risolvere tale questione (un percorso nel pensiero della differenza nazionale e internazionale ricostruito attraverso le tappe significative di convegni, seminari e testi), Brigadeci racconta di un’esperienza realizzata con gli studenti avente come centro alcune interviste condotte da ragazze e rivolte a donne e uomini che durante la II guerra mondiale erano bambini: la ricerca ha cercato di stabilire una relazione fra storia generale e storie individuali, con una valorizzazione , grazie alle modalità narrative delle testimonianze, della soggettività del testimone stesso. Tale esperienza didattica prende forma all’interno di una riflessione scientifica sulla storia che si rifà soprattutto agli studi di Luisa Passerini e di Paola Di Cori , che a lungo si sono interrogate sulla memoria di una storia dalla quale le donne sono di fatto escluse. La questione irrisolta dello scarto fra il tempo della storia lineare e evolutivo e il tempo individuale , ciclico e ripetitivo dell’esperienza delle donne nel corpo e nella casa è uno dei temi più inquietanti per un approccio ad una nuova storia e a una nuova didattica della stessa. Il problema della temporalità si ripresenta ,all’interno di attività laboratoriali diverse (vedi anche Criscione e Pennacchietti) come un tema centrale, perché costitutivo della storia e del suo senso. Ma la storia di genere mette in crisi anche altri paradigmi storiografici e pone un interrogativo radicale: al di là delle ricerche che hanno recuperato il percorso dell’emancipazione femminile e che hanno trattato delle forme, quasi sempre violente, dell' esclusione delle donne, è veramente possibile parlare di una storia al femminile, contrapposta alla logica del dominio maschile (sottesa alla storiografia tradizionale e da questa acriticamente accettata)? Non si corre forse il pericolo di ricadere in atteggiamenti metafisici o di rozzo biologismo, presupponendo un punto di vista di genere? Si rischia infatti di capovolgere la storia al maschile, con un procedimento uguale e contrario e per ciò stesso errato. Forse la soluzione potrebbe consistere nel ripensare la storia come storia di uomini e donne "in relazione", le cui identità si strutturano e si trasformano nella reciproca interazione , svelando "l’assortimento dei ruoli sessuali e dei simbolismi sessuali" in epoche storiche diverse e in situazioni specifiche. Ma come praticare concretamente, con le giovani generazioni di studenti, tale prospettiva? Brigadeci ha il merito di aver sperimentato una soluzione alternativa, che con difficoltà può diventare paradigmatica della didattica della storia. Ma il suo intervento stimola la riflessione e induce il desiderio di mettersi alla prova.