Roberto
Grassi non è un romanziere di professione ma l’opera che ha composto
ha il ritmo e le caratteristiche di un giallo d’altri tempi, se così
si può definire il racconto di una Milano di fine ottocento dove pare,
ma non è certo, sia accaduto un delitto. La
narrazione ci trasporta infatti nella città lombarda degli anni 1881
-1884, percorsa dai tramway trainati dai cavalli, abitata da ricchi
borghesi con i cappelli a cilindro, fiorente grazie all’ espansione
delle attività produttive, garantita nel contempo dalla recente
apertura del carcere "cellulare" di S. Vittore e
caratterizzata anche dai quartieri popolari come quello di Porta Genova,
teatro delle gesta della malavita locale , la ligera o , come si
diceva allora, i locch. Porta
Genova: "Nel quartiere si trovano botteghe e negozi di ogni sorta.
Ma soprattutto abbondano locande, trattorie e mescite. Il viavai dei
cavallanti e carrettieri, facchini e manovali, piccoli bottegai e
grossisti che s’affannano tra il porto della darsena e la stazione
ferroviaria fornisce una clientela di appetito robusto e di facile
palato"(pag. 21): è qui che la Società della teppa, capeggiata da
Oreste Hadrowa , di 23 anni, detto il Dottorino, commette i suoi crimini
, secondo quanto è riportato nel Fondo Questura, presso l’Archivio di
Stato di Milano, cartella 36, dal fascicolo intitolato "Società
della teppa".
L’originalità del libro di Roberto
Grassi si delinea a partire dall’utilizzo di una documentazione
autentica per la costruzione di una storia di malavita milanese, storia
che appare chiarissima nelle sue varie fasi, processo compreso, ma il
cui esito finale è avvolto nell’ombra. "Ho
cercato di raccontare tre storie: quella della "associazione di
malfattori a oggetto di delinquere", quella della città e quella
di due persone. Quest’ultima, insomma, è stata la meno fedele"(
pag. 90), scrive Grassi, il quale, funzionario della Direzione Generale
Cultura della Regione Lombardia e insegnante di materie archivistiche
presso l’Università degli Studi di Pavia, è fra i protagonisti de
"I documenti raccontano". Questo progetto della Regione
Lombardia per la promozione degli Archivi storici ha comportato la
nascita , da circa due anni, di una Scuola di scrittura che
"insegna" scrittura creativa, anzi "moderatamente"
creativa agli archivisti, agli insegnanti e a tutti coloro che sono
interessati: infatti i racconti prendono forma dalla ricostruzione di
fatti realmente accaduti, in ambientazioni rispettose del periodo
storico.
"L’onore della Virginia" è
frutto del Progetto "I documenti raccontano"; l’anno scorso
la Fondazione Mondadori aveva pubblicato le prime esperienze narrative
dei partecipanti , archivisti e insegnanti, al corso curato da Laura
Lepri: i sedici racconti sono stati raccolti sotto il titolo Luoghi e
personaggi ritrovati negli Archivi lombardi , a cura di L. Lepri,
Milano 2001. L’obiettivo
principale del progetto consiste nel tentativo di dare visibilità al
patrimonio archivistico, solitamente ignorato, mediante un uso non
storiografico ma narrativo delle fonti, proponendo un coinvolgimento non
usuale degli archivisti e degli insegnanti che svolgono attività
didattica negli archivi delle loro scuole. Questa
esperienza può essere molto significativa anche per gli studenti,
attenti alle fonti storiche e ad un loro molteplice uso. Il
prossimo anno scolastico la Scuola di scrittura proseguirà l’attività
probabilmente presso la sede della Fondazione Mondadori.
Il Fondo Questura, cartella 36,
documenta che dal 1881 al 1883 sono stati perpetrati dalla Società
della teppa ben 30 reati , più 13 di cui gli otto imputati, fra cui
ovviamente Oreste Hadrowa, devono
rispondere alla Corte di Milano. La cronaca delle malefatte ed
efferatezze commesse dal gruppo , oltre al resoconto del processo, è
raccontata anche nel "Corriere della sera", nel
"Secolo", nel "Pungolo", e nel giornale
"Perseveranza". La
teppaglia si dedica alacremente al furto ( spesso non paga il conto all’osteria),
alla rapina (ruba gli incassi alle prostitute della casa di via Visconti
provocando reiterati disordini), non paga la merce comprata e riempie di
botte il commerciante malcapitato, commette esibizioni pubbliche che
offendono il comune senso del pudore, schiaccia i cappelli a cilindro di
cittadini illustri, ubriaca per diletto gli asini: "Anche facendo
la tara agli allarmismi giornalistici ,per un certo periodo,
rappresentarono effettivamente il terrore di Porta Genova"( pag.
91). Ma la questione centrale è un’altra:
l’invaghimento tenace di Oreste per la figlia dell’oste Petracchi
Francesco, "la" Virginia, come usano dire i milanesi.:
"la giovine, che di professione faceva la sarta, era quel che si
dice un bocconcino…"( pag. 18). Oreste, abituato ad averla vinta
con tutti, non riesce ad avere lei, malgrado azioni sciagurate e degne
della sua fama di capo-teppa. E’ effettivamente Virginia, con la sua
fierezza, compostezza e procacità, non disgiunta da una voce da
soprano, ad essere il testimone chiave per le imputazioni d’accusa,
riuscendo persino ad imbambolare il cronista del Corriere della sera,
oltre al giudice.
Come la vicenda vada a finire, non è possibile raccontare in questa
sede. Si può aggiungere che la
documentazione del processo mostra una grande partecipazione di popolo e
che " …Milano si era attribuita un ruolo guida per il Paese. La
teppa non ne era stata informata…Alla fine la capitale morale se ne
fece una ragione. Imparò a convivere, finchè le era possibile, con
quella che prese a considerare la parte peggiore di sé". ( pag.
80).
Il libro di Grassi presenta un corredo
fotografico pregevolissimo, anche se non illustrativo delle vicende
narrate: le foto provengono dalle collezioni del Civico Archivio
fotografico di Milano e mostrano la Milano di fine secolo. Inframmezzati
al racconto degli eventi l’autore propone passi tratti dai libri di
Guido Lopez e Paolino Valera, che contribuiscono a definire l’atmosfera
della città e le peculiarità dei suoi abitanti.
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