Diego Giachetti, Siamo solo noi. Vasco Rossi, un mito per le generazioni di sconvolti,  ed. Theoria, Ancona-Milano 1999.

di Leonardo Rossi



Nel suo libro D. Giachetti ci propone una sorta di "puzzle" tra l'artista, l'uomo e il contesto storico. Occasione del gioco è l'arte di Vasco Rossi. Tema del gioco è la memoria e la storia di circa vent'anni di carriera artistica. Meta del gioco è il ritrovamento di una traccia di senso, di un sentiero smarrito per le generazioni che nell'arte del Blasco si riconoscono o si sono riconosciute.

Tutto comincia nel 1978 e finisce (si fa per dire) nel 1999 con la pubblicazione di Rewind. Ventuno anni scanditi da sedici dischi rock. Postulato del libro è che l'arte sia specchio del tempo, che nell'opera di V. Rossi ci siano segni e reperti depositati dai giorni e dagli eventi, filtrati dalla vita. Seppure sfumata, la biografia di V. Rossi contorna e collega l'arte con il tempo. Questo scorcio analitico presenta V. Rossi senza inutili enfatizzazioni, come uno fra i tanti, come un giovane che poco alla volta ha saputo dar voce alla propria vita e che è riuscito ad esprimere in modo credibile i vissuti di molti. Di un gruppo tuttavia. Quelli che sono arrivati poco dopo il '68, quelli che negli anni Settanta (in ritardo, o forse no) continuavano a pensare che esistesse ancora un movimento, quelli che praticavano una contestazione "impolitica" e perdente della politica.

Le forme e le vicende della soggettività di quegli anni sono ricostruite da Giachetti attraverso i contributi di qualche storico e di alcuni sociologi. Ne risulta una lettura centrata sulla rottura generazionale, una dinamica alimentata dal conflitto edipico, un percorso oscillante tra integrazione e non integrazione, conformismo e anticonformismo. Le linee di forza dei cambiamenti storici sono spalmate con grandi pennellate e lette dal punto di vista del mainstream di coloro che allora si erano "persi" (V. Rossi) dietro le idee rivoluzionarie. In questo contesto culturale è maturato il romanzo di formazione di V. Rossi e la voglia di dire come ci stava, come si stava.

La ricostruzione a posteriori del contesto è proposta per dare profondità e spessore alla rappresentazione artistica. Le parole e la musica di Vasco sembrano essere talvolta un'antifona inquieta, esclamativa del reale. Giachetti ha però cura di mostrare soprattutto la tessitura esistenziale, l'aggancio sentimentale, immaginario, emotivo fra il testo e il contesto. L'intelligenza emotiva di V. Rossi ("le mie canzoni nascono più dallo stomaco che da cervello") è proposta per aprire nuove piste di lettura degli avvenimenti e dei vissuti. In questo modo egli diventa anche un testimone di un recente passato con il quale una generazione, una cultura, una "tribù" sta cominciando a fare i conti.

Nell'intervista concessa all'autore del libro V. Rossi afferma che la revoluciòn che allora si voleva fare era romantica (!). Il seguito degli anni di piombo e della droga pesante, gli anni del "triennio maledetto" (1980-1982) e poi quelli dello yuppismo e dell'adattamento al presente sono da lui interpretati come anni della disillusione. In controtendenza V. Rossi dà voce a chi dice no a coloro che propongono l'omologazione e la rassegnazione. Fotografando la realtà, raccontandola nuda e cruda, non vi si piega. Per reagire fa del rock, per sfogarsi. Per dire con ironia e provocazione che la strada da percorrere è essere se stessi. Un inguaribile romantico.