Non è consueto per i docenti universitari in Italia dare conto della propria pratica ed
esperienza didattica e riflettere su di essa . E' più ovvio che essi scrivano delle
proprie ricerche e dello stato del dibattito storiografico su un tema di cui sono
specialisti, ma non che la loro esperienza di insegnamento sia sottoposta ad esame, al
racconto, per dire le difficoltà dell'insegnamento della storia, i tentativi operati per
restituire alle/ai studente/i il senso della storia e le procedure discorsive che la
costituiscono. E' proprio questa l'operazione, di grande interesse, realizzata in questo
volume da Paola di Cori, tra le poche storiche in Italia a fare della pratica
dell'insegnamento un oggetto di ricerca, capace di modificare e i contenuti e le
metodologie didattiche più consolidate. Non a caso l'autrice ha partecipato alla
costituzione della Commissione didattica della Società italiana delle Storiche, formata
da insegnanti universitarie e di scuola media, insieme ad Annarita Buttafuoco, Emma Baeri
ed altre (cfr. Società italiana delle storiche, Generazioni. Trasmissione della storia
e tradizione delle donne, a cura di Emma Baeri, Torino, Rosenberg&Sellier, 1993).
Tuttavia, se sul versante della scuola elementare, media e superiore sono molte le
pubblicazioni di riflessione e di racconto di esperienze, i lavori sulla didattica
universitaria sono invece scarsamente visibili, o non vengono considerati oggetto di
attenzione "scientifica". Tra le prime storiche ad avere affrontato questo
problema ricordo Anna Rossi Doria (cfr. A. Rossi Doria, Didattica e ricerca nella
storia delle donne. Per un avvio di discussione, in "Memoria", 9, 1983, pp.
20-27) ed Emma Baeri (cfr. E. Baeri, La didattica la mamma e Venere in
"DWF", 15, 1991; Ead, Premessa in Società italiana delle storiche, Generazioni.
Trasmissione della storia e tradizione delle donne, cit.; Ead, Storia senza
storiografia: viaggio ai confini delle parole, in AA.VV., La scuola smemorata. Le
donne nel labirinto scuola, Ferrara, Edizioni Cartografica, 1993).
L'interesse di questo lavoro riguarda sia i
temi sia la modalità con cui essi sono affrontati. L'autrice, in forma narrativa,
ripercorre la sua vicenda di studentessa all'Università "La Sapienza" di Roma e
di ricercatrice all'Università di Torino, individuando nell'istituzione universitaria
aporie profonde che rendono difficile la comunicazione tra docenti e studenti ed insensato
il tipo di insegnamento, fondato sull'ascolto passivo e l'apprendimento ripetitivo. Da
questa sua posizione dissidente, confortata dagli esempi stranieri, muove le sue proposte
didattiche basate soprattutto sul metodo comparativo e su tre "utensili":
lettura, scrittura, parola.
Se questi ultimi restituiscono
soggettività e abilità discorsiva e di scrittura storiografica alle/gli studente/i, il
metodo comparativo mette in discussione l'unicità del discorso storico, così come è
presentato dal manuale e dalla lezione del docente, mostra le diverse procedure discorsive
e tesi storiografiche sullo stesso argomento scelto, permette di mettere in questione
l'assolutismo universalistico di una storia occidentale bianca e maschile, mobilita
sguardi divergenti verso altre visioni storiografiche dalla world history alla gender
history, svela i meccanismi retorici che sottendono la ricostruzione storica,
riconducendola al suo statuto discorsivo e narrativo da decostruire per una possibile
approssimazione alle tante verità della storia. Lo studio della storia non è pertanto
riconducibile allo studio del passato come insieme di fatti realmente accaduti, ma a ciò
che è diventato story, cioè discorso, ricostruzione. E' esplicito il riferimento
all'opera di Michel Foucault, L'ordine del discorso, e di Michel De Certeau, La
scrittura della storia, nonché a tutta la storiografia decostruzionista anglosassone.
La ricchezza dei problemi metodologici e
delle proposte di contenuti e di modelli storiografici rendono questo libro utile e
interessante non solo per chi insegna all'università ma anche per chi insegna nelle
scuole italiane. Infatti l'autrice sin dall'inizio del suo racconto pone il problema tanto
dibattuto del rapporto tra giovani e storia, a partire dal ripetuto e ormai corroso
giudizio il quale afferma che gli studenti non amano la storia. Ribaltando la questione,
Di Cori pone il problema di quale storia insegnare, dello spazio relazionale,
dell'"atmosfera" che deve essere creata dentro l'aula di lezione e, citando
Charles Baudelaire, riconduce l'esperienza dell'insegnamento ad una "eresia",
cioè ad una "scelta", rispetto alla quale non ci si può limitare a discutere
intorno a contenuti e tecniche di trasmissione degli stessi in quanto questa attività
presenta "come corollari inevitabili l'eresia della passione, della verità e della
morale" (Ch. Baudelaire, Notes nouvelles sur Edgar Poe, cit. in P. Di Cori,
op. cit. p.35). Essa pone, cioè, questioni fondate su principi e valori etici che,
secondo Max Weber (M. Weber, La scienza come professione, Roma, Armando, 1997, cit.
in P. Di Cori, op. cit. p.36), mettono in gioco l'onestà intellettuale e la persona
stessa dell'insegnante, impossibili da misurare e classificare. Discorso questo che da
altre parti viene sollevato. Lo stesso Alessandro Cavalli, che dall'inizio degli anni
Ottanta indaga la percezione del tempo dei giovani, si domanda nel suo commento alla
ricerca condotta da Ilvo Diamanti (A. Cavalli, Gli occhiali appannati di noi adulti,
in I. Diamanti, La generazione invisibile: Inchiesta sui giovani del nostro tempo,
Milano, Il Sole 24 Ore, 1999) se questo disinteresse per la storia da parte dei giovani
non dipenda dall'assenza di modelli valoriali da parte degli adulti, i quali offrono una
visione del mondo disillusa e priva di speranza: "I giovani d'oggi hanno davanti a
sé una generazione che non è capace di trasmettere dei valori che i giovani possono
rifiutare." ( ibi, p.254). E d'altronde nel mondo della scuola qualcosa si muove in
questo senso : qualcosa gli insegnanti stanno comprendendo se in un liceo di Milano
l'etica diventa non solo oggetto di studio ma anche di scrittura, di riflessione e di
valutazione personale da parte degli studenti (cfr. G. Deiana, La legge morale dentro
di me e la virtù dei cittadini. Progetto per la formazione etica dei giovani nella scuola
dell'autonomia, Milano, Unicopli, 1999).
Di Cori coglie bene questa difficoltà
degli studenti ad esprimere valutazioni personali: gli studenti "avevano la
percezione che lo spazio dell'aula fosse uno spazio pubblico; ed essi lo caratterizzavano
come una realtà eminentemente non libera [...] : esprimere le proprie idee al suo interno
significa, quindi, in qualche modo "ridurre" la pubblicità dell'aula,
privatizzandola e quindi ridimensionare l'effetto di legittimazione scientifica
dell'università; [...]" (Ead, p. 97-98).
Nella corposa appendice vengono riportate
quattro relazioni di altrettanti studenti (Donatella Barus, Roberto Ferrero, Manuela
Filippa, Beppe De Sario), elaborate durante il corso di metodologia della ricerca storica
tenuto da Paola Di Cori all'Università di Torino nel 1995. La scrittura argomentativa e
saggistica degli studenti contrasta efficacemente con quella narrativa della docente che
fino alla fine ci ha guidato nel suo itinerario. L'autrice infatti inverte i ruoli e i
registri discorsivi ad essi corrispondenti, si situa nel suo proprio contesto e assegna
alla docente la soggettività e la parzialità della sua posizione, assumendone in pieno
dubbi ed umori, mentre lascia agli studenti la trattazione oggettiva e
"scientifica" dei problemi sollevati.
Bisogna dire che, se il risultato del
lavoro didattico di Paola Di Cori sono questi quattro saggi, si tratta di un ottimo
risultato, che rende merito alla metodologia e alla passione che la docente ha fatto
circolare nell'aula.
|