L’insegnamento della storia e la scuola

 

.La battaglia in atto nella scuola a favore della ricerca e dell’interpretazione, che mette la sordina all’importanza delle conoscenze storiche reperibili attraverso il manuale, è in parte giustificabile, secondo me, nella realtà vischiosa della scuola italiana in cui in molti casi il manuale continua ad essere riproposto come negli anni ’60. Ma è anche vero che dà luogo a due rischi, presenti anche nella recente elaborazione sui nuovi curricoli nella scuola di base. Uno è la trasformazione dell’informazione storica in una generica melassa di storia per quadri sociali e per scenari mondiali in cui l’Africa subsahariana e la colonizzazione dell’Oceania sono presenti tra i contenuti essenziali allo stesso modo della civiltà greco-romana o dell’espansione araba. L’altro rischio è quello che l’idea scientificamente valida della soggettività e parzialità delle conoscenze e del valore dell’interpretazione formi dei cosiddetti "piccoli storici" cui sfugge che ci sono pure dei fatti documentati e certi. Io ho sentito affermare, proprio in occasione della Giornata della memoria, che il negazionismo va affrontato come una delle possibili interpretazioni della Shoà: e se pure le parole hanno tradito l’intenzione, mi sembra che questo scivolone ci offra di che riflettere sui possibili pericoli di ridurre anche per gli studenti tutta la storia a confronto e interpretazione storiografica.

Pure questa posizione, che ha un riferimento obbligato nel gruppo di docenti che lavora col prof. Mattozzi all’università di Bologna, appare oggi la più accreditata presso il MPI per quanto riguarda l’insegnamento della storia nelle scuole. Tuttavia inviterei i colleghi dell’Università, che sono giustamente preoccupati di come stanno andando le cose, a tener conto prima di stracciarsi le vesti di alcuni elementi ulteriori.

Per prima cosa il professor Mattozzi, ma anche altri come i professori Brusa e Gusso, sono nomi ben noti nell’ambiente scolastico, che hanno lavorato in particolare nelle situazioni più difficili, ad esempio negli Istituti professionali. Sono docenti che da anni intervengono nelle scuole sperimentando nuove tecniche didattiche, conquistando consensi sul campo, stimolando le ricerche scolastiche di storia locale e settoriale. Soprattutto in quella che viene oggi chiamata scuola di base nell’ultimo decennio la storia è stata profondamente rinnovata e ha fatto esperienze significative. Ma in generale riviste come I viaggi di Erodoto, convegni come quelli promossi dall’Irsifar romano e da altri Istituti all’inizio degli anni ‘90 hanno profondamente modificato il modo di fare storia nella scuola. Gli studenti oggi vanno in archivio a consultare documenti, fanno interviste e ricerche di storia orale, si confrontano con fonti di vario genere, dalla letteratura al cinema.

Saranno questi esempi non generali, ci saranno tante sacche di conservazione, ma non si può certo ignorare tutto questo, come si è fatto nel dibattito di questi giorni. Chi sa bene, se non altro per deontologia professionale, che bisogna documentarsi prima di parlare, non può citare con sufficienza, come esempio del futuro da ignoranti cui gli italiani sono destinati, i "fumosi laboratori di storia", quando si tratta di esperienze discusse e messe in atto da circa un decennio. Quello che a me, donna di scuola, è parso veramente irritante in tanta parte di questa polemica è stata la banalizzazione di ogni istanza minimamente innovativa della proposta ministeriale, senza che si tenesse conto nel gridare allo scandalo che si tratta di cose che vengono comunque da lontano e che non si possono liquidare con la mozione degli affetti e la nostalgia per il nostro vecchio liceo. Gli approfondimenti tematici, che sono tanto avversati, non solo non contraddicono la storia cronologica, come è detto con tutta evidenza nei più recenti indirizzi ministeriali, ma sono anche l’unico modo per offrire agli studenti del triennio finale un assaggio di metodologia storica. Quella metodologia storica che sola può sollecitare il loro interesse e contrastare le banalità del comune senso storico, di quel rapporto ingenuo e acritico col passato (8) da cui gli studenti sono affetti nel migliore dei casi, cioè quando ce l’hanno. Dico questo rivolgendomi proprio a chi lo sa bene per aver fatto della ricerca la sua professione, e lo dico con la convinzione di chi sogna da anni il momento in cui avrà di nuovo, dopo tanto insegnare, l’opportunità di fare ricerca.

La storia cronologica ripetuta tre volte nei tre cicli non solo era una peculiarità italiana, e fin qui non ci sarebbe a mio parere niente di male, considerando tra l’altro che dalle indagini OCSE i nostri studenti appaiono meglio preparati degli altri dal punto di vista delle conoscenze storiche. Ma produceva anche i risultati in termini di conoscenze che l’università da anni rimprovera alla scuola. Per quanto mi riguarda, io non mi preoccupo tanto delle studentesse che non sanno chi è Badoglio, che può essere scandaloso solo per chi riduce la storia a quiz; ma dell’insofferenza e del disamore per la storia che si registra da ogni sia pur minima indagine tra gli studenti che ci passano per le mani.

Tornando ai manuali, concluderei dicendo che devono essere sempre più uno strumento agile, con una buona qualità di racconto, in grado di fornire allo studente le informazioni essenziali, la mappa su cui orientarsi nell’ambito della storia. Il resto va fatto con altri strumenti, a cui per altro l’editoria scolastica ha dimostrato di essere in grado di offrire supporto e nuove idee. E tuttavia il problema centrale oggi, se si ha veramente a cuore la sopravvivenza della conoscenza storica in un’epoca percorsa da una crisi globale delle conoscenze quale quella descritta dal libro di De Simone La terza fase, è che ci sia da parte di tutti maggior disponibilità a lasciare le proprie trincee e a pronunciarsi sui problemi reali della scuola, con toni e aperture verso le diverse ipotesi che, se mi consentite, non siano quelli che si sono usati finora.

Note
8. Francesco Traniello, Insegnamento della storia e storia del '900, in "Contemporanea", n. 1, gennaio 1998
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