Paola Di Cori, Insegnare di storia. Appunti sulla didattica universitaria, Torino, Trauben Edizioni, 1999, pp.196, £. 22.000.

di Concetta Brigadeci



Non è consueto per i docenti universitari in Italia dare conto della propria pratica ed esperienza didattica e riflettere su di essa . E' più ovvio che essi scrivano delle proprie ricerche e dello stato del dibattito storiografico su un tema di cui sono specialisti, ma non che la loro esperienza di insegnamento sia sottoposta ad esame, al racconto, per dire le difficoltà dell'insegnamento della storia, i tentativi operati per restituire alle/ai studente/i il senso della storia e le procedure discorsive che la costituiscono. E' proprio questa l'operazione, di grande interesse, realizzata in questo volume da Paola di Cori, tra le poche storiche in Italia a fare della pratica dell'insegnamento un oggetto di ricerca, capace di modificare e i contenuti e le metodologie didattiche più consolidate. Non a caso l'autrice ha partecipato alla costituzione della Commissione didattica della Società italiana delle Storiche, formata da insegnanti universitarie e di scuola media, insieme ad Annarita Buttafuoco, Emma Baeri ed altre (cfr. Società italiana delle storiche, Generazioni. Trasmissione della storia e tradizione delle donne, a cura di Emma Baeri, Torino, Rosenberg&Sellier, 1993). Tuttavia, se sul versante della scuola elementare, media e superiore sono molte le pubblicazioni di riflessione e di racconto di esperienze, i lavori sulla didattica universitaria sono invece scarsamente visibili, o non vengono considerati oggetto di attenzione "scientifica". Tra le prime storiche ad avere affrontato questo problema ricordo Anna Rossi Doria (cfr. A. Rossi Doria, Didattica e ricerca nella storia delle donne. Per un avvio di discussione, in "Memoria", 9, 1983, pp. 20-27) ed Emma Baeri (cfr. E. Baeri, La didattica la mamma e Venere in "DWF", 15, 1991; Ead, Premessa in Società italiana delle storiche, Generazioni. Trasmissione della storia e tradizione delle donne, cit.; Ead, Storia senza storiografia: viaggio ai confini delle parole, in AA.VV., La scuola smemorata. Le donne nel labirinto scuola, Ferrara, Edizioni Cartografica, 1993).

L'interesse di questo lavoro riguarda sia i temi sia la modalità con cui essi sono affrontati. L'autrice, in forma narrativa, ripercorre la sua vicenda di studentessa all'Università "La Sapienza" di Roma e di ricercatrice all'Università di Torino, individuando nell'istituzione universitaria aporie profonde che rendono difficile la comunicazione tra docenti e studenti ed insensato il tipo di insegnamento, fondato sull'ascolto passivo e l'apprendimento ripetitivo. Da questa sua posizione dissidente, confortata dagli esempi stranieri, muove le sue proposte didattiche basate soprattutto sul metodo comparativo e su tre "utensili": lettura, scrittura, parola.

Se questi ultimi restituiscono soggettività e abilità discorsiva e di scrittura storiografica alle/gli studente/i, il metodo comparativo mette in discussione l'unicità del discorso storico, così come è presentato dal manuale e dalla lezione del docente, mostra le diverse procedure discorsive e tesi storiografiche sullo stesso argomento scelto, permette di mettere in questione l'assolutismo universalistico di una storia occidentale bianca e maschile, mobilita sguardi divergenti verso altre visioni storiografiche dalla world history alla gender history, svela i meccanismi retorici che sottendono la ricostruzione storica, riconducendola al suo statuto discorsivo e narrativo da decostruire per una possibile approssimazione alle tante verità della storia. Lo studio della storia non è pertanto riconducibile allo studio del passato come insieme di fatti realmente accaduti, ma a ciò che è diventato story, cioè discorso, ricostruzione. E' esplicito il riferimento all'opera di Michel Foucault, L'ordine del discorso, e di Michel De Certeau, La scrittura della storia, nonché a tutta la storiografia decostruzionista anglosassone.

La ricchezza dei problemi metodologici e delle proposte di contenuti e di modelli storiografici rendono questo libro utile e interessante non solo per chi insegna all'università ma anche per chi insegna nelle scuole italiane. Infatti l'autrice sin dall'inizio del suo racconto pone il problema tanto dibattuto del rapporto tra giovani e storia, a partire dal ripetuto e ormai corroso giudizio il quale afferma che gli studenti non amano la storia. Ribaltando la questione, Di Cori pone il problema di quale storia insegnare, dello spazio relazionale, dell'"atmosfera" che deve essere creata dentro l'aula di lezione e, citando Charles Baudelaire, riconduce l'esperienza dell'insegnamento ad una "eresia", cioè ad una "scelta", rispetto alla quale non ci si può limitare a discutere intorno a contenuti e tecniche di trasmissione degli stessi in quanto questa attività presenta "come corollari inevitabili l'eresia della passione, della verità e della morale" (Ch. Baudelaire, Notes nouvelles sur Edgar Poe, cit. in P. Di Cori, op. cit. p.35). Essa pone, cioè, questioni fondate su principi e valori etici che, secondo Max Weber (M. Weber, La scienza come professione, Roma, Armando, 1997, cit. in P. Di Cori, op. cit. p.36), mettono in gioco l'onestà intellettuale e la persona stessa dell'insegnante, impossibili da misurare e classificare. Discorso questo che da altre parti viene sollevato. Lo stesso Alessandro Cavalli, che dall'inizio degli anni Ottanta indaga la percezione del tempo dei giovani, si domanda nel suo commento alla ricerca condotta da Ilvo Diamanti (A. Cavalli, Gli occhiali appannati di noi adulti, in I. Diamanti, La generazione invisibile: Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Milano, Il Sole 24 Ore, 1999) se questo disinteresse per la storia da parte dei giovani non dipenda dall'assenza di modelli valoriali da parte degli adulti, i quali offrono una visione del mondo disillusa e priva di speranza: "I giovani d'oggi hanno davanti a sé una generazione che non è capace di trasmettere dei valori che i giovani possono rifiutare." ( ibi, p.254). E d'altronde nel mondo della scuola qualcosa si muove in questo senso : qualcosa gli insegnanti stanno comprendendo se in un liceo di Milano l'etica diventa non solo oggetto di studio ma anche di scrittura, di riflessione e di valutazione personale da parte degli studenti (cfr. G. Deiana, La legge morale dentro di me e la virtù dei cittadini. Progetto per la formazione etica dei giovani nella scuola dell'autonomia, Milano, Unicopli, 1999).

Di Cori coglie bene questa difficoltà degli studenti ad esprimere valutazioni personali: gli studenti "avevano la percezione che lo spazio dell'aula fosse uno spazio pubblico; ed essi lo caratterizzavano come una realtà eminentemente non libera [...] : esprimere le proprie idee al suo interno significa, quindi, in qualche modo "ridurre" la pubblicità dell'aula, privatizzandola e quindi ridimensionare l'effetto di legittimazione scientifica dell'università; [...]" (Ead, p. 97-98).

Nella corposa appendice vengono riportate quattro relazioni di altrettanti studenti (Donatella Barus, Roberto Ferrero, Manuela Filippa, Beppe De Sario), elaborate durante il corso di metodologia della ricerca storica tenuto da Paola Di Cori all'Università di Torino nel 1995. La scrittura argomentativa e saggistica degli studenti contrasta efficacemente con quella narrativa della docente che fino alla fine ci ha guidato nel suo itinerario. L'autrice infatti inverte i ruoli e i registri discorsivi ad essi corrispondenti, si situa nel suo proprio contesto e assegna alla docente la soggettività e la parzialità della sua posizione, assumendone in pieno dubbi ed umori, mentre lascia agli studenti la trattazione oggettiva e "scientifica" dei problemi sollevati.

Bisogna dire che, se il risultato del lavoro didattico di Paola Di Cori sono questi quattro saggi, si tratta di un ottimo risultato, che rende merito alla metodologia e alla passione che la docente ha fatto circolare nell'aula.