Il deficit di memoria storica 

Ma non mi interessa, non ci interessa, rilevare i pieni e i vuoti in sé, stabilire la mappa delle presenze e delle assenze nella memoria dei docenti intervistati, annotare gli eventi e i fenomeni che meritano una citazione e quelli che non emergono, come se si dovesse saggiare il grado di conoscenza che questi docenti hanno della storia del secondo dopoguerra. I problemi sono altri.

Il deficit di memoria storica investe anche gli insegnanti di storia. Nelle interviste ci sono osservazioni talora interessanti sul deficit di memoria dei giovani e degli adulti, tuttavia non c’è consapevolezza autocritica o, se c’è, è scarsa, come se i docenti in quanto tali non fossero sfiorati dal fenomeno. A me pare invece che processi di rimozione, silenzi che generano oblio, riguardino parecchi tra i meno giovani ( un esempio schematico, che non riguarda necessariamente gli insegnanti, ma che si può facilmente riscontrare nella vita quotidiana: si può comunicare di aver partecipato al movimento degli studenti del '68, ma non di essere stati militanti del pci o di venire da una famiglia povera e contadina, titolo di merito solo se si hanno soldi e potere) e che le mutazioni dei meccanismi della memoria derivanti dalle mutazioni della struttura dell’esperienza riguardino almeno in parte anche i docenti più giovani. Ma pesa anche il silenzio dei padri (riferito esplicitamente da un intervistato): chi ha fatto la Resistenza o è stato militante comunista e ha vissuto gli anni della guerra fredda, non sempre ha trasmesso memoria ai figli. Il clima della guerra fredda è cominciato molto presto ed è finito molto tardi; e la demonizzazione della nascita della Repubblica e della prima Repubblica, dei partiti e così via ha fatto il resto: cesura e cesure della memoria che si spostano nel tempo e nelle generazioni e con cui bisogna fare i conti.

Ha osservato Laurana Lajolo, sempre in sede di interpretazione delle interviste e riferendosi alle definizioni di storia in esse contenute, che si rileva la scarsa percezione della complessità e della problematicità della storia contemporanea, con il pericolo latente ma preoccupante di esposizione all’offensiva dell’uso pubblico della storia, specie a livello dei mass media, in materia di riduzione del processo storico all’evento e al personaggio. Eppure la costruzione della memoria ha bisogno dell’aggancio all’evento, anche per la sua carica simbolica, e se gli eventi non sono contestualizzati e problematizzati in una visione che comprenda la complessità dei processi, ne risulta frammentata e compromessa proprio la costruzione della memoria, in particolare del nesso memoria-identità personale. Anche gli insegnanti quindi non sono immuni dal pericolo di un’ulteriore esposizione alle terribili passioni della politica dell’identità, per usare l’espressione di Hobsbawm.