PROGETTI PER IMPARARE LA STORIA DEL NOVECENTO: IL LABORATORIO DI DIDATTICA DELLA STORIA*

Laurana Lajolo

vicepresidente dell’Insmli, presidente della Commissione Didattica Nazionale, fa parte del Comitato Paritetico Ministero P.I. – Insmli


Il modello "leggero" di aggiornamento
Gli Istituti e le Commissioni provinciali
La Convenzione Ministero P.I. e Insmli

La storia degli ultimi cinquant'anni

Docenti interpreti e testimoni

La formazione di una coscienza postconvenzionale dei giovani
Il laboratorio di didattica della storia
Una struttura istituzionale
Una nuova mentalità dei docenti
La biografia personale e la storia
Fare storia

 

 

Il modello "leggero" di aggiornamento.

Il 1998 è stato un anno di grandi novità per la scuola e tra queste vi è il piano di aggiornamento sulla storia contemporanea, che si sta attuando con i corsi per tutor di storia. Per introdurre lo studio della storia del XX secolo nell’ultimo anno della scuola dell’obbligo e della scuola superiore, il Ministero della Pubblica Istruzione ha scelto una modalità di aggiornamento dei docenti (diversa dalle precedenti), che ha definito modello leggero. Ha istituito le Commissioni provinciali per l’aggiornamento presso i Provveditorati agli Studi, con il compito di individuare i docenti tutor per le scuole-polo, a cui fanno riferimento una rete di altre scuole del territorio. Ha superato l’imposizione rigida dei programmi dei corsi e dei criteri di aggiornamento, non ha ripercorso l’itinerario, coordinato dagli Irrsae, di preparare formatori, che, a loro volta, formano i colleghi, con una caduta a cascata. Ha preferito responsabilizzare le strutture provinciali (Provveditorati e scuole), lasciando ampia autonomia di progettazione dei contenuti e delle metodologie. Ha anche coniato una nuova definizione, i docenti tutor, che non devono considerarsi formatori dei colleghi, ma collaboratori, facilitatori dei processi di aggiornamento e di autoaggiornamento, con il coordinamento delle Commissioni provinciali.

L’orientamento ministeriale è, a mio avviso, apprezzabile per il tentativo non facile di introdurre novità nella formazione e nell’aggiornamento ed è coerente con il progetto avviato di autonomia delle scuole, ma forse non è stato pienamente esplicitato alle diverse istanze e sicuramente non è stato sufficientemente compreso dagli stessi docenti scelti come tutor. Va anche detto che il Ministero ha dato importanti responsabilità ai tutor, senza avere indicato contestualmente il profilo professionale, i tempi da dedicare ai nuovi compiti, le eventuali forme di retribuzione. Con la seconda tranche di finanziamento ai Provveditorati, pare, comunque, che il Ministero indicherà alle scuole polo le modalità di riconoscimento economico ai tutor. Rimane ancora aperto il problema professionale del riconoscimento del ruolo da parte dei colleghi, ma forse si rimanda la soluzione nella concreta applicazione del modello formativo, cioè sul campo, come abitualmente avviene nelle scuola, dove la pratica e la adattabilità dei docenti sostituisce normative precise.

Il processo di aggiornamento è, comunque, iniziato, anche se con esiti abbastanza diversificati sul territorio nazionale: province in cui si sta già attuando la seconda fase del corso per tutor e altre in cui non è stato ancora messo a punto il primo programma. Le perplessità dei tutor rimangono e qualche Istituto regionale di ricerca e sperimentazione prende iniziative in contrasto con il modello leggero del Ministero, che considera una forma di deprivazione delle funzioni degli IRRSAE e della logica collaudata dell’aggiornamento attraverso pochi formatori a livello regionale e le successive ricadute nella massa dei docenti. In sostanza, preconizza il fallimento del progetto ministeriale, basato sull’autonomia della scuola e calato direttamente sul territorio provinciale, e vuole rivendicare il loro ruolo nella formazione.

A me non pare che il modello Irrsae abbia in passato pienamente funzionato, poiché ha creato situazioni isolate di sperimentazione, soprattutto nella scuola superiore, senza far crescere contestualmente la preparazione di tutti i docenti e senza modificarne le abitudini tradizionali di insegnamento.

Detto questo, è innegabile che i problemi delle Commissioni provinciali siano evidenti: non tutti gli Uffici studi dei Provveditorati sono attrezzati per gestire il modello leggero, scegliere le strategie formative, organizzare i corsi, ma ci sono anche elementi positivi: ad esempio, il problema dell’aggiornamento ha coinvolto tutte le strutture ministeriali, dai Provveditorati alle scuole, in particolare quelle polo; i corsi per i tutor sui contenuti del Novecento si sono svolti o si stanno svolgendo, anche se con alcuni ritardi vistosi; i docenti di storia si stanno misurando, non individualmente, con le problematiche dell’insegnamento della storia contemporanea.

 

Gli Istituti e le Commissioni provinciali

Un altro dato di novità va individuato nel dettato della circolare ministeriale per la formazione delle Commissioni provinciali, in cui si fa esplicito riferimento alle agenzie educative e agli istituti culturali come possibili interlocutori della formazione dei docenti. Tra questi enti sono citati i nostri Istituti, molti di essi sono rappresentati nelle Commissioni e sono stati promotori delle proposte di aggiornamento sul versante dei contenuti e su quello delle metodologie.

Infatti l’Insmli e gli Istituti associati rappresentano, in Italia, l’unica struttura a rete, diffusa a livello territoriale, con un cospicuo patrimonio di ricerca, di documentazione e di mediazione didattica sulla storia contemporanea. Il nostro ruolo territoriale è stato evidenziato e molti Istituti hanno stabilito nuovi rapporti positivi con i Provveditorati agli Studi e le scuole polo o hanno ulteriormente migliorato la loro visibilità, con possibili sviluppi futuri. Alcuni hanno già stabilito accordi di consulenza per la progettazione di laboratori di didattica della storia a scuola o di collaborazione con le scuole e gruppi di insegnanti. Un risultato interessante e da consolidare nel tempo, che non si sarebbe conseguito se i nostri interlocutori non fossero stati direttamente le strutture scolastiche provinciali.

Un'altra considerazione a sostegno del nostro lavoro riguarda i corsi per tutor, che hanno ripreso il modello da noi proposto nel primo corso di aggiornamento fatto con il Ministero della P.I., in base alla Convenzione sottoscritta dall’Istituto nazionale nel febbraio 1996. L’organizzazione di quel corso (svolto ad Arona nel marzo 1997 per i docenti di scuola superiore) ha previsto che le lezioni degli storici fossero accompagnate dalle relazioni didattiche e ha destinato un ampio spazio ai lavori di gruppo, in cui i corsisti hanno potuto confrontarsi e produrre tracce di percorsi. Il metodo è poi stato perfezionato nel corso del 1998, che si è svolto a Latina per i docenti della scuola dell’obbligo, e sarà riproposto per il terzo corso, previsto a marzo 1999 nuovamente destinato alla scuola superiore, su un tema particolarmente interessante "Storiografia, testimonianze e memoria delle generazioni".

 

 

La Convenzione Ministero P.I. – Insmli

La Convenzione tra l’Insmli e il Ministero P.I., firmata prima del decreto Berlinguer sulla storia contemporanea, si è rivelata uno strumento di cooperazione e di reciproco supporto in vista dell’attuazione del provvedimento sul ‘900 e ha dato buoni risultati, di cui entrambe le parti sono soddisfatte, così che si sta profilando il rinnovo del protocollo d’intesa per altri tre anni. La Convenzione ha anche messo in risalto le competenze scientifiche e didattiche dei docenti comandati presso i nostri Istituti e il Ministero ha concesso venti nuovi comandi nell’arco di due anni, proprio per l’apprezzamento del nostro apporto metodologico e didattico al progetto della storia del ‘900.

Alcuni nostri comandati sono stati relatori e coordinatori di gruppo durante i corsi ministeriali e hanno potuto dimostrare l’impegno teorico e la pratica didattica sulle più importanti rilevanze della storia del Novecento, esprimendo competenze specifiche sull’uso critico delle fonti multimediali proprie della storia contemporanea. Hanno anche dimostrato un’omogeneità di formazione, dovuta in larga parte al lavoro svolto dalle Scuole di formazione Landis e attraverso la circuitazione di proposte metodologiche e itinerari didattici all’interno della rete degli Istituti. Si è palesato, insomma, un nostro stile di intervento, basato su solide competenze di ricerca e di didattica.

 

 

La storia degli ultimi cinquant’anni

Fino ad ora abbiamo utilizzato materiali prodotti negli anni scorsi, in particolare nella ricca stagione per la didattica del cinquantesimo anniversario della Resistenza, quando sono state pubblicate proposte innovative degli Istituti, soprattutto nel campo della storia sociale e della vita quotidiana, della storia di genere e della storia delle soggettività. Ma ora è necessario avviare nuove fasi di ricerca sugli ultimi cinquant’anni della storia locale, nazionale e internazionale, poiché su questo periodo storico non possiamo contare su ricerche consolidate degli Istituti, quindi su sistematizzazione di categorie interpretative, utilizzo critico delle fonti e risultati della ricerca adeguati alla mediazione didattica.

Nei corsi per tutor, il ruolo degli Istituti si è concentrato sull’individuazione delle rilevanze e delle scelte tematiche del Novecento, sull’impostazione metodologica a partire dai bisogni formativi degli studenti e dalle domande sul presente per interrogare il passato.

I compiti che ci attendono sono, quindi, attinenti all’insegnare la storia degli ultimi cinquant’anni, visto che fino alla seconda guerra mondiale alcuni contributi storiografici, manuali aggiornati, repertori di fonti sono già immediatamente utilizzabili dai docenti. Attualmente le proposte didattiche degli Istituti sul secondo dopoguerra sono ancora poche e moltissimo è ancora da fare sul versante storiografico e della storia locale, sulla selezione e sull’uso delle fonti, sugli approcci metodologici, approfondendo il rapporto tra memoria e storia. Dobbiamo, dunque, mettere in moto la ricerca dell’Istituto nazionale e degli Istituti della rete su alcuni snodi fondamentali del secondo dopoguerra.

Nel documento Istituti e insegnamento della storia contemporanea, redatto dalla Commissione Didattica Nazionale alla fine del 1997, si fa esplicito riferimento agli anni settanta come periodo cruciale per la storia italiana. E non è un riferimento puramente storiografico, ma è legato concretamente alla biografia dei docenti oggi in servizio, che negli anni settanta si sono formati culturalmente e politicamente.

 

 

Docenti interpreti e testimoni

Io credo, infatti, che la soggettività del docente sia messa direttamente in gioco dall’insegnare la storia più recente, della quale il docente è, allo stesso tempo, interprete e testimone, poiché la storia degli ultimi cinquant’anni è parte integrante del proprio vissuto soggettivo nella dimensione personale e collettiva. Il tema va approfondito e soprattutto va tenuto ben presente nelle proposte metodologiche e didattiche su come affrontare l’insegnamento/apprendimento del Novecento. L’introduzione dello studio di questo secolo cambia, infatti, radicalmente il metodo di approccio alla storia e rimette in discussione l’intero curricolo di storia, non soltanto perché procura una compressione delle scansioni storiche precedenti, ma perché trasforma l’uso formativo della storia e il nesso con le altre materie.

Innanzitutto l’insegnamento della storia contemporanea richiede ai docenti, in mancanza di una codificazione di contenuti e periodizzazioni come per gli altri periodi storici insegnati, di operare in prima persona la scelta di rilevanze, scansioni temporali, contenuti, sulla base di criteri metodologici rigorosi. E non è un’operazione facile, e comunque non attuabile dal singolo docente.

I programmi dei corsi per tutor hanno molto insistito sulle rilevanze del Novecento e su moduli tematici che servano a definire complessivamente un secolo estremamente complesso e variegato. In genere non è stato fornito uno schema rigido, ma una pluralità di definizioni e di proposte di lettura, che rimanda ad ulteriori approfondimenti.

 

 

La formazione di una coscienza postconvenzionale dei giovani

In questa dimensione diviene di grande utilità, per l’approfondimento dei temi e la selezione delle fonti, progettare percorsi di ricerca per gli studenti sulla storia locale in connessione con la storia generale, un intreccio, insomma, tra microstoria e macrostoria, tenendo conto che la globalizzazione della storia più recente comporta la riscoperta, non sempre corretta e storicamente giustificata, di autonomie e di identità territoriali. Per formare una coscienza multiculturale e postconvenzionale degli studenti è indispensabile affrontare i problemi del rapporto tra identità e differenza, tra locale e generale, tra il proprio radicamento territoriale e la globalità degli eventi storici.

Inoltre, proprio nel momento in cui si denuncia la scarsa motivazione dei giovani allo studio della storia, così come risulta dalle ultime indagini condotte in campo sociologico, diventa più importante l’esigenza formativa di acquisire la capacità di pensare storicamente nella dimensione della contemporaneità.

Lo stesso documento dei saggi sui saperi fondamentali (1998) pone di fatto al centro del processo educativo il sapere storico quale tessuto connettivo delle altre discipline. Ed è questo, a mio avviso, un buon punto di partenza per progettare l’approccio dei giovani allo studio della storia in una programmazione multidisciplinare, resa sempre più necessaria dalle dimensioni non solo istituzionali, politiche ed economiche, ma sociali, antropologiche, culturali in senso lato della storia.

Purtroppo il decreto Berlinguer ha prescritto una diversa articolazione del programma di storia con un provvedimento settoriale, che non ha modificato i programmi delle altre materie. In questa fase di transizione, quindi, è indiscutibile che la programmazione di storia non coincide con quella di altre discipline, naturalmente connesse allo studio storico. È una difficoltà in più per i docenti, che avvertono l’evidente necessità di un approccio multidisciplinare al Novecento, proprio per la molteplicità di fonti e la multimedialità, che caratterizzano i saperi contemporanei.

 

 

Il laboratorio di didattica della storia

Come possono, dunque, agire gli insegnanti, sollecitati, da un lato, dagli spunti innovativi e interessanti dell’introduzione della storia contemporanea nell’ultimo anno, e, dall’altro, forzatamente condizionati dalle evidenti contraddizioni e dalle ineludibili difficoltà di programmazione e di pratica didattica? Il laboratorio di didattica della storia può essere uno strumento efficace, anche se non esaustivo dei problemi aperti.

La seconda fase della formazione dei tutor è focalizzata, infatti, secondo le indicazioni ministeriali, sull’allestimento del laboratorio di didattica della storia nelle scuole polo. Il Ministero non ha fornito un modello di laboratorio e lascia ampia libertà all’autonomia della scuola, ma certamente l’impostazione metodologica del ruolo del laboratorio, da noi seguita nell’organizzazione dei corsi, ha influito nel sostenere tale indicazione.

I laboratori sono, dunque, l’obiettivo più importante per i tutor, che, però, nella grande maggioranza dei casi, non hanno strumenti sufficienti per progettarlo. I corsi, che sono in svolgimento o che stanno per iniziare, dovrebbero, a questo proposito, fornire indicazioni flessibili, ma organiche e coerenti. Si rende, quindi, necessario per noi riflettere sulle esperienze degli Istituti e approfondirle così da puntualizzare i modelli possibili, adeguandoli alle nuove esigenze della scuola, introdotte dall’insegnamento della storia del Novecento.

Come adattare le nostre esperienze laboratoriali di Istituto ai luoghi di lavoro delle scuole polo? Quale rapporto stabilire tra i laboratori delle scuole i nostri laboratori? Quali indicazioni metodologiche ed operative possiamo rapidamente mettere a punto per fornire progetti e modelli per le scuole?

Nella riunione della Commissione Didattica Nazionale del 29 settembre scorso ho proposto alla rete degli Istituti un gruppo di lavoro, che, entro gennaio 1999, sia in grado di elaborare delle proposte per i tutor e le scuole. Tali proposte saranno vagliate dalla Scuola di formazione del Landis, (10-12 febbraio prossimo) e nel corso di aggiornamento ministeriale (8-13 marzo 1999). Il nuovo testo della Convenzione, da rinnovarsi entro febbraio, potrebbe, infine, riconoscere un nostro ruolo di consulenza per i laboratori delle scuole.

Io credo che, almeno in questa fase di avvio dello studio della storia contemporanea, vada enfatizzata la funzione del laboratorio, perché in questo luogo"di lavoro comune tra docenti e studenti potranno essere affrontate alcune difficoltà, altrimenti insormontabili, riguardo alle nuove strategie per apprendere a pensare storicamente.

 

Una struttura istituzionale

Il laboratorio, nella nuova situazione, non è più un fatto volontaristico di alcuni docenti avanzati, che progettano, spesso in modo individuale, un luogo di sperimentazione con i propri allievi, ma diventa una struttura istituzionale della scuola, di uso comune così come i laboratori di scienze o quelli di lingue. Pertanto, quali funzioni deve assumere?

Provo a dare una schematizzazione, prima di tutto pensando al lavoro degli insegnanti nella prima fase, quella dell’allestimento.

Il laboratorio è luogo di discussione e di progettazione collettiva, dove i docenti hanno la possibilità di confronto e di scelta dell’impostazione metodologica e della programmazione. E’ una banca-dati e un complesso di attrezzature, con cui è possibile preordinare da parte dei docenti e sperimentare da parte degli studenti le procedure del mestiere dello storico.

Il laboratorio è anche luogo mentale: una o più modalità di fare storia partendo dall’uso delle fonti multimediali, utilizzando contenuti, metodologie e tecniche multidisciplinari.

Per progettare l’allestimento del laboratorio è indispensabile fare il censimento delle possibili fonti, in prima istanza dei giacimenti culturali della scuola (archivio, biblioteca, collezioni scientifiche), degli enti territoriali (archivi, biblioteche, musei, archivi industriali, archivi multimediali, archivi privati, librerie qualificate, cineteche, istituzioni culturali, ecc.). In tal modo il laboratorio diviene prima di tutto una banca-dati dinamica, in continuo aggiornamento prodotto dalle ricerche ed esperienze, che sono condotte con gli studenti.

Il laboratorio è, dunque, anche luogo della memoria, cioè conserva la documentazione raccolta, le proposte didattiche e anche le esperienze che verranno prodotte dagli studenti nel corso degli anni e che possono diventare, a loro volta, fonte per ulteriori lavori. La banca-dati si arricchisce con il tempo di bibliografie ragionate delle fonti multimediali, non solo di quelle storiografiche tradizionali, e con approfondimenti specifici relativi ai percorsi che si vogliono attivare. Oltre ai dati sulle istituzioni culturali sul territorio e alla bibliografia, sono utili censimenti di siti internet, indici, cronologie, tavole sinottiche, al fine di costruire mappe concettuali e griglie su temi.

Accanto a quella temporale, va evidenziata anche la dimensione spaziale, con i relativi strumenti conoscitivi ed operativi, poiché nel presente e nella storia globale esistono più spazi, che vanno esplorati e conosciuti.

Contemporaneamente gli insegnanti hanno da rilevare e registrare i bisogni formativi degli studenti e da quelli partire per operare la selezione dei contenuti e per individuare gli obiettivi formativi. Il più importante di tali obiettivi è senz’altro quello di problematizzare le rilevanze e le scansioni della storia contemporanea, poiché la complessità e la vastità di contenuti e di problemi necessitano di una giustificata scelta dei temi e di una pluralità di approcci. La parzialità della proposta di studio deve, infatti, essere accompagnata dalla completezza delle procedure storiche, così da consentire ai ragazzi la piena acquisizione della strumentazione critica per la conoscenza storica.

Affinché l’attività di laboratorio abbia una sua funzione, nell’ambito della programmazione generale dello studio della storia, il docente deve prestare molta attenzione alla strategia dei tempi didattici. Il lavoro laboratoriale può essere usato per una esperienza di approfondimento di poche ore, oppure può diventare una delle modalità dell’insegnamento/apprendimento, con un ampio utilizzo, durante tutto l’arco dell’anno scolastico.

Il laboratorio va attrezzato con strumentazioni multimediali (registratore, videoregistratore, macchina fotografica, computer, stampante, scanner, collegamento internet, ecc.), una biblioteca specializzata essenziale e, dato importante, vanno raccolti anche oggetti materiali evocativi dei periodi che si ritiene studiare, per dare riferimenti concreti e non solo concettuali.

Il laboratorio è un luogo fisico e l’aula, o meglio lo spazio laboratoriale va suddiviso secondo le esigenze dei lavori di gruppo e di ricerca. L’articolazione degli spazi dell’aula laboratorio deve essere funzionale ai lavori in corso, con tavoli facilmente componibili, l’area video, l’area teatro e musica, l’area stampa e così via. Gli spazi possono anche essere ridotti, ma pensati e strutturati in modo flessibile per adattarsi a tutte le modificazioni di funzione, che possano rendersi necessarie.

Il laboratorio è anche centro operativo di interrelazione con istituzioni culturali, enti pubblici e l’insieme del territorio (paesaggio urbano e rurale), che possono fornire documentazione e suggerimenti per apprendere e fare storia.

Il laboratorio è, infine, luogo simbolico per la storia contemporanea, in quanto raccoglie in sé i riferimenti culturali e di ricerca e propone lo sviluppo del percorso di ricostruzione e di interpretazione del fatto storico, inteso non solo come avvenimento cronologicamente datato, ma come insieme di fatti culturali, sociali, economici.

Per queste considerazioni credo che la progettazione del laboratorio e la sua attuazione siano momenti particolarmente significativi e rilevanti nel processo di aggiornamento e di autoaggiornamento dei tutor e dei docenti e per il lavoro degli allievi.

 

Una nuova mentalità dei docenti

La fase della progettazione comporta, infatti, un vero e proprio cambiamento della mentalità del docente nell’affrontare l’insegnamento della storia, che non può più essere soltanto considerato una competenza individuale, ma che coinvolge necessariamente più docenti di più discipline. Soltanto la programmazione multidisciplinare può dare conto adeguatamente della complessità del fatto storico da studiare e della pluralità di approcci alla contemporaneità. La stessa molteplicità delle fonti e la varietà di tipologie, scritte, audiovisive, informatiche, richiede una analoga molteplicità di competenze, per le quali si può fare riferimento a colleghi di altre discipline, attraverso la programmazione multidisciplinare, come ad esperti esterni alla scuola, che possono fornire prestazioni proprio nell’ambito del laboratorio. Gli stessi indirizzi del nuovo esame di maturità vanno in questa direzione.

In tale fase sarebbe auspicabile che i tutor e i docenti delle scuole polo e delle scuole in rete individuassero i tempi della discussione intorno ai problemi dell’insegnabilità della storia contemporanea, della selezione delle rilevanze e dei contenuti caratterizzanti il secolo, della tipologia e uso delle fonti. L’insegnamento del ‘900 comporta, infatti, una revisione di tutto il curricolo di storia e, anche se questo non è stato ancora riformato, è possibile programmare secondo moduli tematici, come previsto dai nuovi programmi degli Istituti professionali, il che consente di studiare il passato, partendo dall’orizzonte del presente.

Delineato il progetto di allestimento, che è, di per sé, un progetto dinamico con continue integrazioni e successivi arricchimenti documentari, il laboratorio può essere aperto all’attività degli studenti. Ed è a questo punto che le riflessioni e le elaborazioni precedenti cominciano ad avere un’applicazione nella pratica scolastica e una condivisione con gli studenti. Il coinvolgimento dei due soggetti della scuola risulta, dunque, essere di tipo intellettuale e conoscitivo con il progetto del percorso didattico, ma anche emotivo perché si tratta di una ricerca comune per giungere all’obiettivo prescelto.

Naturalmente, nel momento della progettazione, i docenti devono conoscere le dinamiche del lavoro di gruppo, discutere e problematizzare le scelte in una riflessione collettiva e evidenziare le strategie adeguate al raggiungimento degli obiettivi, così come devono aver definito i tempi di sviluppo del percorso.

Rilievo particolare per l’azione formativa è la presentazione del progetto - storia agli studenti, la sua discussione e la messa a punto dell’ipotesi di studio e della metodologia di lavoro. Così gli studenti sono coinvolti direttamente nelle scelte, al livello che a loro compete, e fatti partecipi della riuscita del progetto stesso.

 

 

La biografia personale e la storia

Per affrontare correttamente l’insegnamento della contemporaneità i docenti devono anche riflettere sull’uso pubblico, o meglio politico, della storia e sui compiti formativi dell’insegnante. In tale dimensione acquista rilevanza specifica l’elaborazione del rapporto tra memoria e storia, così pregnante per la storia contemporanea, e della interrelazione tra generazioni, tenendo conto del diverso sguardo sul Novecento degli insegnanti e dei ragazzi.

I docenti non possono, infatti, sottrarsi ad avere consapevolezza della propria biografia individuale in relazione agli avvenimenti insegnati, agli snodi individuali e collettivi del periodo, a prendere compiutamente atto, insomma, del ruolo di testimoni e insieme di interpreti della storia insegnata, condizione del tutto nuova e insolita, ma anche stimolante e ricca di sviluppi. Se i docenti si presentano ai loro studenti come testimoni diretti, riattivano di fatto il rapporto intergenerazionale, quasi scomparso, che è il motore principale del passaggio di memoria tra le generazioni e quindi del confronto sui valori. Si riapre così il processo della memoria storica, intreccio tra passato e presente che si forma nelle relazioni tra soggetti di diversa età, ciascuno con la propria memoria, ma che, insieme, compongono il quadro generazionale e intergenerazionale.

In tale contesto, naturalmente, i docenti devono anche essere criticamente consapevoli dei limiti dell’uso della memoria in sede storica; la memoria è senza dubbio una fonte soggettiva di primaria importanza, ma richiede precisi e coerenti riscontri con altre fonti e con la documentazione scritta esistente e ha precisi campi di applicazione.

Credo che nella società attuale sia fuori luogo, data la rapidità delle trasformazioni e la radicalità dei cambiamenti, parlare di "trasmissione dei valori", propria delle società autoritarie e fortemente ordinate e gerarchizzate. Oggi, in cui il mondo degli adulti e il mondo dei giovani sono collocati in dimensioni molto differenziate, l’obiettivo formativo che si deve raggiungere è quello di "riscrivere insieme i valori". La generazione dei docenti ( e quindi dei padri/madri) dichiari e proponga i propri punti di riferimento passati e presenti, non in termini assoluti, ma come effetti dell’esperienza di vita e li confronti con le aspirazioni, i bisogni, i sogni dei giovani, che hanno, lo vogliano o no, il compito insopprimibile di progettare il futuro. E forse, nel momento presente, soltanto la scuola è in grado di creare le condizioni di quel passaggio di memoria tra le generazioni, che prima avveniva in ambiti familiari e comunitari.

Il laboratorio offre il luogo privilegiato per questo incontro di memorie e di aspettative, di presente – passato - futuro, in quanto lì si svolge il lavoro comune di docente e studenti.

L’attività di istruzione e formazione nasce dalla collaborazione tra due soggetti: i docenti e gli studenti. I primi sono i produttori di saperi, portando con sé la propria storia, e, in quanto mediatori tra i risultati della conoscenza scientifica e l’apprendimento scolastico, organizzano i processi cognitivi degli allievi. Nell’ambito del laboratorio, scendono dalla cattedra e stabiliscono l’interazione con i ragazzi, o meglio con i propri collaboratori, a un progetto di conoscenza ed esperienza che fornisce ad entrambi i soggetti occasioni di insegnamento e di apprendimento, sostanzialmente di scambio conoscitivo ed emotivo. Gli studenti, a loro volta, hanno l’importante occasione formativa di riconoscere la relazione tra la propria biografia personale e la storia, giungendo a pensare storicamente il presente e a dare senso al proprio vissuto. Con l’interazione tra i due soggetti, che tenga conto delle domande dei ragazzi sul presente, si stabilisce il rapporto tra memoria/storia/generazioni, che consente di cogliere la qualità dei cambiamenti in atto (per un approfondimento di questi argomenti rimando a un mio intervento, I giovani e il senso del tempo. La storia del ‘900 a scuola pp. 9-24, pubblicato in "Storia e problemi contemporanei, n. 21. a. XI, 1998, Rivista dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche).

 

 

Fare storia

Il laboratorio si propone, dunque, come il luogo in cui viene superata la visione trasmissiva tradizionale del sapere attraverso le lezioni frontali e i contenuti confezionati, e in cui viene sperimentata il sapere e il saper fare dell’insegnante e dei ragazzi. Si costituisce il lavoro comune tra colui che insegna, ma che nel contempo impara dai suoi allievi, e coloro che, mentre acquisiscono strumenti cognitivi ed operativi, attivano uno scambio di conoscenze e competenze, di saperi e di desideri. Il laboratorio è anche il luogo in cui, nel fare direttamente storia, scatta la motivazione di sapere, si innesca una "passione" di condurre a termine la ricerca di conoscenza, si stabilisce una complicità empatica con il docente e i compagni per compiere bene un lavoro, che non è imposto, ma è prodotto collettivo.

I ragazzi imparano così a fare storia, nel senso che si impadroniscono delle procedure seguite dallo storico nel suo lavoro di ricerca e di interpretazione, ma comprendono anche concretamente, durante lo svolgimento del percorso didattico, che sono anch’essi parte della storia, che stanno "facendo la loro parte" nella storia, per piccola che essa sia. E questo riconoscimento di protagonismo ha come finalità l’assunzione di responsabilità individuale e civile di giovani cittadini.

È chiaro come muti fortemente il metodo di approccio allo studio storico, che punta sulla ricerca e sull'esperienza piuttosto che sulla trasmissione di contenuti preconfezionati, e quanto questa trasformazione richieda ai docenti competenze e capacità creative, oltre che conoscenze disciplinari.

D’altro canto, gli stessi studenti passano da un atteggiamento ricettivo, spesso esclusivamente passivo e senza motivazione di conoscenza, al fare storia, allo sperimentare le procedure e i metodi dello storico, supportati dagli insegnanti. Essi sono stimolati a rendere esplicite domande, anche inespresse, sul mondo attuale e a porsi in atteggiamento di ricerca rispetto al passato per orientarsi nel presente. Il loro vissuto soggettivo è messo al centro delle motivazioni per conoscere la storia o meglio le storie del passato, per trovare ipotesi interpretative del presente e inventare prospettive per il futuro. I ragazzi vengono ad assumere responsabilità nella scelta e nell’utilizzo degli strumenti critici del proprio processo formativo, con un atteggiamento attivo, che ha un grande valore educativo, non circoscritto alla sola disciplina storica.

Il lavoro di gruppo tra compagni, di cui è parte integrante e non esterna l’insegnante, produce, oltre alla conoscenza del mestiere dello storico, anche una nuova consapevolezza del duplice significato del fare storia. Fa sperimentare il nesso tra sapere cognitivo e saper fare, producendo, a volte, anche nuovi risultati della ricerca, seppure nella dimensione del laboratorio, fa conoscere e analizzare la presenza della pluralità di soggetti del processo storico. In particolare il ragazzo può acquisire abilità cognitive ed operative per compiere le indagini sulla documentazione e giungere alla interpretazione dei fatti e dei processi storici. Che, poi, a ben vedere, è l’obiettivo finale dello studio della storia, esaltato nel campo della storia contemporanea, per le evidente implicazioni del nesso presente/passato/presente riguardo ai temi affrontati.

Il laboratorio può essere attivato per esperienze molto circoscritte nel tempo, cioè con proposte di brevi unità didattiche, o come punto di riferimento costante per lo studio della storia, attivando esperienze e ricerche di più lunga durata, programmate lungo tutto l’anno scolastico. Al fine di favorire questa nuova modalità di apprendimento e di coscientizzazione del fare storia, ritengo che ricerche e percorsi didattici sulla storia locale e territoriale siano molto proficue e adatte a raggiungere gli obiettivi indicati.

Infine, mi pare utile richiamare l’attenzione che il laboratorio come "luogo scolastico" non può rimanere chiuso in se stesso, ma deve rimanere in costante riferimento con i luoghi di documentazione, di ricerca e di consultazione del territorio, censiti nella banca-dati, allargando l’orizzonte alle dimensioni urbanistiche, paesaggistiche, naturalistiche ed ambientali, che sono ricchissime di suggestioni e di tracce di storia/storie e che sono completamente assenti dai manuali e dai metodi tradizionali di insegnare la storia. Queste sono, al contrario, fonti di massimo interesse, luoghi primari e consueti della vita quotidiana dei ragazzi, che meritano un approfondimento storicamente critico di conoscenza, per consentire il confronto con la globalità della storia.

La presenza dei laboratori produrrà cambiamenti nell’attività didattica degli Istituti, che possono proporsi come consulenti delle scuole-polo, anche con appositi protocolli d’intesa. Si potrà mettere a disposizione le competenze scientifiche e le risorse umane e strutturare opportunità di consultazione guidata agli archivi (cartaceo, fotografico, ecc.), alla biblioteca, all’emeroteca e videoteca, con repertori di fonti per la ricerca, bibliografie ragionate, percorsi di lettura delle fonti audiovisive ed altro ancora. Si dovrà anche intensificare la ricerca didattica per fornire nuovi suggerimenti di lavoro, spendibili nella scuola.

È necessario, dunque, continuare a produrre riflessioni ed approfondimenti in merito al contributo che gli Istituti possono mettere in campo rispetto alle modalità di progettazione e di operatività di una struttura nuova, che tra poco entrerà a far parte dell’istituzione scolastica.

*Articolo pubblicato in " Asti contemporanea", n. 6, 1998

Torna al Sommario