IL NOVECENTO COME SECOLO DELLE MASSE

MATERIALI PRODOTTI DAL LABORATORIO

Sezione didattica ISTORECO. Reggio Emilia

 

Ambito economico
Ambito culturale
Ambito politico

Il secolo dei diritti

Massificazione /atomizzazione

 


Fino alle soglie del Novecento, anche nelle società "avanzate"la grande maggioranza della popolazione viveva in condizione di sudditanza e/o di esclusione economica culturale e politica: era infatti ai limiti della sopravvivenza materiale, marginale rispetto agli scambi di mercato e ai consumi, senza diritti di voto e di partecipazione
alla vita politica, esclusa dalla cultura scritta in quanto analfabeta. Nel corso del Novecento, invece, le masse diventano soggetto della storia, ovvero si realizza quella che è comunemente definita società di massa. Tale processo ha tempi diversi secondo le aree (prima nel Nord America, poi nell'Europa occidentale, poi nel resto del continente europeo e nel "Nord" del mondo, in seguito ma solo in parte e solo per alcuni aspetti nel Sud del mondo) e secondo gli ambiti (economico, culturale, politico) in cui si realizza:

 

A. Ambito economico

a.1 Tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento si sgretola la "civiltà contadina", che nei suoi tratti fondamentali - autoconsumo, marginalità rispetto al mercato e all'economia monetaria, separatezza dal resto della società, importanza dei valori tradizionali, delle consuetudini, delle gerarchie sociali, della famiglia patriarcale, della
religione - era rimasta immobile per secoli, e nella quale era immersa la maggior parte della popolazione (dal 70 all'80%, nel primo Ottocento, nell'Europa continentale). Il modello di vita prevalente diventa quello urbano-metropolitano, sia perchè nelle città si concentra la maggior parte della popolazione, sia perchè esso influenza progressivamente anche quanti continuano a vivere nei centri minori e nelle campagne.

 

a.2 Nell'industria, le profonde trasformazioni tecnologiche e organizzative legate alla seconda rivoluzione tecnologica (vedi cornice n. 2) da una parte creano nuove figure di lavoratori, espandendo il numero degli impiegati e dei tecnici e sostituendo all'operaio di
mestiere I' operaio-massa a bassissima professionalità (cioè l' addetto alle linee della catena di montaggio); dall'altra parte rendono possibile la produzione di serie, che ha costi sempre più bassi e che diventa quindi produzione di massa. Questo aspetto non viene meno, ed anzi si accentua, nell'ultimo quarto del secolo, quando la terza
rivoluzione tecnologica sostituisce alla produzione di serie e al fordismo la flessibilizzazione dei processi (tojotismo) e dei prodotti, sempre più diversificati e "personalizzati".

 

a.3 Causa e al contempo conseguenza del punto precedente è l'avvio dei consumi di massa, per cui una quantità crescente di beni e servizi possono essere rivolti ad una sempre più vasta platea di consumatori. I mezzi di trasporto (dalla bicicletta al ciclomotore all'automobile), poi i cosiddetti beni di consumo durevoli (elettro-
domestici e prodotti per la casa), poi altri beni sempre più sofisticati (fino ai personal computer e ai telefonini cellulari) diventano via via gli status symbol di una civiltà occidentale nella quale il riconoscimento sociale poggia sempre più sul "potere d'acquisto", cioè sull'identità di consumatore. Ciò si verifica secondo tempi e ritmi
molto diversi: negli USA già negli anni '20, in Europa occidentale nel secondo dopoguerra, in Italia dagli anni ' 60 per i ceti medi impiegatizi, dagli anni '70-'80 per le masse popolari. Questo processo di "produzione dei consumatori" è favorito dalla riduzione degli orari di lavoro che crea il tempo libero anche per le masse, dilatando le loro possibilità di spesa, e moltiplicando i settori produttivi (turistico-alberghiero, sport e tempo libero, cura del corpo, industria dello spettacolo, pubblicità, ecc) e le-reti distributive (dai grandi magazzini agli ipermercati, dalle vendite rateali e quelle
"porta-a-porta" alle tele-vendite ).

 

B. Ambito culturale

b.1 Già nella seconda metà dell'Ottocento gli stati si erano preoccupati di ridurre o eliminare l' analfabetismo di massa rendendo obbligatoria la scolarizzazione di base; nella seconda metà del Novecento anche l'istruzione secondaria, e in misura minore quella universitaria, modificano le loro strutture e finalità: non più (solo) la selezione delle future classi dirigenti, ma (anche) l'istruzione e la formazione delle masse.

b.2 L' estendersi dell' alfabetizzazione favorisce la diffusione di nuovi mezzi di acculturazione come giornali, rotocalchi, e generi letterari derivanti dal romanzo ottocentesco e indirizzati al grande pubblico: la letteratura d'appendice, il rosa, il giallo, l'avventura, la fantascienza. Ma l'acculturazione delle masse passa anche e sempre più attraverso canali nuovi, diversi dalla tradizionale cultura scritta: all' alba del secolo il cinema, prima muto poi sonoro; dagli anni '30 la radio; dagli anni '50 la TV (in Italia l'unificazione linguistica, il superamento della dialettofonia e del semi-analfabetismo si devono soprattutto a questi canali multimediali).

b.3 La nuova cultura di massa si configura come diversa rispetto all'alta cultura (sia quella artistico-umanistica che quella scientifico-tecnologica), e al contempo ne influenza le forme espressive (ad esempio nei campi della pittura e dell'architettura). Ma quel che è più evidente è la nascita di nuove arti (la fotografia, il cinema, il design) e di una vera e propria industria culturale (vedi 1.3) di massa, sia in forma "generalista", sia rivolta a specifiche fasce sociali e soprattutto generazionali (gli adolescenti, i giovani): la musica leggera (concerti, dischi, compact disk), gli spettacoli televisivi di evasione, la pubblicità, la moda, gli sport di massa (da praticanti e soprattutto da tifosi, allo stadio/palasport o davanti alla TV). Tutto questo comporta la creazione di miti, cioè eroi moderni in cui il grande pubblico possa identificarsi: è la nascita del divismo, sempre
più inflenzato dai mass-media (gli attori/attrici fin dagli anni anni venti, poi i cantanti, i personaggi dello sport, fino ai presentatori televisivi e ai DJ, alle show girls e alle top models. etc).

 

C. Ambito politico

c.1 Intermedio tra il piano economico-sociale e quello politico è il fenomeno dell'affermazione dei sindacati, soggetti sociali collettivi che nella civiltà industriale aggregano e rappresentano gli interessi collettivi dei lavoratori dipendenti sia sui luoghi di lavoro (la contrattazione aziendale e di categoria con il padronato) sia nella sfera politica (con i governi). La crescita dei sindacati, soprattutto ma non solo operai, si realizza soprattutto tra gli anni dieci-venti e gli anni settanta, secondo modelli organizzativi, strategie d'azione e rilevanza politico-sociale diversi nei differenti paesi. Invece, nell ' età della terza rivoluzione tecnologica, il loro ruolo tende a declinare o a spostarsi sul terreno della contrattazione con i governi ( concertazione ).

c.2 Il sistema liberale ottocentesco rappresentava élites molto ristrette di maschi adulti benestanti, gli unici depositari del diritto di voto (in Italia, nel 1861, gli aventi diritto erano 1'1,9% della popolazione). Gradualmente, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento entrò in vigore il suffragio universale maschile (in Italia nel 1919), e tra la 1A e la 2A guerra mondiale anche quello femminile (in Italia nel 1946): solo con il suffragio universale si può parlare di passaggio dal liberalismo alla democrazia di massa, con le conseguenze che essa comporta: la necessità per i governanti di cercare in modi nuovi il consenso, la possibilità per tutti i governati di partecipare alla vita politica.

c.3 Il passaggio dal liberalismo ottocentesco alle democrazie di massa del Novecento sposta l'asse politico dalla centralità (di diritto e di fatto) del parlamento alla centralità (di fatto) dei partiti politici, i principali organismi attraverso i quali si realizza la partecipazione attiva delle masse alla vita politica. La novità dei partiti del Novecento, rispetto ad altre strutture politiche di età precedenti, è costituita da: 1. una vasta base popolare di iscritti; 2. il carattere permanente dei partiti ( a differenza dei comitati elettorali presenti nel sistema liberale) e quindi la nascita di apparati di funzionari che
ne garantiscano il funzionamento; 3. l'esigenza della disciplina di partito (che sarà particolarmente forte nei partiti comunisti, attraverso la formula del "centralismo democratico"); 4. il controllo - almeno formale - della base sui vertici, nella formazione dei programmi e nella nomina dei gruppi dirigenti. Propaganda, militanza, comizi,
assemblee e manifestazioni politiche diventano così, nel Novecento, attività capillarmente diffuse. Per primi ad organizzarsi sono i partiti di opposizione di sinistra (prima i socialisti, a fine Ottocento, poi i comunisti, dopo la 1 A guerra mondiale ), che si presentano come partiti classisti, e più precisamente come espressione degli interessi
e delle aspirazioni della classe operaia; poi sorgono i partiti confessionali, inizialmente espressione del mondo contadino e di ceti medi urbani; i partiti nazionalisti e, dopo la 1 A guerra mondiale, quelli fascisti; più lente ad muoversi nella logica del suffragio universale sono le classi dirigenti di ispirazione liberale. Nella seconda metà del secolo, poi, si afferma sempre più un orientamento di tipo interclassista che porta quasi tutti i partiti a cercare consensi in diverse direzioni sociali: dal voto di appartenenza si passa sempre più al voto di opinione o di scambio.

c.4 I moderni partiti di massa non sono solo macchine organizzative che cercano il consenso elettorale per la conquista e/o la conservazione della maggioranza parlamentare ( ovvero, del potere politico), ma anche portatori di ideologie. Ed è tramite i partiti che le grandi ideologie, spesso già elaborate nell'Ottocento, nel Novecento si diffondono tra le masse: sia quelle miranti a consolidare l'ordine politico esistente, sia quelle orientate a superarlo, tramite riforme parlamentari o per via rivoluzionaria. Un'ideologia tesa a costruire l'adesione delle masse allo stato-nazione e ai suoi obiettivi espansionistici è il nazionalismo, e su di esso le classi dirigenti dei diversi paesi ottengono radesione delle masse (inizialmente assai ampia) alla partecipazione alla 1 A guerra mondiale. Dopo che questa guerra ha messo in crisi le istituzioni liberali, prendono forza l'ideologia comunista, alimentata dalla rivoluzione russa del 1917 , e l'ideologia fascista, che si afferma vittoriosa in numerosi paesi europei tra gli anni venti e trenta (per prima in Italia, dal 1922, in Germania dal 1933). Per l'ideologia comunista le istituzioni liberali, espressioni delle classi capitaliste, vanno sostituite dalla dittatura del proletariato attraverso il potere del partito comunista, con l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e una pianificazione centralizzata dell'economia che realizzi una effettiva giustizia sociale. Anche l'ideologia fascista, erede del nazionalismo, rifiuta le istituzioni liberali e il pluralismo politico e afferma un modello totalitario, ma in nome dei superiori interessi della nazione ( o, nel caso del fascismo tedesco, il nazionalsocialismo, della razza ariana), rispetto ai quali i conflitti tra le classi vanno rifiutati e incanalati nell'ordinamento corporativo. Tra gli anni trenta e il secondo dopoguerra, come autoriforma del capitalismo liberale si afferma lo stato sociale (welfare state), un nuovo modo di concepire il ruolo dello stato e il rapporto tra stato e cittadini, ovvero anch' esso un'ideologia: al mantenimento delle istituzioni liberali e alla difesa dei diritti civili e politici individuali, essa affianca una maggiore attenzione (rispetto al liberalismo classico) ai diritti sociali, tramite un più attivo intervento dello stato nell'economia finalizzato alla redistribuzione dei redditi e alla salvaguardia dell' occupazione e delle fasce sociali deboli.

c.5 Il Novecento è caratterizzato anche da immani tragedie e violenze collettive, in particolare da guerre di dimensioni senza precedenti (per il Nord del mondo, ciò è vero soprattutto nella sua prima metà). Si può cogliere una forte continuità tra la prima e la
seconda guerra mondiale e la guerra fredda in almeno quattro aspetti:


1. nelle conseguenze globali (e non solo locali) che tali guerre hanno nella ridefinizione dei rapporti di forza internazionali;

2. nell'impiego (o, nel caso della guerra fredda, nell'allestimento) di armamenti
sempre più sofisticati e di enorme potenziale distruttivo;

3. nel carattere fortemente ideologico di queste guerre, che proprio per questo possono concludersi solo con la completa distruzione dell'avversario;

4. nel loro carattere guerre di massa. Sotto quest'ultimo aspetto, la lA guerra mondiale (1914-1918) rappresenta per molti milioni di contadini europei il primo, traumatico ingresso nella vita publica, nello stato-nazione. Il carattere ideologico e di massa della
2A guerra mondiale (1939-1945) si esprime nel coinvolgimento, in forme e modi senza precedenti, delle popolazioni civili, colpite dai bombardamenti e dalle deportazioni, nonchè protagoniste della guerriglia partigiana. Nella guerra fredda (dal 1947 alla fine degli anni '80) la sfida planetaria tra comunismo sovietico e capitalismo liberale
costringe l'opinione pubblica, le masse, a schierarsi ideologicamente per l'uno o per l'altro campo, come in una moderna guerra di religione. Ma il Novecento conosce anche altre forme di violenze estreme, per lo più legate alle ideologie e alle guerre ma di queste ultime ancora più barbare: gli stermini di massa (masse qui sia nel senso di vittime
che nel senso di responsabili, o comunque consenzienti). La maggior parte di tali stermini sono legati a motivi razziali: dal genocidio degli armeni ad opera del governo turco durante la I A guerra mondiale, a quello degli ebrei perpetrato dal nazismo tedesco durante la 2A guerra mondiale (con quasi 6 milioni di vittime), alla "pulizia etnica" dei
tutsi in Ruanda nel 1994 a quella dei musulmani ad opera dei serbobosniaci nella guerra civile in Bosnia del 1992-95. Contro i "nemici di classe" sono invece rivolti gli stermini di massa ordinati da Stalin in URSS, negli anni trenta, e quelli attuati dai khrner rossi di Pol Pot in Cambogia nella seconda metà degli anni '70. Non è facile classificare le stragi di popolazioni civili in corso in Algeria ad opera dei fondamentalisti islamici.

 

Il secolo dei diritti

Secolo di profonde contraddizioni, il Novecento delle violenze di massa, dei genocidi delle minoranze, è però anche il secolo dei diritti e della emancipazione di molte minoranze. Dopo i diritti civili, affermatisi nel mondo occidentale tra Settecento e Ottocento, e i diritti politici, affermatisi tra l'Ottocento e il primo Novecento, è con la
società di massa che, come sopra accennato, la cittadinanza si apre ai diritti sociali: istruzione, sanità, pensioni di invalidità e di vecchiaia, assegni familiari, sussidi di disoccupazione. Una "minoranza maggioritaria" che diventa protagonista nel Novecento è quella delle donne, tanto che si può considerare questo il secolo della rivoluzione femminile (in Occidente). Oltre che le differenze di genere, il Novecento vede in molti paesi il riconoscimento dei diritti di altre minoranze: il superamento delle discriminazioni razziali (in USA e recentemente in Sudafrica), o di quelle contro gli omosessuali. I fenomeni migratori dal Sud al Nord pongono poi il problema della cittadinanza in società multietniche. Ormai fenomeno di massa, in questo fine secolo, è infine la diffusione di una coscienza ecologica che può, in un certo senso, far parlare di un'ulteriore "generazione di diritti": quelli dell'ambiente, degli animali e della natura.

 

Massificazione/atomizzazione

Civiltà di massa significa anche massificazione, fenomeno al quale si lega, come l'altra faccia della stessa medaglia, l'atomizzazione: ovvero l'uomo-massa come individuo spersonalizzato, omologato a tutti gli altri, e come tutti gli altri solo (nella forma più paradossale, eppure così frequente specie nel mondo delle metropoli: la solitudine
nella folla). Questo risvolto - inevitabile ? - della società di massa, particolarmente evidente nello scorcio finale del secolo, è trasversale ai tre ambiti finora esaminati, da ciascuno dei quali emerge che I' essere soggetti della storia non significa automaticamente esserne soggetti attivi. Sul piano economico, la società dei consumi rischia di condizionare pesantemente gli individui, che sotto l'apparenza di una illimitata libertà di scelta di merci sono in realtà manipolati e indotti a ricercare ciò che la "mano invisibile" del mercato offre loro. Sui piani socio-politico-culturale, dopo la fine dei canali di aggregazione e di socializzazione del passato (famiglia patriarcale, parrocchia,
comunità di villaggio o di quartiere, confraternite e corporazioni, gruppi dei pari, ecc ), anche le forme di identificazione prodotte dalla società di massa nell' età industriale (partiti, sindacati, ideologie, forme varie di associazionismo giovanile) sono entrate in crisi nell'età postindustriale, con il rischio che all'individuo e/o alla famiglia nucleare
vengano a mancare punti di riferimento forti o comunque significativi.
Se nella società pre-industriale l'individuo, praticamente dalla nascita, era immesso su binari tanto rigidi quanto sicuri (nei valori da rispettare, nel futuro familiare professionale e sociale che lo aspettava) e con pochissimi margini di scelta e di incertezza, la società post-industriale prospetta viceversa agli individui il massimo di opportunità di scelta e al contempo il massimo di incertezza.

Torna al Sommario