Politici e giornalisti hanno molto insistito nel paragonare Milosevic ad Hitler e nel definire la pulizia
etnica dei Serbi genocidio. Si riporta qui l'opinione di due intellettuali, che si
sono opposti a questa definizione, ricordando l'unicità storica della Shoah.
Lo scrittore israeliano David Grossman
scrive in un articolo dal titolo Ma non è l'olocausto in "La Repubblica",
14 aprile 1999:
So che alcuni paragonano quello che sta
avvenendo in Kosovo con l'Olocausto. Io rifiuto questo genere di paragone. Primo perché
le catastrofi non possono essere confrontate: probabilmente c'è un bisogno umano di
catalogare, paragonare, mettere in relazione gli eventi, ma credo che ogni confronto sia
ingiusto verso entrambe le tragedie. I serbi non stanno tentando di sterminare gli
albanesi del Kosovo, mentre l'obiettivo dei nazisti era di cancellare l'intero popolo
ebraico. Intendevano far scomparire gli ebrei non da un territorio, ma dal mondo, in
quanto razza da estinguere, e, insieme alla razza, estinguere la cultura ebraica, le sue
tradizioni, la sua storia. Da questo punto di vista, la pulizia etnica contro i kosovari e
il genocidio contro gli ebrei non sono paragonabili.
Il politologo K.S. Karol individua, in
un intervento, intitolato Del buon uso delle parole in "Il Manifesto",
4 maggio 1999, una ragione storica e politica di questi paragoni, che fa risalire al
revisionismo storico:
In Kosovo la popolazione viene deportata,
e questo è già un crimine grave, particolarmente crudele. Ne so qualcosa anch'io,
deportato a quindici anni dalla città polacca di Lvov in Siberia. Ma non ne sono morto,
come non ne sono morti gli altri circa cinquecentomila deportati polacchi, mentre il 22%
della popolazione della Polonia, metà della quale composta da ebrei, sono stati sterminati
dai tedeschi. Fare un'equivalenza tra deportazioni e genocidio significa relativizzare
il nazismo. (..) Finora prove di eccidi come quelli di Srebenicza non ne abbiamo. Ma
anche se ci fossero, e molto si può recriminare sulle sicure fucilazioni di presunti o
veri membri dell'Uck, un massacro non è un genocidio. Marzabotto, Civitella di
Chiana, Boves furono massacri, ma non si è mai parlato di genocidio degli italiani. Genocidio
significa sterminio di una popolazione, soluzione finale. C'è una graduazione del
male, e bisogna pure tenerne conto se si vuole capirne la natura.
Prevale nei mass-media l'assimilazione dei due
termini: pulizia etnica e genocidio. Il giornalista americano Roger Cohen rileva
come il termine genocidio sia stato usato sia dai Serbi che dagli albanesi,
addossando tutta la responsabilità della Bosnia e del Kosovo a Milosevic.
I due brani sono tratti da Non chiamateli Balcani , The New York Times, 16
ottobre 1998, in "Indice Internazionale - La notte del Kosovo", a cura di
J. Zanchini, 1999)
Perché una guerra immaginaria e un
genocidio immaginario che la maggior parte dei degli abitanti di un paese ritengono reali,
possono col tempo portare a una vera guerra e a un vero genocidio? Così successe in
Bosnia durante il violento attacco serbo del 1992 e così sembra che stia succedendo oggi
nei villaggi devastasti del del Kosovo come Dunji Obrinje.
Per tutto il periodo delle guerre che hanno distrutto la Jugoslavia, la parola genocidio
è stata la più usata dal vocabolario serbo, un lasciapassare che permetteva all'eterna
vittima serba di uccidere con ostinata cecità. Nel 1993, in risposta alle sanzioni
economiche inflitte alla Serbia dalla comunità internazionale, Milosevic chiese con quale
diritto i paesi occidentali avessero "trasformato 12 milioni di abitanti europei in
vittime di quello che, spero, sia l'ultimo genocidio di questo secolo".(
)
Milosevic ha avuto uno scopo costante: quello di utilizzare i più cupi fantasmi balcanici
per ispirare la paura ( e l'altra faccia della paura, la folle violenza) che gli ha
permesso di prosperare. E, a quanto sembra, i governi occidentali sono stati pronti a fare
lo stesso gioco per giustificare la loro rinuncia a intervenire. Come disse Clinton nel
1994, "in questo caso, la verità è che lì la gente continua ad uccidersi".
E' vero che la violenza nei Balcani è particolarmente efferata, come è confermano i
corpi mutilati del Kosovo. Il desiderio di cancellare qualsiasi traccia
dell'"altro" in una terra in cui i confini cambiano continuamente, l'aspetto
fratricida di molti degli eccidi tra gli slavi del sud, i frenetici tentativi di tracciare
linee di confine etnico attraverso una realtà fatta di intrecci razziali, riflessi della
vecchia crociata contro gli infedeli, l'abitudine ottomana di rendere pubbliche le
esecuzioni per scoraggiare nuovi reati, i cicli sempre più ravvicinati di mit0o e
vendetta che si avvicendano: tutto questo senza dubbio ha un suo ruolo. Ma non c'è nulla
di inevitabile in quello che sta accadendo nei Balcani. Ci sono delle cause precise. E non
sono né la storia lontana né la predisposizione genetica ad uccidere.
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