Nel complesso la
percezione del nesso storia- memoria appare debole. Non è per tutti così, anzi ci sono
alcune interviste, o parti di loro, assai stimolanti per lacutezza di talune
osservazioni, ma tale debolezza emerge con insistenza, e questo è il punto su cui è
importante riflettere. Deboli, quasi inconsistenti, sono i legami che gli insegnanti
rintracciano tra la storia dellItalia del secondo dopoguerra e la propria biografia,
con una marcata differenza tra le diverse generazioni, tra la fascia dei trenta
quarantenni e quella dei più vecchi, che hanno vissuto la stagione dei movimenti del
68 e degli primi anni Settanta, per i quali il legame appare in qualche misura
stabilito.
Gli eventi e i processi indicati come
rilevanti per il riflesso sulla propria storia sembrano appartenere per lo più alla sfera
politica, mentre rimangono nellombra, spesso nelle tenebre, quelli della sfera
sociale e socioeconomica.
Significativo il quadro dei silenzi, di
quelli che chiamerei provvisoriamente i vuoti di memoria, che esemplifico brevemente.
Generalizzato il richiamo al '68, ma non vi
è neppure un accenno allautunno caldo, alla conflittualità operaia o al movimento
dei consigli, né una citazione per le stragi, da piazza Fontana, a Brescia, a Bologna;
altrettanto generalizzato il richiamo al femminismo e in genere al movimento delle donne,
eppure non sembra esserci la percezione del legame tra questi movimenti e le conquiste sul
piano dellallargamento dei diritti civili. Al silenzio profondo sullo Statuto dei
lavoratori, corrisponde quello sullistituzione del Servizio sanitario nazionale,
sulla vittoria del no al referendum per labrogazione del divorzio,
sullintroduzione della legge sullaborto.
Diffuso il riferimento al movimento degli
studenti del '77 (anche per motivi anagrafici), al terrorismo di sinistra, agli anni di
piombo, soprattutto al rapimento e omicidio Moro; sugli anni Ottanta alcuni mettono
laccento sul craxismo, sul riflusso, ma ancora regna il silenzio sulloffensiva
mafiosa, sui nuovi livelli dellintreccio mafia e politica (un silenzio che dura per
gli anni Novanta: nessuno ricorda le stragi di Capaci e via DAmelio). In grande
rilievo, per tutti, l89 e il crollo del muro di Berlino, crollo dellUrss, fine
dei blocchi; per molti degli intervistati fine delle ideologie, fine dellutopia, un
crollo salutato positivamente da tutti, ma sentito anche come inizio della più grande
incertezza.
Si avverte la crisi del sistema politico
italiano, tuttavia è scarsissima la percezione dei particolarismi localistici, e in
pratica non troviamo nelle interviste riferimenti ai fenomeni legati
allimmigrazione, né, in genere, ai riflessi, anche simbolici e emotivi, di eventi
internazionali che pure ci hanno coinvolto direttamente o su cui il dibattito è stato
molto intenso ( dal Cile, alla guerra del Golfo, alla guerra nella ex Jugoslavia).
Una tavola delle evidenze nella memoria che
appare a pelle di leopardo, però di un leopardo di una specie particolare, che ha perso
molte macchie.
E la grande trasformazione dellItalia
rurale, i processi di modernizzazione, i travagliati passaggi verso la modernità, i costi
altissimi, anche in termini di libertà, di diritti, di condizioni di vita e di lavoro,
pagati nel lungo dopoguerra, la dura offensiva della guerra fredda e
dellanticomunismo, la grande immigrazione dal Sud al Nord, gli squilibri del paese
antico-moderno, non rientrano con qualche eccezione, per altro di estremo interesse
negli orizzonti della memoria personale, e non è solo questione anagrafica,
derivante dalla giovane età degli intervistati.
E piuttosto indizio di una memoria
personale che non si è interrogata a sufficienza con agli altri piani di cui pure è
composta, a partire dalla dimensione della memoria familiare, e che sembra non
rintracciare i fili e gli intrecci con una memoria collettiva, che non rileva o rileva
troppo debolmente la propria caratterizzazione rispetto a un vago contenitore di memoria
sociale.
Vi indico una spia, a mio avviso, di quanto
ho ritenuto di cogliere nella percezione del rapporto storia- memoria dei docenti: il
notevole tasso di ritualità nei riferimenti, ritenuti dobbligo, al 1968, o 1989, e
quindi citati anche indipendentemente dalla effettiva risonanza sulla
biografia personale, un riflesso dunque della memoria pubblica e delluso pubblico
della memoria, di cui tuttavia non sembra esserci adeguata consapevolezza critica.
Colpisce la non percezione delluso
pubblico e politico della storia (sfiorato solo in unintervista). Tutti i discorsi
sul revisionismo, ecc.ecc. sono rimasti confinati nelle sfere opposte e incomunicabili
degli storici mediatico-giornalistici da un lato, e, dallaltro, dei rigorosi fautori
della ricerca scientifica coniugata con limpegno civile? Giustamente Claudio Pavone,
in unintervista apparsa su "La Repubblica" del 15 ottobre scorso, auspica
di espungere dal vocabolario storiografico lespressione revisionismo, in
quanto è ormai una posizione politica, che ha ben poco in comune con la ricerca
storiografica.
A questo punto mi sembra di poter ricavare alcune
indicazioni di lavoro: dobbiamo trovare il modo di riaffrontare le tematiche delluso
pubblico e delluso politico della storia e della memoria in modo non predicatorio,
non ideologico, anche affinando il lavoro sulle fonti come è avvenuto al corso nazionale
del Ministero della pubblica istruzione e dellInsmli che si è svolto a Cuneo nel
marzo del 1999 e che si è avvalso del vasto retroterra delle esperienze che gli Istituti
hanno condotto in questo campo.


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