Le innovazioni dei manuali, mole e linguaggio

 

.Dunque i manuali. Nel pieno della polemica di novembre scorso sull’improvvida iniziativa del presidente della regione Lazio, lasciando ad altri il compito del discorso politico sulle velleità censorie, io intervenni nella mia qualità di insegnante per sottolineare come il manuale fosse soltanto uno strumento nel lavoro didattico. L’insegnamento della storia, come delle altre discipline, è innanzitutto legato alla figura del docente, certo alla sua competenza professionale, ma anche e soprattutto direi alla sua passione didattica. Io penso in particolare che senza quest’ultima sia pressoché impossibile comunicare qualcosa di discipline come la storia alle giovani generazioni di oggi, nel senso di sollecitare attenzione, ascolto e riflessione. Questo perlomeno è vero per quel 60% di ragazzi dei tecnici e dei professionali di cui parlavo prima. Come sia difficile la passione didattica di questi tempi, anche per chi l’ha sempre avuta, di fronte ai cambiamenti che destabilizzano senza disegnare orizzonti convincenti, lo si vede dall’aria crepuscolare di pensionamenti e attese deluse che pervade gran parte della vita scolastica e investe in particolare gli insegnanti della mia generazione, quelli che hanno aspettato per tutta la vita la riforma. Non voglio dilungarmi su questo; voglio però completare l’accenno ricordando con Asor Rosa che la scuola di una volta non c’è più e non può più esserci.

Ma torniamo ai manuali. Dicevo dunque che sono semplici strumenti e che anche autorevoli indagini sul campo (1) hanno dimostrato che non sono loro a determinare l’efficacia dell’insegnamento della storia, misurato in termini di conoscenze acquisite e di interesse degli studenti per la materia. Vorrei ricordare anche che spesso non convincono neppure quegli stessi docenti che li hanno adottati, sebbene non si tratti certo - ma è un problema che ora non voglio affrontare - di mancanza di obiettività o di deformazioni ideologiche. Ma tutto ciò non significa che i manuali non siano strumenti importanti.

C’è stato un tempo, quando io ero appena entrata nella scuola da docente, che il manuale fu violentemente contestato come strumento fondamentale, se non unico, di una scuola che imponeva in modo rigido, mnemonico, autoritario il proprio modello culturale. Quell’epoca appare oggi irrimediabilmente lontana ed è inevitabile che, come sono cambiate la società e la scuola negli ultimi 30 anni, così siano molto cambiati anche i manuali. Ho letto recentemente valutazioni autorevoli sulla loro eccellenza attuale, e per alcuni manuali oggi in uso il giudizio è senz’altro condivisibile. Questa eccellenza si accompagna però sempre più a dimensioni mostruose. La maggior parte dei corsi del triennio per gli istituti tecnici oscilla ormai tra le 1800 e le 3000 pagine. D’altra parte dai tempi in cui io studiavo al liceo sul manuale del Saitta, anche la storia come disciplina si è enormemente complicata. Alla tradizionale storia politica si sono aggiunte via via la storia economica, la storia sociale e delle mentalità, le classi subalterne, le donne, le altre culture, il paesaggio, ecc. ecc. I manuali, invitati a superare i limiti tradizionali e a confrontarsi con la pluralità dei punti di vista, con i problemi dell’interpretazione, con la proliferazione delle fonti - testuali, iconografiche, multimediali - si sono adeguati, con un effetto di onnicomprensività che stordisce i docenti prima ancora che gli alunni. Il problema vero, a mio parere, è che nessuno si è mai confrontato realmente con la questione della continuità storica e delle eventuali scelte da fare in relazione agli eventi da insegnare, come invece hanno fatto ad esempio in Francia con scelte radicali e discusse democraticamente nel mondo della scuola non più tardi di un anno fa (2).

Un altro problema che oggi riguarda i manuali in genere è quello del linguaggio. Ho trovato scritto in un articolo recente che la prima forma di competenza storica richiesta allo studente consiste nel saper fare un discorso storico, ed è difficile contestare questa affermazione. Tuttavia nella scuola di massa il problema della lettura e comprensione del testo, a maggior ragione della sua produzione anche orale, si fa sempre più grave, in particolare quando l’oggetto di studio abbia la complessità stratificata della conoscenza storica. Inoltre il manuale di storia si presenta apparentemente scritto in un linguaggio poco formalizzato rispetto ai manuali scientifici e col volto rassicurante del racconto. Quindi si presta più facilmente ad equivoci o fraintendimenti, legati sia alla complessità della struttura sintattica che all’ambiguità lessicale (pensiamo soltanto alla molteplicità di significati di un termine di uso comune come "popolo").

Quindi i manuali pongono all’insegnante che ne voglia fare un efficace strumento didattico molte difficoltà e appaiono inevitabilmente sovradimensionati rispetto alla storia che si può fare in due ore settimanali di lezione (una sessantina di ore all’anno se si è fortunati). E tuttavia essi hanno svolto nel corso degli ultimi 20 anni un ruolo essenziale per l’aggiornamento degli insegnanti. Non solo quelli di storia. Nel campo dell’italiano un manuale altrettanto sovradimensionato come Il materiale e l’immaginario ha fatto a livello di diffusione quantitativa di un nuovo modo di insegnare la letteratura molto più di tanti corsi di aggiornamento universitario.

Note
1. Vedi "I viaggi di Erodoto", n. 13 e n. 23
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2. Dominique Borne, Où en est l'enseignement de l'histoire?, in "Le Débat", maggio-agosto 2000
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