Scuola e università

 

.E qui tocco un argomento spinoso. È senz’altro logico che l’università si assuma il ruolo della formazione permanente dei docenti, ma i rapporti tra scuola e università dal punto di vista dei docenti della scuola sono stati scarsamente soddisfacenti in passato. Intendiamoci, non mi riferisco alle lodevoli eccezioni che pure esistono, a cui farò anche riferimento più avanti. Ma in generale, quando ancora i legami tra università e scuola non erano stati interrotti di fatto come è successo nell’ultimo decennio, l’aggiornamento disciplinare fornito dall’università è stato spesso sentito dagli interessati come un inutile lusso, un’offerta superflua rispetto agli enormi problemi che la scuola poneva: la vecchia signora elegante di Saba che suona la spinetta mentre la casa brucia e la famiglia si disintegra. Gli insegnanti della scuola di massa sentivano soprattutto la necessità di recuperare il senso di fare storia con ragazzi che sempre meno concepivano l’apprendimento come qualcosa di desiderabile in sé, il cui sapere si formava ormai in gran parte fuori della scuola senza che noi fossimo più in grado di controllarlo. L’acculturazione per familiarità, che è stato il processo da noi seguito, anche quando contestavamo la scuola, non era più possibile, perché non c’era più una cultura condivisa da docenti e studenti.

Come avrebbe potuto l’università intervenire in questo progressivo processo di spaesamento di tanti insegnanti sensibili al valore della loro professione? Non lo so, forse con un po’ più di umiltà e di consapevolezza di cos’è veramente la scuola di massa. Quello che è certo è che la distanza tra università e problemi della scuola in generale si è accentuata, come è dimostrato a mio parere anche dalle polemiche di questi giorni. Tra le eccezioni di cui dicevo prima, voglio qui ricordare Nicola Gallerano che, oltre ad essere un insigne storico precocemente scomparso, è stato un caro amico e uno dei primi a impostare il tema del rapporto tra ricerca scientifica e insegnamento della storia in termini per me convincenti. In un convegno dell’Irsifar romano di una decina di anni fa lo sentii sostenere la tesi dello scarto tra gli obiettivi e i punti di vista della ricerca storica e quelli dell’insegnamento della storia, tra storia/disciplina e storia/materia. Portava ad esempio tra l’altro anche il carattere inevitabilmente assertivo del manuale, che è la negazione della natura provvisoria e precaria del lavoro dello storico. La conclusione, che io condivido, era che la storiografia non è in grado di dettare una gerarchia delle rilevanze didattiche; è invece ai docenti che compete individuare le rilevanze funzionali ai loro progetti educativi, per cui comunque si richiede loro una rigorosa cultura storiografica.