Giovanni De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp.292, £ 39.000
di Antonino Criscione

   Che quella degli storici, e in particolare degli storici dell'età contemporanea, sia una comunità scientifica sull'orlo di una crisi di nervi è un dato evidente, se si considerano le condizioni oggettive in cui essi svolgono il loro lavoro e la dimensione soggettiva che il disagio assume: cambiamenti in corso nelle strutture dell’Università, un sempre più invasivo "uso pubblico" della storia, sfide epistemologiche che investono lo statuto stesso della disciplina, crisi dell’insegnamento di storia nella scuola. Nella discussione svoltasi nel corso dell'ultimo anno sulla riforma del curricolo di storia, poi seppellita tra la soddisfazione e il sollievo di alcuni dai risultati delle elezioni politiche del maggio 2001 nonché dal progetto di controriforma della scuola in atto, sono emersi stili di confronto e di iniziativa non sempre riconducibili al terreno del dibattito tra tesi diverse o contrapposte; in molti casi si è trattato di precisi segnali di inquietudine di fronte a temute "novità" che avrebbero potuto coinvolgere negativamente il ruolo e il destino della disciplina. Il libro di Giovanni De Luna (Giovanni De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp.292, £ 39.000) prende l'avvio da una riflessione su questi problemi per delineare un percorso di analisi dei fondamenti del "fare storia" della contemporaneità e indicare prospettive di metodo e linee di ricerca innovative. La struttura del libro ha un classico impianto "manualistico" e tratta in modo approfondito le questioni riguardanti lo studio della storia contemporanea: che cosa si studia, e cioè il Novecento; chi studia, e cioè chi sono, e anche chi dovrebbero essere, gli storici come soggetti della conoscenza storica; come si studia, e quindi le specifiche caratteristiche delle fonti della contemporaneità; come si racconta, e cioè il tema delle forme della comunicazione riguardante la storia contemporanea.

     La definizione dell’oggetto della storia contemporanea è posta dall’autore all’incrocio di due coordinate fondamentali: da una parte la specifica particolarità che l’esperienza del tempo storico acquisisce a partire dal Novecento, dall’altra la generale tendenza alla massificazione che ha caratterizzato questo secolo. Con la fine del secolo XIX il tempo cessa di essere il principio ordinatore e di comprensione degli eventi umani e di una rappresentazione storica fondata sulla successione e sulla concatenazione, mentre si afferma come centrale l’esperienza del mutamento e della simultaneità in quanto accesso a più spazi e a più tempi non ordinati secondo criteri di contiguità/continuità. Accanto a questo aspetto va sottolineato come il Novecento sia stato caratterizzato dall’ingresso attivo delle masse nella storia, che ne ha plasmato gli elementi più significativi: la società, la produzione, le guerre, la comunicazione, il consumo, la morte, la partecipazione politica, la diffusione delle ideologie. Questo approccio alla definizione dei caratteri costitutivi del Novecento mette al centro dell’attenzione il ventennio tra le due guerre, nel corso del quale diventò diffuso e incisivo l’uso dei mezzi di comunicazione di massa. Ciò avvenne in una fase storica in cui si imponeva la necessità di fare i conti con il passato e con la storia in termini nuovi e in modo drammatico, mentre la comparsa di nuovi media costruiva contesti comunicativi nei quali questa esigenza trovava diffusione e cercava risposte. E' proprio negli anni Venti e Trenta del Novecento che, secondo De Luna, si può collocare il punto di svolta che determina la nascita dell'"uso pubblico della storia" nei suoi vari e spesso contraddittori aspetti: circolazione del discorso storico al di fuori della ristretta cerchia degli "addetti ai lavori"; dibattito pubblico tra storici su temi di interesse collettivo; manipolazione delle conoscenze tesa a ostacolare la lettura critica del passato; modalità di discorso e di comunicazione attraverso la quale le ferite della memoria si rivelano e vengono alla luce.

    I soggetti di una conoscenza storica che aspira a diventare scienza sono presentati e analizzati in questo libro secondo varie prospettive e dentro una tipologia che ne mette in luce caratteristiche e tratti distintivi: lo "storico iconoclasta", che lotta con passione revisionistica per liberare la società dai miti che essa stessa ha creato e si propone di ridurre lo iato tra coscienza storica diffusa e scienza storica professionale; lo "storico pittore", che non riproduce indiscriminatamente tutto ciò che vede, ma seleziona e "costruisce" i fatti storici di cui parla; lo "storico chiffonier", che si aggira tra i materiali di scarto depositati dalla società e scava tra i detriti del tempo per raccogliere storie da raccontare; lo "storico narratore", che organizza in forma di narrazione il contenuto della realtà storica indagata e attraverso il discorso mostra le prove delle sue argomentazioni; lo "storico mediatore", che si propone di aiutare il passato a transitare nel presente garantendo che in questo passaggio non si dia luogo ad adulterazioni e travisamenti; lo "storico enzima", che non si accontenta di un racconto veritiero dei fatti, ma vuole trasmettere conoscenza e alimentare saperi per confrontarsi con gli altri discorsi presenti nell'arena mediatica dell'uso pubblico della storia. Gli elementi che accomunano le varie facce dello storico del Novecento sono essenzialmente due: da una parte la "scelta di assumere consapevolmente la propria personalità e il proprio vissuto come parte integrante del proprio progetto intellettuale di ricerca" (pg. 45), infrangendo una lunga consuetudine che ha visto gli storici diffidenti nei confronti della propria soggettività; dall'altra parte il rifiuto di essere lo "storico della gente", che legittima gli assetti politici egemoni e l'opinione pubblica più diffusa e non rende riconoscibili sul piano storiografico le proprie tesi attraverso gli apparati di note, la lettura critica della bibliografia, la scientificità dell'argomentazione, l'esibizione delle prove. Lo storico del Novecento è un "nuovo orco", secondo la lezione di Marc Bloch: " Il buon storico somiglia all'orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda". E "Nuovi Orchi" si intitola la collana editoriale de La Nuova Italia, diretta da Giovanni De Luna, della quale questo libro è il battistrada.

    Il "ritorno alle fonti" e "il nocciolo razionale" della narrazione sono le armi con cui lo storico "nuovo orco", "narratore" e "iconoclasta", può contrastare ogni tendenza ad una "riscrittura del passato che disdegna le prove" (pg. 101). Le fonti sono infatti la "risorsa strategica della ricerca storica" (pg.103), perché solo attraverso esse possiamo attingere alla conoscenza del passato. L'autore propone una mappa aggiornata delle fonti per la storia del Novecento, che nasce sia dall'analisi dei bisogni di conoscenza stimolati dallo studio di questo secolo sia dall'indagine su un territorio dilatato, composto da un corpus documentario ampio ed eterogeneo. Se il XX secolo è l'età dei mutamenti e delle masse occorre infatti confrontarsi con i comportamenti collettivi di "un'umanità massificata ed estesa in termini geografici e quantitativi della quale gli storici devono penetrare non solo gli aspetti politici e istituzionali ma anche il modo di percepire il tempo e lo spazio, il dolore e la morte, le ambizioni e i timori, tutto il complesso dell'esperienza quotidiana." (pp. 105-106). Nello stesso tempo l'identificazione della fonte con il documento scritto e la distinzione tra fonte intenzionale e fonte non intenzionale non hanno più ragione di essere in una prospettiva storiografica che mette al centro le domande che lo storico pone alle fonti e privilegia quindi il problema e non il documento. Si apre così la possibilità/necessità di utilizzare come fonti per la storia del Novecento non soltanto i documenti scritti ma anche tutte le tracce e i materiali prodotti da uomini e donne nel corso del secolo: tra questi le fonti orali e i prodotti dei nuovi (fotografia, cinema, radio, televisione) e nuovissimi (Internet, il Web) media. Questa dilatazione del territorio delle fonti da indagare ha imposto agli storici, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, di riconsiderare il loro armamentario metodologico e il loro approccio soggettivo alla ricerca: nuovi stimoli culturali e inedite piste di lavoro, ma anche cautela e attenta considerazione dei vincoli e delle rigidità filologiche connesse alle nuove metodologie. De Luna propone qui un quadro esauriente delle potenzialità e dei problemi che nascono dall'uso dei media come fonte. Quando il cinema, la radio, la televisione, la fotografia, il Web vengono coniugati con la storia, essi assumono almeno tre aspetti: sono testimoni diretti degli eventi, e in quanto tali si costituiscono come fonti del presente che li ha prodotti; sono strumenti di narrazione e divulgazione della storia, e quindi vanno considerati in relazione al passato che intendono raccontare; sono agenti di storia perché entrano in relazione con eventi, universi di discorso, modi di essere e di comunicare, e li modificano o influenzano. Per capire che cosa ciò significhi basti pensare al ruolo svolto da Internet e dal Web rispetto alle manifestazioni contro il G8 e alla repressione poliziesca a Genova il 20 e 21 luglio 2001, oppure al ruolo svolto dalla televisione rispetto alla strage delle Twin Towers di New York dell'11 settembre 2001. I media diventano una fonte capace di fornire elementi di conoscenza storica soprattutto rispetto al complesso mondo della "mentalità", a ciò che carattterizza l'esistenza collettiva e l'insieme di comportamenti, bisogni, emozioni di cui essa è intessuta. Nell'analisi dei media come fonte diventa centrale il criterio della verifica dell'intenzionalità sia nel senso di riconoscere le intenzioni dell'autore e il suo progetto politico e culturale sia nel senso di riuscire a far parlare i documenti "malgrado se stessi", scavalcando le intenzioni dell'autore e valorizzando i loro elementi "non intenzionali".

    De Luna fornisce nei capitoli 6 e 7 del libro interessanti esempi di analisi di questo tipo di fonti (fotografia, radio, cinema) e propone alcuni spunti di riflessione sull'uso dei nuovissimi media (Internet, il Web) come fonti. In quest'ultimo caso si pongono vari problemi, non ultimo quello riguardante l'identificazione dell'autore del sito o della risorsa telematica che si sta utilizzando, sia per le ambiguità connesse all'uso di questo strumento di comunicazione sia perché il concetto stesso di "autore" tende a liquefarsi o a cambiare statuto nella Rete. Una distinzione in ogni caso andrebbe fatta tra Internet, intesa come sfera comunicativa all'interno della quale diversi software consentono di operare secondo modalità specifiche e distinte tra loro (posta elettronica, mailing-list, chat, etc.), e il Web, cioè la più recente di queste applicazioni, che può a buon diritto essere considerato un medium, al pari della radio e della televisione. Sono molti i siti Web di contenuto storico, e alcuni di essi forniscono materiali di grande interesse. A questo riguardo sembra prevalere tra gli storici un atteggiamento di attenzione guardinga e in molti casi di sospetto, se non di diffidenza, giustificati da considerazioni riguardanti sia la volatilità di queste fonti sia il tendenziale appiattimento sul presente che sembra caratterizzare le forme e i contenuti della comunicazione nella Rete. Ci troviamo in un ambito nel quale il rischio è l'altra faccia dell'opportunità. Si pongono dunque nuove questioni, prima fra tutte quella di elaborare strumenti di analisi critica e filologica adeguati a questa nuova realtà. Resta il fatto che è possibile affermare che su Internet sta nascendo una nuova sfera pubblica di dimensioni globali e che al suo interno i siti Web di argomento storico costituiscono forme nuove di "uso pubblico della storia". Ciò accade in un contesto che, mutatis mutandis, presenta qualche analogia per quanto attiene al rapporto con il passato, la storia, la memoria, con quegli anni Venti e Trenta del Novecento indicati da De Luna come momento di nascita dell'"uso pubblico della storia".

    Il capitolo finale del libro si concentra sulle forme della comunicazione avente per oggetto la storia e il suo rapporto con la scrittura. Tale rapporto, stabilitosi in forma definitiva a partire dal XVI secolo e costitutivo della storiografia moderna, ha assunto come suoi nuclei centrali la razionalità e la mediazione tra realtà e discorso su di essa volto a renderla conoscibile e raccontabile. L'Ottocento ha poi fornito, con il romanzo, il genere letterario di riferimento della comunicazione storica. Quali contaminazioni sono state generate nel Novecento dall'incrocio tra storia e altri generi narrativi (cinema, fotografia, radio, televisione) oltre che dalle trasformazioni che hanno attraversato il romanzo nel corso del secolo? Gli storici ricreano il passato attraverso descrizioni, narrazioni, spiegazioni: descrivendolo essi lo evocano, narrandolo ne dipanano le fila e lo spiegano attraverso una concatenazione di cause ed effetti strutturata lungo l'asse della cronologia. In realtà, afferma l'autore, la spiegazione attinge maggiore efficacia dall'analisi dello sviluppo sincronico e dall'attenzione alle connessioni tra eventi e processi simultanei più che dal concentrarsi sul movimento diacronico della storia. Diventa così possibile individuare e valorizzare "le diverse specificità assunte dal racconto storico a seconda degli strumenti a cui è affidato" (pg. 251). Tra queste assumono particolare importanza quelle relative alla televisione e al cinema: rottura con il modello letterario, consapevolezza degli elementi di drammaturgia propri di entrambi, specificità delle rispettive configurazioni spazio-temporali, segmentazione del continuum narrativo, centralità del montaggio. A quest'ultimo aspetto De Luna assegna, nelle pagine conclusive del libro, particolare valore, definendolo un "principio conoscitivo nuovo" (pg. 272) introdotto dal cinema nel XX secolo. Attraverso il montaggio il racconto filmico della storia ha determinato la perdita di centralità del paradigma letterario e ha influenzato la stessa forma scritta del discorso storico dando vita a nuovi modelli di narrazione, di cui è possibile trovare esempi nei lavori di storici come Carlo Ginzburg e Natalie Zemon Davis. E al montaggio faceva esplicito riferimento Walter Benjamin nel suo Passagen-Werk: "...assumere il principio del montaggio nella storia. Erigere insomma le grandi costruzioni sulla base di minuscoli elementi costruttivi ritagliati con nettezza e precisione. Scoprire, anzi, nell'analisi del piccolo momento particolare, il cristallo dell'accadere totale. Rompere, dunque, con il volgare naturalismo storico. Cogliere la costruzione della storia in quanto tale. Nella struttura del commentario." (Walter Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino, 1997, pg. 116). Queste osservazioni aprirebbero infine un importante terreno di indagine, che qui De Luna non affronta, sul rapporto tra storia e ipertesto come nuovo genere testuale reso possibile dall'informatica e caratteristico del Web.