Chiarisco subito che non è mia intenzione
tuttavia ripercorrere ancora una volta un itinerario descrittivo tra quei luoghi che in
Italia ricordano le vicende della discriminazione e della deportazione: mi limiterò su
questo ad alcune indicazioni essenziali sui lavori già fatti e facilmente reperibili, che
conto di integrare in sede di presentazione dei materiali nel workshop del
pomeriggio. Il mio contributo tenterà piuttosto preliminarmente di orientarsi tra le diverse
letture che del concetto di luogo della memoria si sono proposte e sembrano emergere
negli ultimi anni, sia a livello di ricerca e dibattito scientifico che di cultura di
massa, per soffermarsi poi su alcuni riflessi che a me pare si possano cogliere di esso
nellesperienza italiana. Tra le numerosissime
righe di commento e di analisi che ci hanno recentemente inondato in occasione del lancio
pubblicitario dellultimo film di S. Spielberg, lormai arcinoto Salvate il
soldato Ryan, una piccola notizia di cronaca mi ha particolarmente colpito e
fatto riflettere. Si sarebbero già verificati, sulle coste della Normandia, diversi casi
di turisti o viaggiatori che chiedono indicazioni ed informazioni per recarsi sulla tomba
del soldato di cui parla il film. Sepolcro ovviamente inesistente perché parto della
creazione degli sceneggiatori. Al di là della notizia di colore e dei suoi aspetti anche
comici, ancorché non inediti, lepisodio mi pare indicativo di un duplice ordine di
fenomeni che qui a noi devono interessare e sui quali è conveniente che si rifletta.
Innanzitutto esso mi sembra una conferma clamorosa, ma
certo solo ultima in ordine di tempo, di come la potente ragnatela mass-mediatica che
avvolge e domina la nostra esistenza sia in grado di creare con grandissima rapidità non
solo nuovi miti, ma anche nuove false memorie, in questo caso addirittura un luogo della
memoria inesistente.
Ed allo stesso tempo il fatto mi pare confermare per
converso il bisogno diffuso, la ricerca da parte di quello che i media definiscono
come pubblico di simboli e riferimenti, concreti e tangibili, alla memoria di quellarco
di secolo che intorno alla seconda guerra mondiale ha definito i caratteri del nostro
recente passato, e che sono di fatto infinitamente meno diffusi e meno codificati
nellelaborazione della "religione civile" di quelli che ad esempio
sono stati realizzati e consacrati in Europa occidentale a ricordo della Grande guerra. Unesigenza
diffusa alla quale, se vogliamo, linvenzione in questione offre dunque una sorta di
surrogato di risposta.
È necessario riflettere sui rischi che oggi corriamo di
una rielaborazione, e vera e propria manipolazione, della memoria diffusa della storia di
questo secolo, rischi derivanti dalluso commerciale che il mercato dei mezzi di
comunicazione di massa fa di quella memoria e che in fondo sarebbe un aspetto più
aggiornato, una variante, di quella invenzione della tradizione che Hobsbawn e Ranger
hanno tanto efficacemente individuato come uno dei momenti non secondari nel processo di
elaborazione dellimmaginario delle identità nazionali e culturali. Rischi che sono
sotto gli occhi di qualsiasi osservatore solo avveduto, e che vanno ben al di là dellepisodio
in fondo innocente che ho precedentemente richiamato.
Quello che inoltre tuttavia a me pare ancora più
importante è sottolineare da un lato limportanza del fatto che esiste indubbiamente
una domanda di memoria e simbologia storica relativa alle vicende della deportazione e
della persecuzione razziale, e dallaltro che mentre sussistono ancora tra noi
numerose testimonianze fisiche, numerosi siti, che potrebbero a ben diritto assumere il
compito di diventare i luoghi-simbolo di questa memoria, molto poco hanno fatto e fanno in
Italia la cosiddetta società civile e le istituzioni (rispetto a quanto accade invece in
altri paesi, come ad esempio la Germania) per salvaguardarne lesistenza, favorirne
la cura, potenziarne le risorse e consentire insomma ad essi di svolgere a pieno titolo il
ruolo di autentici "luoghi della memoria". È questo un discorso particolarmente
delicato, come vedremo, proprio se riferito ai luoghi della memoria della persecuzione
razziale e della deportazione sui quali riflettiamo qui oggi.
Ma prima di svolgere questo punto, mi pare importante
richiamare brevemente il dibattito che intorno al nesso memoria/storia/luoghi della
memoria si è sviluppato di recente.
Qualcuno potrebbe ritenere, e certe superficiali recensioni
apparse sulla stampa lo autorizzerebbero a farlo, che i dibattito che in questi ultimi
anni si sta svolgendo intorno al rapporto conflittuale tra memoria e storia ed il fiorire
di lavori ed iniziative sul tema della memoria anche intorno agli stessi luoghi della
memoria, sia frutto di una moda passeggera legata a ricorrenze e contingenze cronologiche,
come al cinquantenario della fine della guerra o al fin troppo abusato bilancio di fine
millennio. Oppure sia connesso alle scelte diffuse dei media, i quali, avendo scoperto limportanza
economica del target della "mezza" e della "terza età", hanno
deciso di dedicare alloperazione nostalgia/memoria una crescente attenzione, in
tutti i campi di quello che si definisce con un brutto neologismo infotainment (dalla
fusione nel nuovo linguaggio dei media tra intrattenimento ed informazione).
Certo è che la nozione di "luogo della memoria"
appare ormai alla moda, dunque gode di alta diffusione, ed è quindi a rischio di abuso e
fraintendimento: esiste ad esempio una rubrica con questo titolo su di un settimanale ad
alta tiratura (uno degli ultimi servizi dedicato alla vecchia ferrovia della petite
ceinture parigina). Molto spesso si tratta di quelli che io definirei piuttosto
"luoghi della nostalgia", che hanno come dicevo un preciso mercato nellattuale
universo mediatico, e che con i luoghi della memoria non hanno molto a che spartire. Il
rischio che nella nostra cultura di massa si imponga piuttosto una visione che è quella
del luogo della nostalgia invece del luogo della memoria di cui parlano gli storici, cè
e va tenuto presente.
A me invece pare importante sottolineare il carattere
estremamente serio della riflessione in atto in campo storiografico su questi temi. E
rilevare come il fenomeno si situi, certo, in una contingenza storica particolare e ben
precisa qual è quella della riflessione dellEuropa su di sé e sulla propria
identità alluscita dal bipolarismo dei blocchi dopo l89, ma sia nello stesso
tempo e forse in misura più rilevante frutto dellesigenza sempre più
sentita di allargare la prospettiva della ricerca e della riflessione storiografica alla
più ampia dimensione del coinvolgimento della popolazione civile di quella che si
definisce la gente comune nei grandi eventi storici del nostro secolo ed in
particolare in quelli legati alla seconda guerra mondiale. Di qui il recupero di una
dimensione, quella della memoria dei protagonisti vittime, aguzzini e spettatori
(per parafrasare il titolo di un notissimo volume di Hilberg) che tanta parte ha
proprio nella ricerca su aspetti come la discriminazione, la persecuzione razziale e la
deportazione, e che come ha molto opportunamente sottolineato Anna Rossi-Doria in un suo
recente importante contributo ha svolto per lunghi anni una funzione di supplenza di
fronte a quella che lautrice definisce la "latitanza degli storici".
Più che per un cedimento ad una moda, insomma, è a mio
giudizio proprio per un consapevole recupero di un ritardo nella ricerca che si è avviato
tra gli storici, per poi coinvolgere anche il mondo dei non addetti ai lavori, un
dibattito sul culto della memoria. Dibattito che qui non si può che richiamare per cenni
molto generali e che ha visto la contrapposizione tra quanti hanno preferito sottolineare
la totale alterità tra memoria e storia ed hanno visto nelleccesso di memoria e
nella diffusione del suo culto una sorta di fuga dal politico, dal piano della
progettualità o, per altri versi, un veicolo artificioso e strumentale per la costruzione
o ridefinizione di identità esclusiviste (siano esse comunitarie, etniche, nazionali), e
quanti, invece, dallaltra parte hanno posto il problema di una integrazione tra
storia e memoria, pur nella distinzione dei due ambiti, riconoscendo alla prima il ruolo
di unico autentico antidoto ai processi di oblio e di manipolazione del passato, ed alla
seconda il ruolo di fondamento di una autentica coscienza civile nel presente, fondata
sullassunzione responsabile del carico del proprio passato e non sulla sua
mitizzazione e/o cancellazione.
Tale dibattito coinvolge necessariamente anche il tema
specifico che a noi interessa dei "luoghi della memoria". Certamente anchessi
possono essere oggetto di operazioni non innocenti: lo sono stati in passato, lo sono
tuttora e lo saranno probabilmente anche in futuro. Operazioni non innocenti che vanno
delluso del luogo come arma del conflitto politico, altamente coinvolgente per la
sua carica simbolica (e tra gli esempi possiamo citarne uno italiano, come quello delle
polemiche sulla memoria della Risiera di San Sabba e sulle "foibe" ed uno
europeo, quale il caso del Kosovo), alla reinvenzione/manipolazione della storia (la
commemorazione decontestualizzata del D-Day nel 95 in Francia), alla lettura talora
esclusivista (come quella che rischierebbero di proporre, secondo alcuni critici, da
alcuni memorial dellOlocausto negli Stati Uniti), al tentativo di
occupazione/appropriazione (come è stato nella sua forma più clamorosa nel
caso del Carmelo di Auschwitz ed è ora con la nota vicenda delle croci), fino alla
banalizzazione ed alla commercializzazione pure e semplici. Con questi rischi noi dobbiamo
fare i conti e stare attenti a denunciare e smascherare ogni abuso e a non confondere la
tutela critica della memoria né con il business della memoria né con la
costruzione della memoria.
Il concetto classico di "luogo della memoria" è
notoriamente quello definito già negli anni Ottanta in Francia da Pierre Nora ed ormai
ripreso dai grandi dizionari. Il Robert lo definisce come "ununità
significativa, di natura materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavoro del
tempo ha trasformato in elemento simbolico di una comunità". Nora colloca lorigine
dei luoghi della memoria nella deritualizzazione che caratterizza la nostra epoca: sono
dei resti, dei frammenti del passato, che diventano i riti di una civiltà ormai priva
appunto di ritualità. In questa accezione due agenti decisivi giocano un ruolo
essenziale: la volontà degli uomini di definire uno spazio per installarvi,
sacralizzandolo, un frammento del proprio passato, il trascorrere del tempo che da una
parte minaccia e mette a rischio la sopravvivenza del ricordo di quel passato e dallaltra
seleziona quei frammenti di passato la cui salvezza, attraverso la monumentalizzazione e
la sacralizzazione risulta essenziale allidentità di una comunità. Unaccezione
più ristretta è stata di recente coniata lo osserva in un suo recente utilissimo
saggio Ersilia Alessandrone Perona sempre in Francia per definire quei luoghi del
ricordo che non sono ancora entrati nella grande memoria collettiva della seconda guerra
mondiale. Si tratta dei luoghi nati per mantenere il ricordo delle tante memorie divise in
cui nel dopoguerra si è frammentata, sia nello spazio che nei contenuti, la memoria della
partecipazione dei francesi alla guerra, per effetto della stessa complessità di questa
partecipazione. Sono dunque luoghi "del ricordo" che possono anche divenire, in
seguito, "della memoria" nel senso definito da P. Nora e questo potrebbe
essere il caso, secondo gli autori della definizione, proprio dei memorial della
deportazione , ma non è detto che questo avvenga necessariamente. Perché ciò
avvenga, aggiungerei io, devono ancora operare i due agenti individuati dalla definizione
del Robert, il tempo e soprattutto la volontà degli uomini.
La distinzione proposta dagli studiosi doltralpe è a
mio giudizio applicabile, con qualche correzione, anche al caso italiano, proprio per
quanto riguarda i "luoghi della memoria" della discriminazione razziale e della
deportazione.
Nel primo dei tre recenti volumi che Mario Isnenghi ha
curato e dedicato ai Luoghi della memoria dellItalia unita, cè un capitolo,
di cui è autrice Paola Di Cori, dedicato alle leggi razziali. Ma è a mio parere
significativo il fatto che nellintera opera non vi sia una voce dedicata a qualcuno
tra i siti esistenti che conservano le tracce e la memoria della persecuzione e della
deportazione. Così se troviamo capitoli dedicati ai luoghi, talora anche artificiali, di
altre memorie (il Vittoriano, Redipuglia, Monte Grappa), risultano invece totalmente
assenti luoghi come il Lager di Fossoli o la Risiera di San Sabba o il campo di
internamento di Ferramonti, oltre anche a luoghi relativi ad altri eventi che hanno inciso
profondamente la nostra coscienza, come ad esempio le stragi naziste (non ci sono né le
Fosse Ardeatine, né Montesole). Omissioni queste sicuramente non addebitabili a scarsa
considerazione, o sensibilità, degli autori nei confronti di quei luoghi e degli eventi
ad essi collegati, ma, riterrei piuttosto, al fatto che essi in fondo non sono considerati
a pieno titolo "luoghi della memoria" di tutti gli italiani: come tali non
possono trovare spazio proprio in un opera che si propone di registrare una selezione già
avvenuta nellimmaginario collettivo degli italiani, piuttosto che indicarne una
ideale. Si tratterebbe, cioè, di luoghi che si riferiscono più a memorie segmentate,
parziali, che rientrerebbero quindi piuttosto nella categoria "del ricordo" di
cui dicevamo prima, che non luoghi in cui la memoria della collettività italiana
riconosce un elemento significativo del proprio passato. Se è vero, insomma, che nella
scelta dei luoghi della memoria operata da Isnenghi cè convivenza tra
localizzazione materiale e geografia dellimmaginario collettivo, evidentemente la
loro assenza è la registrazione "notarile" che questa corrispondenza tra leggi
razziali e siti come Ferramonti, Fossoli e la Risiera ancora non cè.
Ed era lidea di questa corrispondenza invece ad
animare i curatori della importantissima mostra La menzogna della razza, realizzata
dal Centro Furio Jesi di Bologna, che nei tre scorsi anni è stata allestita in molte
città italiane e nel cui ambito nella sezione dedicata alla prassi persecutoria
era colta sagacemente lesigenza di documentare lesistenza anche in
Italia di rilevantissimi luoghi della memoria della discriminazione e della deportazione,
cercando di stabilire un raccordo anche sul piano storiografico tra prassi persecutoria
del fascismo e politica di sterminio nazista. Non limitando cioè il discorso ai soli
campi di concentramento gestiti dai nazisti (4 principali: Fossoli, Bolzano-Gries, Risiera
di San Sabba, Borgo San Dalmazzo), ma allargandolo anche al fenomeno (totalmente italiano)
ai più tuttora scarsamente noto dellinternamento fascista, il cui luogo-simbolo è
per quanto riguarda gli ebrei senza dubbio il campo di Ferramonti di Tarsia.
Un intento analogo, allargato al piano generale dei luoghi
della violenza nazista e fascista in Italia sta allorigine del progetto dellIstituto
regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia poi
sfociato nel volume Un percorso della memoria, che non a caso si apre proprio con
un capitolo dedicato al campo di Ferramonti, progetto che prendeva le mosse anche da unaltra
constatazione: quella che al di là del vuoto registrabile fino ad oggi nella memoria
collettiva nazionale, era in atto, sia pure in forme tra loro diverse per qualità e per
stato di avanzamento del progetto, ed ancora scollegate ed episodiche, una ripresa di
attenzione per alcuni luoghi, come Marzabotto-Montesole, la Risiera, Ferramonti, Fossoli e
Carpi con il suo Museo monumento al deportato , che catalizzava lattenzione,
lattività e la partecipazione non solo di alcune amministrazioni locali, ma anche
di storici, studiosi ed operatori della didattica. Questi sintomi di risveglio dellattenzione
andavano pertanto prontamente colti per cercare di stabilire un raccordo, certo al momento
ancora solo virtuale, tra le realtà in movimento, in vista della costruzione del Percorso
della memoria come primo passo e, in seguito, di una effettiva Federazione dei luoghi
della memoria.
Si trattava, indubbiamente di un progetto ambizioso,
perché esso mirava oltretutto a qualificare diversamente il concetto di pellegrinaggio
della memoria, rispetto alla tradizione ritualistico-simbolica ancora largamente
prevalente soprattutto nellambito dellassociazionismo della deportazione,
individuando una funzione determinante, nellelaborazione della memoria stessa, delle
attività educative e didattiche connesse ai siti proposti tra loro
istituzionalmente differenti (dal museo, al parco della pace, alla scuola di pace, alla
fondazione culturale). Luoghi della memoria, quindi, con un carattere in più rispetto allelemento
rituale proposto tradizionalmente, quello di essere anche strumento operativo di
conoscenza, di crescita di consapevolezza sia sul piano della cultura storica, che su
quello dei valori di civiltà e di cittadinanza. Se infatti la ritualità fine a se
stessa, lautocelebrazione, non può che allontanare lattenzione delle giovani
generazioni e, daltra parte, lincontro con la memoria di cui quella stessa
ritualità è espressione è per queste ultime comunque indispensabile, esso deve avvenire
su un terreno diverso.
E veniamo al nesso a mio parere molto importante
tra memoria e sito, tra immaginario e conservazione dei luoghi fisici.
Se non cè dubbio che alcune forme di
cristallizzazione di "luoghi della memoria" avvengono del tutto al di fuori di
spazi concretamente definiti, è a mio parere altrettanto e ancor più vero che la
presenza di un luogo "autentico" e non solo simbolicamente evocativo rende di
gran lunga più agevole la conservazione della memoria stessa. Era questo il ragionamento
che in fondo, a contrario, facevano i nazisti quando si preoccupavano di cancellare il
più possibile ogni traccia dei campi di sterminio. E che gli autori di crimini di guerra
e contro lumanità cercassero di cancellarne le prove mi pare abbastanza
comprensibile. Ciò che è meno giustificabile è il fatto che in molti casi, nel
dopoguerra, alcuni di questi luoghi sono stati abbandonati e lasciati andare in rovina, se
non demoliti, da coloro che avrebbero dovuto aver ogni interesse a conservare, anche
attraverso di essi, la memoria di quei crimini.
Certo è sempre possibile conservare la memoria anche a
partire da poche macerie o da resti presso che archeologici, si pensi allintensa
attività della Fondazione Topografia del Terrore (Stiftung Topographie des Terrors)
di Berlino, sorta a partire dalla necessità di ricostruire dalle macerie la memoria di un
luogo fondamentale della storia contemporanea tedesca quale larea accanto alla
Prinz-Albrecht-Stasse dove si trovavano le più temute istituzioni del terrore del Terzo
Reich, oppure, nel caso italiano, allimpegno tardivo (ma proprio per questo forse
ancor più meritorio) in corso a Bolzano ad opera del Comune di far rivivere la memoria di
quel Lager dopo che nei decenni scorsi le autorità locali ne avevano demolito le
strutture. Ma non cè dubbio che si tratta di un compito estremamente difficile e
comunque destinato ad un esito quasi esclusivamente documentario.
Nel saggio didattico Educa il luogo che è inserito
tra gli apparati di Un percorso della memoria, ed al quale mi permetto di
rimandare per un meditato approfondimento di questi temi, Cova e Baiesi contemplano anche
lipotesi dellabbandono tra le forme possibili del rapporto con i luoghi della
memoria, accanto a quelle della monumentalizzazione e della restituzione, ma
contrappongono ad esse la loro proposta di appaesamento, cioé di inserimento
"costituzionale" in un continuum con i luoghi della vita sociale e
civile, sola premessa perché quei luoghi possano quotidianamente essere vissuti come
autentico messaggio di pace. In ogni caso si tratta di una scelta politica, di politica
della memoria nellultimo caso, di politica delloblio nel primo.
Un doloroso esempio recente di questa scelta delloblio
è quella del totale abbandono da parte del nuovo stato croato del Museo e memoriale di
Lipa (villaggio del Fiumano teatro di una delle più atroci stragi nazifasciste del 1944),
che costruito dallo stato jugoslavo allinizio degli anni Settanta su un modello che
si rifà per certi aspetti a quello francese di Oradour, oggi versa in condizioni a dir
poco miserevoli.
Ma queste cose non succedono solo in paesi caratterizzati
da rapidi processi di trasformazione e ridefinizione identitaria, comè il caso
della Croazia. Mi perdonerete il riferimento di cronaca, ma certo non può che
amareggiarci profondamente il dover constatare anche in Italia e proprio mentre
queste riflessioni, sulla rilevanza che i luoghi della memoria possono assumere, venivano
portate avanti, allargate e poste allattenzione del pubblico lincuria
ignorante e la scarsa vigilanza delle istituzioni rendevano possibile un ulteriore grave
oltraggio al già precario patrimonio della memoria dellinternamento ebraico in
Italia con la demolizione abusiva verificatasi allinizio di questanno di una
delle ultime baracche originarie di Ferramonti .
Dicevo, prima di aprire questa breve parentesi, che il
destino dei luoghi della memoria dipende comunque da una scelta politica, di politica
culturale. Desidero chiarire meglio questo punto. Nel sottolineare limportanza di
una politica della memoria, da contrapporre alla scelta delloblio, sia chiaro sono
ben lontano dallauspicare limposizione dallalto, ad opera del potere
politico, di una memoria storica unificante, di cui credo una società democraticamente
matura non abbia bisogno per definire la propria identità. Intendo rifarmi piuttosto al
concetto di ricostruzione di una memoria, così come è stato elaborato da Maurice
Halbwachs, che guardava al modo in cui certe tracce del passato possono essere riattivate
nel presente, nella società, attraverso la loro strutturazione in un sistema
rappresentativo legittimo e coerente per essere correttamente ri-proposte alla
rielaborazione da parte delle nuove generazioni. In questo senso, una prassi coerente ed
attiva di tutela dei luoghi fisici delle memorie italiane della discriminazione e dello
sterminio, mi sembra dovrebbe essere considerata un prerequisito, un dato scontato, ma
purtroppo così non è. Lancoraggio al luogo fisico autentico, in qualsiasi delle
sue forme sia oggi a noi pervenuto della monumentalizzazione, della restituzione o
dellabbandono è comunque a mio giudizio un fondamentale, direi quasi
necessario, complemento alla testimonianza dei superstiti nella trasmissione della memoria
della persecuzione e della deportazione. Lo ha capito molto bene Claude Lanzmann, il quale
nel suo capolavoro Shoah, il più importante film-documento sullo sterminio degli
ebrei dEuropa (documento in sé, non documentario, perché di documenti storici in
esso non ne compaiono), ha scelto di collocare la maggior parte delle interviste ai
superstiti nei luoghi, spogli ed essenziali, così come essi ci appaiono. Consapevole del
fatto che ancora oggi, nonostante lerosione materiale e temporale, essi i
luoghi parlano al visitatore che vuole intendere. Di qui la funzione specifica ed
il potenziale straordinario di quelle diverse forme di conservazione attiva e trasmissione
della memoria, che hanno potuto sorgere proprio sui luoghi fisici, sui siti stessi in cui
gli eventi che esse ricordano si sono svolti. Le forme, come già ho accennato, possono
esser diverse. Per restare nel campo dei luoghi italiani della deportazione e della
discriminazione, ad esempio, a Carpi, comune di cui Fossoli è frazione, opera una
Fondazione culturale ed un Museo Monumento al deportato particolarmente attivo sul fronte
dellaggiornamento degli insegnanti e nellorganizzazione di viaggi di studio; a
Trieste è stata realizzata, negli anni Settanta, la monumentalizzazione diretta del sito
della Risiera, al cui interno tuttavia è stato inserito un Museo storico che è luogo
attivo di diffusione culturale tra i visitatori e soprattutto per le scuole, attraverso
uno sperimentato servizio didattico gestito dal Comune. A Ferramonti opera, tra le mille
difficoltà derivanti dalla ancora irrisolta sistemazione dei resti del sito, una vivace
ed ormai autorevole "Fondazione internazionale "Ferramonti di Tarsia" per lAmicizia
tra i Popoli. Il modello è comunque in espansione: lultima realizzazione in
ordine di tempo è la "Casa della Resistenza" sorta nellarea monumentale
di Fondotoce di Verbania.
A Bolzano dove come ho detto il sito è scomparso (solo
resti del muro di cinta) il lavoro è certo più difficile.
Non cè spazio qui per i riferimenti storiografici
relativi ai siti citati, per i quali rinvio, a quanti volessero documentarsi, oltre al
più volte richiamato Un percorso della memoria, allampia sezione dedicata ai
luoghi nel sopra citato catalogo della mostra La menzogna della razza e al saggio
di Laura Federzoni La geografia dei Lager in Italia. I punti di raccolta.
Ciò che ho rozzamente definito come ancoraggio al luogo,
inteso come dimensione e costruzione concreta è reso, sul piano generale della tutela
della memoria, ancora più attuale e necessario dallaffermarsi progressivo nella
realtà contemporanea di quella che Antonella Tarpino ha recentemente definito,
rifacendosi a Marc Augé, la dimensione del "non-luogo", ovvero di quegli spazi
privi di identità, ripetitivi, totalmente artificiali (dallareoporto ai grandi
magazzini, dallautogrill, alla catena alberghiera) o addirittura duplicati puramente
virtuali, che non comunicano nulla, non avviano nessun percorso di conoscenza autentica,
creano anzi un effetto di spaesamento in cui dimensioni quali la storia e la memoria
sembrano perdere di senso. In questo contesto, che è uno degli aspetti più inquietanti
del nostro mondo che pare rischiare lappiattimento alla dimensione delleterno
presente, il potenziale mnemagogico dei luoghi della memoria, per usare lespressione
di Primo Levi ripresa da Alberto Cavaglion la loro capacità appunto di suscitare
memoria non può essere trascurata da unavveduta politica culturale e dalla
scuola. I finanziamenti introdotti recentemente dal Ministero della Pubblica Istruzione
col progetto "Il 900. I giovani e la memoria" per viaggi di istruzione ad
uno dei campi di sterminio nazisti, non vissuti episodicamente, ma inseriti a coronamento
di un progetto formativo di ampio respiro, costituiscono certo un primo passo importante;
riterrei comunque importante anche una maggiore attenzione ai siti italiani. Allo stesso
tempo ritengo debbano essere superate rapidamente le divergenze sorte intorno alla
definizione della data per approvare la proposta di legge dellon. Furio Colombo per
listituzione della giornata del deportato, ma inserendo in essa un esplicito
riconoscimento dei luoghi destinati a custodire e perpetuare, anche sul piano della
commemorazione, la memoria della deportazione, luoghi che credo vadano individuati se non
in tutti i quattro campi citati, di Borgo San Dalmazzo, Bolzano, Fossoli e della Risiera
di San Sabba, almeno a turno in quelli che sono stati recuperati, o per i
quali esiste un progetto di recupero.
Consentitemi, per finire, una piccola, ma significativa,
citazione da Paolo Rossi, il quale conclude un suo saggio affermando che se "il
fossato della smemoratezza può ridurre la nostra vita di individui ad una serie di
momenti che non hanno più senso", questo non vale solo per i singoli, "ma anche
per le collettività ed i gruppi umani. Io so bene continua Rossi che lattuale,
quasi spasmodico interesse per la memoria, è legato al terrore che abbiamo per lamnesia,
alla nostra incapacità di connettere in un qualche modo passato e presente. Mi auguro che
questo interesse sia legato anche al bisogno di riaffermare, attraverso quella
connessione, una nostra identità collettiva".
Il difficile compito che abbiamo di fronte è operare
affinché i "luoghi della memoria" possano partecipare a tale riaffermazione.
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