1. Il tema che devo affrontare è talmente vasto che potrebbe sostenere un intero
corso universitario o un intero ciclo di lezioni di educazione civica, tratteggiando una
storia dellItalia unita sotto il profilo costituzionale. È quindi necessario
operare nella mia esposizione drastiche scelte, rinviando alla discussione ulteriori
approfondimenti. Daltra parte Romanelli, discorrendo di accentramento e di
decentramento, di potere centrale e di potere locale, ha già coperto unampia area
del campo di indagine storica che si colloca fra lo Statuto e la Costituzione.
Va innanzi tutto premesso che è ovvio che
in una fase di crisi degli assetti generali della repubblica, a partire proprio da quelli
costituzionali, si ritorni con crescente interesse sul momento delle origini, non solo
della repubblica, ma dellItalia unita in quanto tale. Il passaggio dallo Statuto
albertino alla Costituzione repubblicana non è pertanto un tema che attrae soltanto
costituzionalisti ed eruditi: è un tema che nasce dalle domande che la situazione odierna
pone al passato recente e meno recente del nostro paese.
Fra i dati fondativi della storia di un
popolo quello della nascita delle leggi originarie è sempre stato rivestito di un valore
particolarmente intenso, religioso e mitico: da Mosè che riceve da Dio stesso le tavole
della legge, a Numa Pompilio che si fa ispirare dalla ninfa Egeria. In un piccolo libro
composto in vista delle elezioni per lAssemblea Costituente, il cattolico liberale
Arturo Carlo Jemolo scrisse che "nelle antiche leggende di quasi tutti i popoli si
narra come e per opera di chi nacquero le prime leggi".
Se, proseguiva Jemolo, le leggi
fondamentali erano opera degli dei, esse diventavano intoccabili o quasi, bisognava
impegnarsi con giuramento ad osservarle e affidare le rare ed eventuali modifiche a riti e
procedure particolarmente complicati. A quelle leggi doveva essere assicurata una lunga
durata: in linguaggio moderno, era indispensabile garantire che le regole del gioco non
venissero mutate frettolosamente e senza adeguati ripensamenti. Una prima differenza che
possiamo porre fra Statuto e Costituzione è che la seconda si iscrive molto più del
primo in questa tradizione, naturalmente laicizzata.
Una ulteriore premessa del nostro discorso
è che esso si pone all incrocio di varie discipline. Se pensiamo da una parte a una
dottrina ben formalizzata come il diritto costituzionale, ma non solo costituzionale, e
dallaltra alla storia cosiddetta generale - politica, sociale, culturale - vediamo
che la storia degli ordinamenti istituzionali, e in particolare di quelli di rilievo
costituzionale, può costituire come un ponte fra due approcci molto diversi. Si tenga poi
conto che esistono ormai discipline specifiche, quali le scienze sociali e le scienze
politiche, che sono diverse dalla filosofia politica, dal diritto e dalla storia, ma che
hanno con questi più antichi campi del sapere forti elementi di contiguità. La storia
costituzionale, fra le discipline in via di affermazione, appare quella più vicina al
tipo di discorso che qui vorrei fare. Se non la assumo senzaltro come modello
metodologico ciò è dovuto innanzi tutto alla circostanza che io non sono uno specialista
di quella disciplina, e poi perché gli stessi specialisti sono consapevoli del fatto che
la sua fisionomia non è ancora perfettamente definita. Scrive, ad esempio, Francesco
Bonini: "È ancora incerto e dibattuto il profilo metodologico della storia
costituzionale dellItalia contemporanea, materia di certificato, anche se labile
statuto disciplinare, ma sicuramente di crescente importanza ed interesse, non solo
accademico".
Lo stesso autore propone peraltro una
definizione, che possiamo tenere presente nel nostro discorso, della storia costituzionale
come storia "della Costituzione, cioè come insieme dei vincoli che si sono convenuti
e proposti alla lotta politica, della loro evoluzione e del confronto che su di essi si è
sviluppato tra le varie forze politiche e sociali".
È una definizione che qui di seguito
verrà riportata anche allo Statuto albertino e contaminata con quella di storia del
sistema politico, anchessa complessa e non facilmente formalizzabile, fatti comunque
salvi gli indispensabili rinvii alla storia generale, che qui lascio impliciti.
Si può proporre subito un esempio di
queste differenze disciplinari. Il politologo parla a preferenza di legittimazione
piuttosto che di legalità. Legittimazione è un concetto confinante con quello di
legalità, e in parte ad esso si sovrappone ma non si esaurisce nellesame della mera
legalità e delle forme in cui essa si manifesta.
Un interessante libro recente di Paolo
Pombeni, che è un politologo fortemente sensibile alle ragioni della storia, considera il
processo costituente sotto il profilo della legittimazione di un potere, quali che siano
poi le forme giuridiche che sono state adottate da quel potere nella realtà storica.
Alessandro Pizzorusso, che è un giurista, di grande sensibilità storica e sociale, è
convinto che la Costituzione sia innanzi tutto un testo formato da norme giuridiche.
Lintreccio fra tecnica della
normazione, politica, valori, fini è espresso con molta semplicità da Jemolo, nel suo
piccolo libro scritto, per fini pedagogici, su invito del Ministero per la Costituente:
È stolto pensare ad una tecnica che
sostituisca la politica, quasi potesse esserci una tecnica che proceda senza mete da
raggiungere, e quasi che le mete non siano in funzione di un ideale di bene, di un assetto
considerato come il migliore. Ma è invece sacrosanta verità che la politica, per essere
fruttifera, deve avere una tecnica ai suoi servizi, perché non si costruisce guardando
soltanto alla meta ultima ed ignorando quale sia la strada migliore per raggiungerla .
2. In tutti i manuali di storia è correttamente scritto che lo statuto albertino è
uno statuto concesso dal sovrano, octroyé, mentre la Costituzione è stata votata
da unassemblea appositamente eletta a suffragio universale, maschile e femminile. Ma
è proprio questa ovvia differenza che ci consente di dare subito un esempio di uno dei
concetti generali sopra accennati: il confronto delle procedure giuridiche non esaurisce
infatti il giudizio storico, che deve tener conto dei contesti e dei processi di più
lunga durata. I sovrani non fanno concessioni per capriccio: le fanno perché esiste una
situazione che li circonda e li preme, perché esistono rapporti di forza politici e
sociali che fanno considerare opportuni certi atti. Borrelli, ministro di Carlo Alberto,
si espresse al riguardo con molta chiarezza: "se la Costituzione dovesse essere
concessa bisogna[va] darla, e non lasciarsela imporre, dettare le condizioni e non
riceverle; bisogna[va] avere il tempo di scegliere con calma lopportunità e i
mezzi, dopo aver promesso di impiegarli".
È questo il motivo per cui Pombeni, nel
libro già ricordato, si riferisce a un lungo processo costituente iniziatosi già nel
1820-21. Scrive infatti:
Poiché tutti sapevano che questi atti dei
sovrani non venivano da improvvise conversioni "al politico figurino di moda",
per usare le sprezzanti parole di Ferdinando Il di Borbone, ma segnavano la resa ad una
lunga ed impegnativa lotta dei ceti dirigenti liberali che si erano trascinati dietro una
certa quota di popolo, ecco che la concessione delle carte segnava in realtà un fatto
costituente.
Costituzioni e statuti octroyé servivano
anche a bloccare la tendenza a Costituenti democraticamente elette. Nell anno 1849
solo Mazzini riuscì a fondare la Repubblica romana su una costituente e sulla conseguente
costituzione. Ma che lesigenza costituente fosse fortemente sentita è confermato
dal fatto che la legge sarda dell11 luglio 1848, n.747, emanata in vista
dellannessione della Lombardia e del Veneto, prevedeva una costituente a suffragio
universale, alla quale veniva peraltro drasticamente ridotta la libertà del costituire,
dandosi per scontato che la forma dello stato dovesse essere una monarchia costituzionale
sotto la dinastia dei Savoia. Nel 1859-61 la rapida estensione dello Statuto albertino
alle zone dItalia man mano annesse fu a sua volta dettata dal timore della ripresa
di spinte verso la Costituente, sempre sollecitata da Cattaneo, e anche dalla ferma
ripulsa di Cavour verso ogni forma di unità da raggiungere tramite dedizioni di municipi
e altri corpi locali. Si preferì il ricorso ai plebisciti, fidando sul fatto che in essi
la componente bonapartista avrebbe prevalso su quella democratica. Negli anni Ottanta il
giurista e uomo politico Attilio Brunialti sosterrà poi la tesi che lo Statuto albertino
aveva mutato titolo, e pertanto non era più da considerarsi octroyé, in virtù
dei plebisciti, nelle cui formule sempre erano presenti le parole "monarchia
costituzionale": se il re avesse tradito lo statuto, il popolo avrebbe dovuto
sentirsi sciolto dal vincolo di fedeltà alla monarchia dei Savoia. La tesi del Brunialti
rimase isolata; ma lesito contrario alla monarchia del referendum del 2 giugno 1946
ne costituirà una sorta di conferma a più di mezzo secolo di distanza.
3. Dallunità al 1918 il problema
della Costituente non è più allordine del giorno in Italia. Se ne trovano tracce
negli eredi di Mazzini e di Cattaneo e nei trattati di diritto costituzionale, ma
politicamente laccettazione dello statuto come base della nuova convivenza nazionale
è data per scontata. Si tratta del resto di un fenomeno europeo. Neanche la Francia,
madre delle costituzioni sul nostro continente, provvide, dopo il crollo del Secondo
Impero, a dotarsi di una nuova costituzione, cosicché la Terza Repubblica si basò
soltanto su alcuni atti di valore costituzionale. Dopo la grande stagione del 1848 si deve
arrivare agli sconvolgimenti prodotti dalla prima guerra mondiale per trovare la nascita
di nuove costituzioni, in particolare in seguito alla dissoluzione dei grandi imperi
multinazionali, come lAustria-Ungheria e la Russia zarista, e al crollo di secolari
dinastie come quello verificatosi in Germania.
Anche in Italia nel primo dopoguerra si
tornò a parlare di Costituente, oltre che da parte dei repubblicani, anche dai socialisti
sotto linflusso della rivoluzione russa, e dal primo fascismo, che allora si
dichiarava a tendenza repubblicana. Lavvento del regime nato dal compromesso fra il
fascismo e la monarchia diede però alla vicenda italiana tuttaltro indirizzo, sul
quale occorrerà tornare brevemente.
Ma intanto, quale evoluzione aveva avuto il
regime statutario? Occorre innanzi tutto ricordare che per una valutazione complessiva
dellordinamento vigente nellItalia liberale non è sufficiente guardare allo
statuto. I codici penale e civile hanno pari importanza per la definizione dei diritti e
delle garanzie dei cittadini e quindi per i loro rapporti con il potere statale e locale.
Già lo Statuto, dichiarando la religione cattolica religione dello stato e degradando le
altre a culti tollerati, negava in modo palese una libertà fondamentale come quella
religiosa, tanto che al suo articolo 28 stabiliva che le bibbie, i catechismi, i libri
liturgici e di preghiera non potevano essere stampati senza il permesso del vescovo. In
verità, secondo lo statuto, "a essere titolare di diritti inviolabili non era
luomo, o lindividuo o la persona, ma "il proprietario", difeso
peraltro molto meglio dal codice civile".
Lo Statuto aveva un carattere flessibile:
non prevedeva cioè la distinzione fra leggi ordinarie e leggi costituzionali. Questa
caratteristica, oggetto di ampi dibattiti giouspubblicistici, favorì levoluzione
del regime politico italiano da meramente costituzionale a parlamentare. Recentemente un
saggio di Stefano Merlini ha decisamente riposto in discussione la linearità e
compiutezza di questa evoluzione. Merlini fa notare come il re conservasse molti poteri,
riassunti nelle formula della "prerogativa regia". Al re spettava lultima
parola in materia di difesa e di politica estera. Il patto di Londra, con il quale
lItalia si impegnò nel 1915 ad entrare in guerra a fianco della Francia e
dellInghilterra, fu stipulato dal re e da Salandra allinsaputa del parlamento.
Dalla evoluzione più o meno contrastata in
senso parlamentare nascevano vari problemi, ai quali la costituzione del 1948 farà poi
fronte solo parzialmente. Il potere legislativo e il potere esecutivo, così come quello
giudiziario, erano formalmente separati, pur convergendo nella figura del sovrano, che
partecipava a tutti e tre. Ma laffermazione del governo di gabinetto, dipendente
dalla maggioranza parlamentare anche se formalmente sempre nominato dal re, portò a
rendere meno netta la distinzione fra legislativo ed esecutivo. Il celebre articolo
scritto da Sonnino alla fine del secolo, Torniamo allo Statuto, mirava alla
restaurazione di un regime costituzionale puro, in cui il primo ministro è responsabile
solo di fronte al re. Sonnino non ebbe fortuna in questa sua proposta, che sarà
paradossalmente attuata in forma drastica dal fascismo.
La figura del presidente del Consiglio
aveva comunque assunto sempre maggiore rilievo, anche se non era mai divenuta oggetto di
una normazione precisa. Erano stati la nascita e il potenziamento, prima con Crispi, poi
con Giolitti, di quello che è stato chiamato lo stato amministrativo a favorire il
rafforzamento della istituzione governo e la sua più capillare presenza nella società,
tramite una pubblica amministrazione in crescente espansione. Giolitti nazionalizzò le
ferrovie, fece approvare la prima legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi e
quella sullo stato giuridico degli impiegati statali, incrementò la formazione di una
burocrazia tecnica e di Consigli superiori presso i ministeri, come diretto collegamento
fra questi e la società. Una apologia di Giolitti pubblicata subito dopo la liberazione,
contiene un capitolo sul "prefetto amministrativo" che pone in rilievo la
trasformazione del prefetto da mera cinghia di trasmissione del potere centrale in
mediatore sociale, attento alla situazione complessiva della provincia.
Il fascismo in parte si adatta a questa
evoluzione, in parte la rinnega, in parte la stravolge. Per rimanere nellambito
statutario, il fascismo non abolì mai lo Statuto né emanò leggi che dichiaratamente
avessero come scopo di emendarlo, ma lo compromise violandolo senza modificarlo o
abolirlo. Questo dato è stato enfatizzato da alcune correnti storiografiche che lo hanno
visto come una remora al potere del regime e alla sua piena assunzione del carattere
totalitario. Ma si è fatto nello stesso tempo notare come lo Statuto sia stato in tal
modo coinvolto e reso corresponsabile del regime. Se alla caduta di questo si fece strada
la esigenza di una Costituzione ex novo, fu anche perché lo Statuto si era
mostrato incapace di fare da argine alla dittatura, aveva anzi con essa colluso: la festa
dello Statuto - la prima domenica di giugno - non fu abolita; convissero con lo Statuto le
"leggi fascistissime" quali quella sul capo del governo reso responsabile solo
di fronte al re (la aberrante forma fascista di "ritorno allo Statuto", sulla
facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, sulla creazione del Tribunale
speciale per la difesa dello stato e sulla costituzionalizzazione di un organo di partito
come il Gran Consiglio del fascismo, per concludere con la sostituzione in extremis (1939)
della Camera dei deputati, già svuotata di ogni carattere rappresentativo, con quella dei
fasci e delle corporazioni, convissero con lo statuto. Soltanto il fascismo della
Repubblica sociale si pose il problema di una Costituente, ma si trattò di una velleità
che poi i fascisti stessi non furono in grado di mettere in atto.
4. Subito dopo il colpo di stato del 25
luglio 1943 il capo del governo, maresciallo Badoglio, emanò un decreto che fissava a
quattro mesi dopo la fine della guerra la elezione della nuova Camera dei deputati. Era un
provvedimento abile, perché da una parte sanzionava una rilevante frattura con il regime
fascista, dallaltra intendeva garantire un massimo di continuità con lItalia
prefascista. Il decreto costituiva una sorta di sanzione istituzionale della tesi del
fascismo parentesi. Si "tornava allo Statuto" in senso opposto a quello
paradossalmente attuato dal fascismo, ma anche diverso dalle primitive intenzioni di
Sonnino: infatti, poiché il decreto non parlava di legge elettorale, si doveva intendere
che le elezioni si sarebbero svolte con il sistema proporzionale del 1919. Se confrontiamo
questo punto di partenza con il punto di arrivo contrassegnato dalla elezione
dellAssemblea costituente, possiamo valutare quanto cammino sia stato percorso dal
25 luglio 1943 al 2 giugno 1946. In questi tre anni si svolse un vero processo
costituente, che ha al centro il movimento della resistenza e di cui la Costituzione è
solo il punto di arrivo. Il rapporto fra resistenza, costituzione, repubblica non va tanto
visto come se nel pensiero e negli scritti della resistenza vi fossero programmi ben
congegnati sui punti fondamentali, da trasferire poi in una carta costituzionale, ma nel
senso di unesperienza storica che costringe ad una accelerazione dei tempi. Tappa
fondamentale di questo processo fu quella che il costituzionalista democratico Piero
Calamandrei, del Partito dazione, chiamò "costituzione provvisoria dello
Stato": il decreto legislativo luogotenenziale del 25 giugno l944, n. 151, che
fissava la convocazione di unassemblea costituente subito dopo la integrale
liberazione del paese.
Il nesso fra resistenza e costituzione
nasce dunque da una situazione storica, con la precisazione che non tutto quello che era
nella resistenza si ritrova nella Costituzione e che non tutto quello che è nella
Costituzione era nella resistenza. Data una certa situazione di fatto, e della situazione
di allora facevano parte pesanti elementi di continuità con il vecchio stato, una
costituzione, un testo fondamentale sono sempre un punto di equilibrio più o meno felice
fra un sistema di valori e un sistema di norme. Il problema sta nel vedere come i valori e
le finalità ultime possano tradursi in norme. Da questo punto di vista è evidente che
lantifascismo e la resistenza hanno in generale trasfuso nella Costituzione più
valori che norme.
Se si esamina nel suo complesso il sistema
normativo contenuto nella Costituzione è allora necessario prendere in considerazione
vari altri elementi: levoluzione del pensiero costituzionale europeo fra le due
guerre mondiali e in particolare le molte discussioni svoltesi attorno alla Costituzione
di Weimar, che veniva ammirata per avere per la prima volta introdotto i diritti sociali
accanto a quelli civili e politici, ma sulla quale gravava la terribile accusa di non
essere stata in grado di opporsi allavvento di Hitler, anzi di averlo agevolato a
causa delle sue deficienze. Va comunque ricordato che il secondo dopoguerra fu su scala
europea, così come era stato il primo, una stagione di intensa scrittura di carte
costituzionali.
Nel contesto storico del processo
costituente italiano vengono alla ribalta molti dei problemi maturati negli anni
precedenti, ad esempio quello del rapporto fra parlamento ed esecutivo. Due erano i
precedenti dai quali ci si voleva distaccare: uno più recente e uno più remoto. La
memoria più fresca era quella di un esecutivo onnipresente e onnipotente, privo di
controlli: e fu questa la memoria tenuta in prevalente considerazione, perché si riferiva
a una esperienza vissuta da tutti e che tutti volevano non si ripetesse. Ma esisteva anche
una memoria più remota, che si era trasformata in una delle tesi sulle origini del
fascismo, ricercate nella debolezza degli esecutivi dellItalia liberale, specie nel
primo dopoguerra, che aveva fatto sorgere laspettativa di un uomo forte, che
mettesse finalmente le cose a posto. Le critiche che si rivolgono oggi ai costituenti di
non aver voluto creare un esecutivo forte, fino a rinunciare ad una razionalizzazione del
sistema parlamentare, non tengono conto del diverso peso che alluscita dal fascismo
non potevano non avere quelle due opposte memorie.
Il punto oggi di più largo dibattito
pubblicistico concerne il cosiddetto compromesso costituzionale, che viene talvolta
presentato come una specie di compromesso storico avant lettre, quasi un accordo
sottobanco fra cattolici e comunisti. In realtà la Costituzione nacque da un compromesso
necessario e di alto profilo fra tre grandi filoni di cultura politico-costituzionale.
Il primo filone è costituito dal pensiero
liberal-democratico, da un liberalismo cioè che si era venuto evolvendo dalla
ottocentesca netta contrapposizione fra liberalismo e democrazia alla sintesi fra i due
oggi comunemente accettata, o almeno dichiarata. Tanta era la forza di questo pensiero che
esso influì, anche per il prestigio di uomini come Benedetto Croce e Vittorio Emanuele
Orlando (rimasti in verità più liberali che liberaldemocratici) ben al di là della
consistenza numerica della rappresentanza politica alla Costituente. In realtà, pur con
tutte le differenze e i conflitti anche aspri esistenti allinterno
dellantifascismo e della resistenza, esisteva un comune sentire, mirante a far
rivivere le più elementari libertà politiche e civili, quelle appunto proprie, anche se
non sempre coerentemente praticate, della tradizione dello stato liberale.
Il secondo filone era quello socialista e
marxista, stando però attenti a non considerare sinonimi i due aggettivi. Si trattava
infatti di un campo notevolmente differenziato al suo interno, non solo fra socialisti e
comunisti, ma anche allinterno dei socialisti: si pensi ad esempio alle differenze
fra Lelio Basso, uno dei costituenti particolarmente attivo e influente, Giuseppe Saragat,
Pietro Nenni. A grandi linee può dirsi che le forze di sinistra, fra le quali va
ricompreso anche il Partito dazione, che unico si schierò a favore della repubblica
presidenziale e che ebbe in Calamandrei un altro protagonista dei lavori
dellAssemblea, miravano allinserzione, accanto ai tradizionali diritti
politici e civili, dei diritti sociali. Questo fu uno dei terreni di incontro con la
Democrazia cristiana. Un altro di pari rilievo fu il riconoscimento dei partiti come
organizzatori e collettori delle istanze presenti nella società civile. Nella sinistra
era peraltro presente una tradizione che faceva battere laccento più sul problema
dei rapporti di forza reali nella lotta per il potere che sulle forme giuridiche atte a
regolarne il corso. Nellantico odi et amo nei confronti dello stato
(atteggiamento bivalente che si ritrovava peraltro anche nella tradizione cattolica legata
alle sue origini antirisorgimentali), che aveva caratterizzato il socialismo non
anarchico, le preferenze si andavano comunque spostando sempre più sullamo:
le aspettative riformiste e il prestigio del modello sovietico spingevano entrambi in
questa direzione.
Il terzo filone presente
nellAssemblea fu appunto quello cattolico, anchesso con notevoli articolazioni
interne. Giuseppe Dossetti fu la figura di spicco nel campo delle premesse dottrinali e
dei diritti sociali, Costantino Mortati in quello della costruzione dellordinamento.
I cattolici si facevano difensori dei diritti della persona e, pur nella diversità delle
premesse teoriche (slittamento dallindividualismo al personalismo e forte
accentuazione in senso comunitario), giungevano, dal punto di vista delle formulazioni
costituzionali, ad esiti non dissimili da quelli di ispirazione liberale-democratica.
Nello stesso tempo essi rivendicavano i valori della solidarietà e dellimpegno
sociale, e per questa strada si incontravano con le sinistre, pur partendo da presupposti
culturali molto distanti.
Come ho già detto, fra le tre correnti
sopra sommariamente delineate (trascuro qui quelle minori, come i qualunquisti, per la
loro inconsistenza etica e teorica) fu raggiunto un compromesso che uno dei padri
costituenti ha espresso con queste parole: "Come vivere il conflitto, questo era il
punto chiave della mente costituente. Sostenere, come accade oggi, che lo scontro fra
destra e sinistra era lacerante e metteva persino in forse lidentità nazionale, è
quindi assolutamente fuori luogo".
Si può aggiungere che questa accusa oggi
si intreccia in modo singolare con laltra, di una Costituzione la cui essenza
sarebbe di natura catto-comunista.
Leredità della contrapposizione
fascismo-antifascismo ha giocato proprio nella direzione indicata da Foa: seguiamo ognuno
la propria strada, però al contrario di quello che avevano fatto i fascisti, operiamo in
modo da costruire un sistema di regole, ispirato a valori, che poi ci impegneremo a
rispettare tutti. In questo senso le differenze fra i costituenti giocarono a favore del
compromesso. E vi giocarono anche, paradossalmente, le reciproche diffidenze, il reciproco
sorvegliarsi con la coda dellocchio. Ognuno voleva garantirsi rispetto a quelli che
sarebbero stati i risultati delle prime elezioni da svolgere entro il nuovo sistema.
Un fatto di grande valore simbolico avvenne
quando nel marzo-aprile 1947, mentre decollava la guerra fredda, le sinistre furono
estromesse dal governo: Umberto Terracini, uno dei fondatori del partito comunista
italiano, restò alla presidenza della Costituente. Molte cose sono state scritte sulle
intese, sotterranee od implicite, che intercorsero allora fra De Gasperi e Togliatti per
impedire che lItalia piombasse nel caos. Sta di fatto che la figura di Terracini,
che fra laltro era un fine giurista, divenne come il simbolo del reciproco impegno a
che la Costituzione, che doveva impegnare tutti gli italiani, apparisse opera di tutti.
Tutto quanto detto finora ci permette di
comprendere meglio la scelta a favore di una costituzione rigida operata
dallAssemblea costituente. Diversamente dallo Statuto, la Costituzione adottò
infatti la distinzione fra leggi ordinarie e leggi costituzionali, con molte e importanti
conseguenze. Va innanzi tutto ricordato che con la costituzione rigida si volevano
precostituire garanzie che tradizionalmente si sarebbero dette rivolte contro il sovrano e
che ora diventavano garanzie verso il popolo diventato esso stesso sovrano. I sistemi
liberali avevano insegnato che si deve diffidare anche del proprio potere (insegnamento
che i sistemi comunisti hanno del tutto ignorato). Questo è stato uno dei grandi meriti
storici della borghesia liberale: conquistato il potere, essa ha continuato a guardarlo
con qualche sospetto. Fare una costituzione rigida significa che il popolo sovrano, dopo
essersi dato una costituzione che deve garantire la libertà di tutti, non può cambiarla
in qualsiasi momento, secondo variabili e occasionali maggioranze parlamentari.
La prima conseguenza è che le innovazioni
costituzionali necessitano di una procedura più lunga, complessa e meditata: che è
appunto quanto prescrive larticolo 138 della Costituzione.
La seconda conseguenza è la creazione di
un organo deputato a garantire che le leggi ordinarie non contraddicano quelle
costituzionali: e questa è la Corte costituzionale. Non a caso le norme che la riguardano
sono raggruppate, assieme a quelle sopra ricordate sulla revisione costituzionale, sotto
il titolo Garanzie costituzionali .
Il modello della Corte costituzionale fu,
con tutte le differenze del caso, la Corte suprema degli Stati Uniti. Questo innesto di un
istituto proprio della repubblica presidenziale in una repubblica parlamentare è un
elemento specifico della Costituzione italiana. E tanto apparve allora singolare, che
Togliatti lo definì una volta una "bizzarria", in base alla vecchia idea
giacobina, condivisa anche da Nenni, che lassemblea eletta dal popolo sovrano può
far tutto in ogni momento, tranne che trasformare un uomo in donna, come si usa dire del
parlamento inglese, il quale peraltro fa scaturire questa sua onnipotenza da
tuttaltra tradizione storica. Questo punto è importante perché in Italia abbiamo
assistito di recente a una sorta di giacobinismo di destra che, conquistata una esigua
maggioranza parlamentare, si riteneva autorizzato a far tutto, compresa la manomissione
della Costituzione stessa.
Non cè dubbio che la Corte
costituzionale sia composta da persone che non derivano direttamente la propria
investitura dal popolo sovrano. Questo è un punto che involve complesse e delicate
questioni di dottrina, ma che è indispensabile corollario della distinzione fra i due
tipi di norme, propria della costituzione rigida. Il punto, con tutte le sue conseguenze,
è illustrato con grande chiarezza in un recente saggio di Maurizio Fioravanti, uno dei
più brillanti giuristi italiani di oggi.
Fioravanti parte dal principio che una
costituzione rigida implica la distinzione fra diritti costituzionali e diritti che
possiamo chiamare normali. I diritti fondamentali si devono cioè intendere come
incardinati immediatamente sulla costituzione e pertanto sottratti alla mutabilità delle
maggioranze parlamentari. È una impostazione che garantisce con molta forza i cittadini,
e pertanto va ascritta fra le maggiori e migliori novità introdotte nella Costituzione
rispetto allo Statuto. Rimane a mio avviso da elaborare compiutamente una dottrina che
chiarisca fino in fondo come un potere che deve essere più alto di quello del parlamento
si legittimi di fronte alla base popolare che elegge il parlamento. Le odierne polemiche
sulla composizione, prima ancora che sulle competenze, della Corte costituzionale (come
del resto quelle analoghe sul Consiglio superiore della magistratura), al di là delle
loro spesso smaccate finalità politiche di parte, hanno in ultima analisi nel fondo
questo nodo, centrale in ogni discorso sulla democrazia e sul principio maggioritario. È
giusto infatti porsi lobiettivo di spezzare il monismo del potere, che nello Statuto
albertino era garantito dalla figura del monarca, in una pluralità di poteri il più
possibile indipendenti luno dallaltro: ma chi fornisce a ciascuno di essi la
legittimazione finale? Mentre per i poteri eletti appare ovvio che essa sia fornita dalla
volontà popolare che provvede alla elezione, per quelli non eletti, o non eletti
direttamente, il problema appare di particolare complessità, e mentre da una parte
sollecita ricche discussioni di principio insieme a sofisticati esercizi di ingegneria
costituzionale, dallaltra consente approssimative e grossolane proposte di soluzione
di parte. È chiaro il nesso con la tematica relativa allordinamento giudiziario nel
suo complesso. Discorso analogo può farsi relativamente alla posizione nel regime
costituzionale della pubblica amministrazione, erede dello sviluppo dello stato
amministrativo e della convivenza in esso di istanze puramente amministrative e di istanze
tecniche aspiranti ad un più ampio spazio di autonomia. Si tratta in definitiva della
riproposizione in termini costituzionali del problema cui aveva dato luogo
levoluzione del regime statutario in senso parlamentare, vale a dire quello del
rapporto politica-governo-pubblica amministrazione.
Il riconoscimento di diritti e di autonomie
che discendono direttamente dalla Costituzione spinge la magistratura, e non solo la Corte
costituzionale, a riprendere una funzione non solo di applicazione delle leggi, ma anche,
non già di creatrice di diritto, ma certo di interprete che deve misurarsi non solo con
il testo delle leggi ordinarie e con le singole norme costituzionali, ma con lintero
sistema costituzionale e con i suoi principi ispiratori. La categoria teorica che sta alla
base di questa evoluzione è quella di costituzione materiale. Nelluso corrente essa
è diventata una legittimazione a posteriori della costituzione formale, ma si tratta di
un uso spurio. Costantino Mortati, che di quella categoria è il riconosciuto padre, per
costituzione materiale intendeva invece quellinsieme di princìpi basilari -
indirizzo fondamentale, spirito della Costituzione, sistema costituzionale, insieme dei
diritti non disponibili, e analoghe espressioni - che sempre dovrebbero essere tenuti
presenti nella interpretazione della carta. È difficile negare il valore di garanzia per
i cittadini che ha questa impostazione, la quale peraltro aumenta di molto la
responsabilità dei giudici.
Una ulteriore distinzione fra le norme
costituzionali, che ha suscitato ampi dibattiti ma che oggi ha ormai un valore
prevalentemente storico, è quella fra norme precettive e norme programmatiche. La
distinzione fu posta dalla Corte di Cassazione con una sentenza a sezioni riunite del 7
febbraio 1948, allo scopo di non applicare integralmente la Costituzione. Ci sono nella
Costituzione - dicevano i giudici della suprema corte - molte espressioni che non fanno
nascere nei cittadini diritti soggettivi. Larticolo 1 recita, ad esempio, che la
Repubblica è fondata sul lavoro, ma questo non significa che i cittadini siano titolari
di un diritto soggettivo a lavorare, così da potere adire il magistrato per reclamarne
ladempimento. Calamandrei riprese la distinzione, ma ne capovolse il senso,
trasformandola in una critica alla Costituzione. Disse infatti che in cambio di una
rivoluzione non fatta era stata data una rivoluzione promessa. Quello che è stato
chiamato il disgelo costituzionale fra gli ultimi anni Cinquanta e gli anni Sessanta
(istituzione della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura,
istituzione delle regioni, legge sul referendum) ha mutato i termini della questione. La
Costituzione ha cominciato ad essere intesa come unitario sistema di norme: la si potrà
riformare o cambiare, ma è e rimane un testo integralmente giuridico.
Intorno alla Costituzione si combatte oggi
una grande battaglia culturale, istituzionale e politica, che non è mio compito
esaminare. Posso solo ricordare lopportunità di tener sempre presente una triplice
distinzione. Dei mali di cui soffre oggi lItalia alcuni discendono dai difetti della
Costituzione, altri invece dalla sua attuazione soltanto parziale, altri ancora non hanno
alcun nesso con la Costituzione. È una distinzione necessaria sia per evitare condanne
spicciative e semplicistiche della carta del 1948 sia attese miracolistiche dalla sua
revisione. |