Il laboratorio adulto nella tradizione del Movimento di Cooperazione Educativa

a cura di Maria Teresa Sega


Un'idea di formazione
La formazione storica
Il laboratorio adulto

Le scuole estive

 

 

Un'idea di formazione

Nel MCE si è venuta elaborando una idea della formazione degli educatori basata sulla non separazione tra teoria e prassi, tra pedagogisti ed educatori : esperto è colui che fa esperienza, "chi pratica può elaborare teoria a partire dalla consapevolezza del proprio fare". (Marcello Sala, La formazione degli educatori, Informazioni MCE-Dossier 1997, n.4, aprile 1997).

Questa idea di formazione, che implica anche una concezione dell’educatore, è l’intuizione di Freinet, il maestro francese fondatore e ispiratore del movimento. La sua militanza nelle organizzazioni operaie gli fece comprendere che il rinnovamento della scuola del popolo non poteva avvenire se i maestri si limitavano ad applicare passivamente teorie proposte dall’alto da pensatori accademici, ma attraverso il loro riscatto socio-culturale. (Rinaldo Rizzi, Le tecniche di vita, Cooperazione Educativa,n.1,1996).

Il pensiero e la pratica di Freinet giunsero in Italia nel secondo dopoguerra, in un contesto in cui la ricostruzione civile e sociale del paese implicava il rinnovamento della scuola e degli educatori. Nel 1951 venne fondata a Fano, da Pino Tamagnini e altri, la "Cooperativa della tipografia a scuola", con l’intento di portare nelle scuole italiane le tecniche e gli strumenti freinetiani ("le tecniche di vita"), i cui punti cardine erano il testo libero, la tipografia in classe per fabbricare i propri testi, la corrispondenza tra classi .

Freinet opera un capovolgimento della tradizione educativa: l’alunno/a da passivo ricettore diventa attivo ricercatore. L’educatore, da colui che trasmette, diventa colui che ascolta, consentendo agli allievi/e di prendere la parole a partire da se’, dalle loro storie, dalle loro esperienze. La prima norma didattica di questa nuova concezione dell’educazione è la necessità del senso: non si deve pretendere che l’apprendente faccia cose di cui non capisce il perché o usi parole di cui non comprende il significato. (Pino Tamagnini, Freinet e il movimento, Cooperazione Educativa, n.1, 1996).

La coincidenza che Freinet stabilisce tra vita e conoscenza, trova più recentemente nella lettura di Bateson (Mente e natura, Adelphi, 1984) nuova forza teorica nell’affermazione che i sistemi viventi non sono indifferenti al contesto (la struttura che connette) .

Tornando alla formazione degli educatori, questi si mettono in ricerca, nella posizione particolare di chi ha fatto dell’apprendere il suo mestiere, riflettendo sulla propria esperienza. (Donata Fabbri, Il concavo e il convesso nella formazione, interevista a cura di M. Sala, Cooperazione Educativa, n.1, 1999) "Lo scambio cooperativo di esperienze, tecniche, strumenti, riflessioni e ipotesi teoriche, non scindibili dal contesto, dalle modalità e dalle finalità del loro uso, è la pratica con cui gli educatori MCE hanno rifiutato la delega e si sono assunti la responsabilità della propria formazione". (Marcello Sala, cit.) Ciò non esclude il dialogo con i padagogisti (Andrea Canevaro, Clotilde Pontecorvo, Francesco Tonucci , per citarne solo alcuni). Si tratta dunque di una ricerca "a partire da se’", nella quale il soggetto è interno, non esterno all’osservazione, e osserva se’ stesso. E’ questa la premessa per capire e accettare la propria inadeguatezza, da cui prende avvio il percorso di formazione. (Cinzia Mion, Le relazioni pericolose, Cooperazione Educativa, n.3, 1994).

La formazione storica si caratterizza nella tradizione MCE per il nesso biografia-memoria- storia e per il ricorso alle fonti della memoria. A partire dalla metà degli anni ’70 il "gruppo di antropologia culturale" maturò una riflessione e una ricerca sulle culture popolari, che portò a privilegiare le fonti orali e materiali, a interrogarsi sulle modalità della memoria e dell’immaginario. Altre sollecitazioni vennero in seguito accolte, in particolare quelle provenienti dalla storia sociale degli annalisti francesi: il concetto della pluralità dei tempi e delle durate, la pluralità dei soggetti, il rapporto storia-geografia, l’affermazione che tutto è documento per la storia. Vari gruppi si attivarono per tradurre in pratica didattica queste sollecitazioni: a Mantova un gruppo di inseganti di scuola elementare e media lavorò per vari anni assieme allo storico Ivo Mattozzi sul trasferimento nella formazione storica delle procedure cognitive-operative utilizzate dalla storiografia. Il gruppo di antropologia culturale produsse ricerche didattiche sulla storia locale, l’immaginario, la cultura materiale. I risultati di queste ricerche didattiche vennero presentati in vari convegni nella seconda metà degli anni ’80 (Tempo, memoria, identità, Bologna, 1986).

 

A partire dagli anni ’80 si è andato consolidando il laboratorio adulto come pratica dell’autoformazione che implica il coinvolgimento personale come motivazione e rimotivazione al proprio lavoro. I presupposti su cui si fonda possono essere così riassunti: non occorre aggiornare, ma mettere in ricerca; bisogna partire da ciò che uno sa e da una motivazione al conoscere; la ricerca cooperativa è più ricca e coerente con i valori educativi che promuove; il contesto relazionale condiziona il processo di conoscenza; al centro del lavoro va posto il rapporto tra soggetto che conosce e oggetti di conoscenza (Ortensia Mele, Dieci anni di laboratorio MCE a livello adulto, "Cooperazione Educativa", n.6/7, 1986). Il laboratorio adulto prevede diverse pratiche che hanno in comune il riferimento all’essere attivi, al fare, all’operatività, poiché – come ci ha insegnato Freinet – il processo della conoscenza nasce dall’emozione, dall’azione, dalla scoperta, dal progetto di vita. È luogo di apprendimento di gruppo, all’interno di una rete di relazioni, in cui si opera il passaggio dal fare al pensare, dando significato all’esperienza e nello stesso tempo basi concrete al pensiero. (Domenico Canciani, Dal fare insieme al pensare sul fare, Cooperazione Educativa, n. 4, 1994). Una cura particolare viene rivolta allo stabilire un clima comunicativo basato sull’accoglienza e l’ascolto.

A partire dal 1992 nasce il progetto scuole estive di formazione degli educatori con l’intento di dare alla pratica del laboratorio adulto un contesto nuovo, in cui assumere anche l’asimmetria tra formatori e formandi, ferma restando l’ispirazione originaria alla cooperazione e allo scambio di esperienze come fine e come mezzo dell’azione educativa. La proposta formativa della scuola estiva si snoda in tre momenti: "A) l’esperienza dell’apprendimento cooperativo in un laboratorio per adulti; b) l'’osservazione e la ricostruzione narrativa, metodologica e relazionale della situazione di apprendimento; c) la riflessione sulle tematiche e la ricerca del legame con la professionalità, ovvero la ricaduta della formazione nel versante scolastico. Dunque all’interno del laboratorio ciascun partecipante è messo in gioco con le proprie conoscenze personali ed esperienze educative." (Domenico Canciani, Le scuole estive della cooperazione educativa, "Informazioni MCE-Dossier ’97, n.4, 1997).

Va sottolineato che nella concezione MCE la formazione non è "neutra", c’è alla base un’idea di società, dei valori di riferimento, di cui però non si vuol fare un uso ideologico: libertà di espressione, democrazia intesa come pari opportunità e pari valore per ciascuno, solidarietà come riconoscimento reciproco delle diversità, integrazione, cooperazione come modalità di gruppo. (Domenico Canciani, Ibidem)

L’attenzione agli sfondi sociali e culturali ha portato via via ad accogliere nella formazione le tematiche relative all’educazione ambientale, all’educazione alla pace e all’intercultura, alla differenza di genere.

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