Giuseppe Deiana (a cura di), La scuola come laboratorio. La ricerca storica. Polaris, Faenza, 1999, pp.236, £ 25.000.
di Emanuele Criscione

 

      "Ricerca storica simulata" è la definizione usata da Giuseppe Deiana per configurare la specificità dei processi didattici attivati, per l'insegnamento della storia, da un gruppo di docenti di diverse scuole, medie e superiori, dell'area sud di Milano. Il concetto di simulazione in questo caso attiene più al campo degli obiettivi che a quello delle pratiche didattiche. In effetti, i lavori realizzati e documentati costituiscono vere e proprie ricerche, produzione di conoscenze nuove, e non tanto riscoperta, attraverso documenti e fonti preventivamente predisposte, di fatti e realtà altrimenti già note.

    Con buone ragioni, quindi, si può parlare di trasformazione dell'unità classe in comunità di apprendimento costituita sul modello della comunità "scientifica": il docente si riconfigura in maestro che, conoscendo la metodologia della ricerca e la storiografia, predispone il contesto, determinando temi e obiettivi "proporzionati alle possibilità cognitive [...] degli studenti"; dà indicazioni, fornisce assistenza alla ricerca; formula ipotesi ma anch'egli è in attesa di risposta, in atteggiamento di interrogazione. L'ingrediente che da un punto di vista pedagogico assume carattere fondativo della ricerca storica simulata e che legittima le riflessioni teoriche- insegnare secondo epistemologia storica e secondo epistemologia didattica- è la centralità del soggetto che apprende, l'obiettivo di "valorizzare le potenzialità cognitive" dei soggetti in formazione, di far maturare in loro "attitudine interrogante", capacità di lettura critica degli eventi, " un metodo per comprendere i fatti a partire dalle fonti".

    Le ricerche di storia locale appaiono le più utili sia per agire sul versante della "funzione formativa di costruzione dell'identità e del riconoscimento delle identità diverse" sia come auspicabile passaggio per comprendere la storia generale. Si tratta quindi di mettere a punto modelli di comprensione e spiegazione per un approccio rigoroso alla storia locale. "[…] che considera la conoscenza della storia locale come accesso alla conoscenza generale dei processi storici, sulla base dei principi e delle regole di una buona metodologia storiografica, secondo le quali gli storici costruiscono le generalizzazioni e le astrazioni della storia generale dopo aver studiato i casi locali e particolari".

   Sebbene le ricerche documentate e realizzate in ambito didattico siano prevalentemente microstorie non è trascurata né ritenuta impraticabile la ricerca su tematiche generali o di macrostoria. In particolare Giancarlo Pennacchietti sostiene l'utilità di lavori di macrostoria in quanto sollecitati dagli avvenimenti del presente che pongono la necessità di rispondere a domande, insorgenti nei giovani, di comprensione e spiegazione di problemi che investono il mondo e la società attuale. In tal caso il problema è di scegliere temi adeguatamente definiti e affrontare con rigore i problemi di mediazione didattica.

   Saggi di come si possa procedere a tematizzare e a segmentare adeguatamente sono offerti dal progetto elaborato da Cazzaniga, Glorioso e Pennacchietti per lo studio dei "mitici e ambigui anni '60" e dall'ampia trattazione delle problematiche dell'Italia dalla Resistenza a oggi in cui Deiana traccia un articolato panorama della storiografia, delinea ipotesi di periodizzazione e soprattutto individua possibili percorsi di ricerca in ambito didattico. I resoconti delle esperienze portate a termine dagli insegnanti-ricercatori mentre illustrano il processo di ricerca e i criteri di indagine delle fonti, con misura felice rendono conto di ciò che è stato scoperto e appreso. Emerge un'area urbana e suburbana del sud di Milano popolata di manufatti architettonici, campi irrigui e rogge, cascine e monasteri che raccontano storie antiche e storie più recenti di urbanizzazione poco rispettosa dei siti, distruttiva delle identità e della memoria. Il Quartiere Stadera racconta la storia della sua Resistenza come affiora dalla memoria dei partigiani e la sua storia operaia attraverso le testimonianze sulla Grazioli, una fabbrica metalmeccanica di macchine utensili, la cui vicenda si sviluppa dagli anni '30 al 1980. "Oggi la fabbrica è quasi del tutto abbattuta. Ma io mi sono portato a casa alcuni mattoni e un macigno come ricordo. Li ho portati nell'orticello che ho in campagna".

   Da questa testimonianza di un ex-operaio della Grazioli potrebbe cominciare un'altra storia, più generale, di operai di mestiere e operai-massa, di figure tipiche di imprenditori fatti da sé, per spirito di iniziativa e competenze tecniche, autoritari e paternalisti come Giacomo Grazioli e Ambrogio Binda, che pretendeva l'appellativo di "amorevolissimo padre", di ritmi di lavoro, di sfruttamento e sistema di "human relations" nella fabbrica fordista.

Per dirla con Concetta Brigadeci, che ha organizzato la ricerca sul bottonificio Binda, si potrebbe mostrare "il tempo storico iscritto in un corpo-materia fatto di carta e di pietra…"