In
questo libro l'analisi puntuale e circonstanziata del
"dispositivo di annientamento" messo in atto nei lager, è
sostenuta da una grande tensione emotiva e affettiva (verso i soggetti
del processo educativo) che indica , pagina dopo pagina, come fine
dell'educazione il progetto (e la cura) di esistenze autonome,
solidali, resistenziali.
Le
parole -chiave sono due e opposte: annientamento-resistenza, il cui
legame può essere spezzato solo nel momento i cui la
"resistenza" trasforma e modifica le relazioni politiche e
le relazioni fra uomini in modo tale da neutralizzare l'annientamento.
L'originalità del libro consiste nello svelare il dispositivo di
annientamento, nel mostrare ciò che di tale meccanismo è
sopravvissuto nelle società attuali e nell'indicare dei modi mediante
i quali l'umanità possa difendere se stessa. L'odore del fumo
intreccia quindi le caratteristiche di un testo di storia, di critica
sociale, di politica e di pedagogia.
L'autore
ci conduce attraverso un percorso che va dalla tragedia
incommensurabile dei lager alla speranza (nata però dalla
consapevolezza del contesto storico, economico e politico) di un
cambiamento sociale; nodo centrale di tale percorso è improrogabile
necessità di revisione autocritica della pedagogia e delle sue
pratiche educative, implicitamente coinvolte col potere.
Dai
capitoli iniziali emergono i punti di riferimento intellettuale di
Mantegazza: oltre a W. Sofsky (L'ordine
del terrore.Il campo di concentramento, Laterza, Roma-Bari 1993),
frequenti sono i richiami alla Scuola di Francoforte, in modo
particolare ad Adorno e a Marcuse, a Benjamin e a Foucault. Si può
ipotizzare però che la trama profonda del testo consista nell'analisi
dell'alienazione in senso marxiano, alienazione che diventa
"assoluta" e "unica" nella specificità storica
del lager.
La
Shoah mostra la crisi della concezione della storia intesa come
progresso inarrestabile dell'umanità: il carattere totalizzante del
potere assoluto sperimentato nei lager costruisce un soggetto umano
"scisso, frammentato, ferito, che procede da sé alla sua propria
liquidazione"...(pag. 15) in base a uno "sterminio totale di
senso, di annichilimento della persona, del popolo, delle
idee..."(pag.16) In
ciò consiste il risultato del "dispositivo
dell'annientamento" che viene descritto come una pedagogia
dell'annientamento volta alla "costituzione di un soggetto
obbediente, integrato e agente della sua stessa eliminazione, che
interiorizzi le categorie della sua stessa de-soggettivazione"(pag.
17).L' autore sostiene che tale dispositivo pedagogico è stato e è
utilizzato dalle società che si sono formate dopo l'esperienza di Auschwitz : da qui
la necessità di ripensare la configurazione dei rapporti tra i poteri
e gli individui.
L'autore,
pur sapendo di metter in atto una forzatura,afferma: " ci
troviamo di fronte a una sorta di esplosione delle categorie
spaziali,temporali,simboliche del lager, che sarebbero poi ricadute a
pioggia nelle istituzioni delle società cosidette democratiche,
perdendo in leggibilità e identificabilità ma non in forza
espopriatrice."(pag.18).
La
struttura del lager viene indagata secondo sei ambiti-categorie
fondamentali per l'annientamento: l'iniziazione, con lo choc
dell'essere picchiati come bestie , denudati, depilati, tatuati; lo
spazio, che è ridotto a zero nella prossimità dei corpi ammassati
nelle baracche; il tempo, che diventa soprattutto tempo-reazione agli
ordini contraddittori che vengono impartiti; i corpi,ridotti a pezzi
di scarto e impoveriti
fino alla soppressione della differenza sessuale; le cose , ovvero le
scarpe ferrate, il treno, la frusta, il fumo del camino; il
linguaggio, urlato e assolutamente unidirezionale. Anche i bambini
sono visti come pezzi di ricambio e quindi inutili come i pezzi di
scarto.
Che
cosa è rimasto di questi dispositivi nel mondo contemporaneo?
Senz'altro le pratiche attuali del potere "producono"
giovani che presentano una sorta di livellamento delle "coscienze
oppositive", lavoratori che accettano come ovvio e immodificabile
il lavoro post-fordista e che consentono che venga continuamente
"disinnescato" il conflitto sociale. Forse si potrebbe
aggiungere , come risultato di tali pratiche, l'incapacità dei più
di prefigurare e desiderare qualcosa di diverso da ciò che c'è e di
pensare l'utopia positiva. Le
pratiche del potere formano l'individuo e non si limitano a reprimerlo
o a distruggerlo come in altri momenti storici.Per tali motivi è
indispensabile che la pedagogia ripensi se stessa e riveda il suo
statuto epistemologico.
Il
nazismo ha svolto una grandiosa operazione pedagogica sui giovani dando loro una "fittizia identità adulta
che passava attraverso i corpi nudi e atletici, le divise nere, i miti
celtici..." ( pag. 41), ha fornito ai giovani molti oggetti di
identificazione, accogliendo in qualche modo le aspirazioni al
sacrificio e all'eroismo che spesso i giovani possiedono. Per
noi ora è necessario rendere affascinante la democrazia, perché le
istanze di partecipazione, di collaborazione e la consapevolezza della
reciproca responsabilità siano presenti nei giovani in modo istintivo
e spontaneo.
Tale
è il messaggio forte di Mantegazza: il concetto di Resistenza non può
essere riproposto secondo la prospettiva della storia antiquaria
(secondo la definizione di Nietzsche): la nuova Resistenza deve
partire proprio dalla ridefinizione degli ambiti-categorie su cui i
nazisti hanno fondato la loro pedagogia dell'annientamento; si tratta
quindi di capire in che modo lo spazio, il tempo, il corpo, il
linguaggio, le cose possano produrre una nuova antropologia, che
l'autore cerca di predisporre mediante l'analisi di quella che chiama
"la fenomenologia della resistenza" (strategie, azioni,
gesti, linguaggi resistenziali).
Per
chi insegna questo libro è fonte di interrogativi che difficilmente
possono trovare una risposta nell'immediato:forse è necessario
imparare a resistere, preparando nel contempo il cambiamento dello
stato di cose presente. Nella
mente del lettore-insegnante e del lettore-pedagogista rimangono
impressi i seguenti interrogativi: quali cambiamenti deve mettere in
atto la pedagogia una volta riconosciute le strutture di potere
pedagogiche realizzate nel lager? Quale modificazione dell'idea di
"soggetto" ha prodotto il lager e che cosa sottende la
pedagogia quando attualmente parla di "individuo"? "In
che modo il lager ridefinisce le dimensioni esperienziali che vengono
toccate dall'intervento formativo"? ( pag.157)
Mantegazza
crea l'aspettativa di soluzioni radicali e forti, che necessariamente
e parzialmente è delusa: tale è la pervasività dei poteri e la
difficoltà di riconoscerli per dei soggetti sovente alienati e
espropriati del proprio sé.
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