Le conoscenze

 

.Mettere al centro questo tema delle rilevanze didattiche dell’insegnamento della storia non deve significare però perdere di vista l’altro corno del dilemma, quello che fa insorgere i cosiddetti disciplinaristi. Nel processo di innovazione didattica di questi anni, che ha ormai una lunga storia, si può trovare spesso la legittima preoccupazione che sia preservato comunque il nesso imprescindibile tra la formazione e le informazioni: la questione delle conoscenze storiche come mappa, come reticolo di dati di riferimento. Che negli ultimi tempi mi sembra aver assunto come sua bandiera la battaglia per la storia in senso cronologico, contro la cosiddetta storia per temi o per moduli.

Fin dagli anni ‘70, nei testi dei pochi che si occuparono allora di didattica della storia, compare questa preoccupazione, dopo l’ubriacatura del ’68. Nel ‘72 sulla Rivista di storia contemporanea di Loescher, la prima del genere - salvo errore - in un momento in cui la storia contemporanea all’Università non esisteva ancora come insegnamento autonomo, Giuseppe Ricuperati aveva sostenuto l’idea della didattica come ricerca e non semplicemente come trasmissione autoritaria di contenuti già elaborati: e aveva insistito sulla necessità di sollecitare in questo modo un ruolo attivo dello studente sia nei confronti del docente che della disciplina. Per quante ingenuità, superficialità ed estremismi ci siano stati nell’attuazione di questo progetto, tutto quello che di buono la scuola ha prodotto in questi trent’anni, secondo me, nasce di lì. E tuttavia già pochi anni dopo, nel ‘77, Ricuperati ammoniva: " È accaduto che la didattica come ricerca abbia urtato sempre più contro l’impoverito quadro delle informazioni e delle istituzioni disciplinari" (3). Egli ne ricavava un incentivo a riprendere il discorso sul manuale, nel senso di trasformarlo da strumento autosufficiente ed esclusivo in un "corretto punto di partenza, di consultazione, di collegamento".

Intanto l’editoria si era mossa per fornire una ricca messe di raccolte di documenti, ricordo in particolare la benemerita collana Le fonti della storia della Nuova Italia, e di testi di critica storica, che rompevano la precedente pretesa di oggettività del discorso manualistico. In questo campo essa ha sempre più recepito, fino ai nostri giorni, pur con gli eccessi di cui ho già parlato, le istanze presenti in quell’analisi. Ma le due cose, l’informazione di base e la pratica di ricerca, che avrebbero ben dovuto rimanere collegate, sono state talvolta agitate l’una contro l’altra alimentando accuse ed equivoci che permangono tuttora anche nelle polemiche di questi giorni.

Da un lato si è consolidata una posizione di ostilità a quanto c’è di inevitabilmente passivo nel processo di lettura-memorizzazione che porta all’acquisizione di conoscenze, ostilità che coinvolge inevitabilmente l’uso del manuale. Nella battaglia per far trionfare il progetto della "storia come ricerca nella scuola come laboratorio" (4) , si è arrivati a sostenere che la storia "non punta all’apprendimento e alla memorizzazione di avvenimenti, ma a formare capacità di costruzione autonome di conoscenze del passato" e che oggetto di studio è il "fatto storiografico", non il "fatto storico" (5) . Mi scuso se queste citazioni risultano estrapolate dal contesto, col rischio di quegli abusi che si sono continuamente verificati nel corso delle polemiche sull’insegnamento della storia. Mi riferisco comunque a testi articolati e complessi come quello prodotto dalla Direzione Generale dell’Istruzione professionale per i nuovi programmi di storia. Dall’altra parte gli oppositori della riforma ironizzano sui piccoli storici, "specialisti dell’Atene di Pericle e della Shoà, e inconsapevoli di quasi tutto il resto" (6) o si scandalizzano per la prospettiva di "uno studio monografico slegato dalla visione generale del processo storico" (7).

Note
3. Carpanetto-Recuperati, Editoria e insegnamento della storia, in "Italia contemporanea", n. 128, luglio-settembre 1977
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4.
Giuseppe Deiana, Le ragioni della «ricerca» storica a scuola, in "Contemporanea", n. 2, aprile 1999 torna su
5. Ministero della P.I Direzione Generale Istruzione Professionale, Non è più la stessa storia, Roma, 1999 torna su
6. Giovanni Belardelli, Corriere della Sera, 3 marzo 2001 torna su
7. Rosario Villari, citato in Mario Pirani, Se studiare è un optional, in "la Repubblica", 20 febbraio 2001
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