La città della memoria nei racconti del gruppo

 
Il "giro delle memorie": Fasano

di Gennaro Boggia

Fasano è una città che ha subito e sta subendo profonde trasformazioni "ambientali" e "territoriali". È immersa nel verde (che ancora impera) di una valle coltivata ad uliveti. Equidistante dal mare e dalle colline, le sue più intrinseche caratteristiche vanno, nel tempo, modificandosi assomigliando, nel suo "piccolo" (più o meno 40.000 abitanti), ad una provincialotta cittadina con ambizioni metropolitane (non ben definite).

Da un popolo "contadino" perfettamente ruralizzato e dinamicamente proiettato nell’economia agricola, ad uno "urbano" con ambizioni capitalistico-aziendale. Le due "zone industriali" (nord e sud) sono il tangibile esempio di de-ruralizzazione ad edilizia commerciale (selvaggia). I paesaggi risultano "tremendamente modificati" e, in alcuni compromessi (vedi la costa). Siti archeologici, documenti millenari (villaggi rupestri risalenti al IX - X secolo d.C.) risultano essere seriamente compromessi e alcuni, antichissimi (vedi Egnazia e zone attigue) invasi da improbabili "campi da golf"! Sembra proprio essere vero che "là dove c’era l’erba ora c’è una città"!

La vita dei fasanesi, la mia vita, è cambiata. La ricordo spesso lenta, sorniona, contadina e saggia. Gli anziani, vestiti di consunti abiti da lavoro agricoli e saggezza, dismessi solo alla domenica pomeriggio, sono oggi la memoria/riserva di un tempo, di una vita che, nonostante tutto, nonostante la grande trasformazione e la modernizzazione dei sistemi di coltivazione e produzione, continuano ad imprecare Dio, e a confidare nelle proprie mani e nella forza della loro schiena. Io li ricordo, seduti, nell’afa estiva in canottiera di flanella, coppola e sigaro, seduti sull’uscio di abitazioni coloniche e da lavoro (trulli e casine) a pensare ai figli scappati al nord, alla ricerca del posto fisso o dietro a "studi" utili a che? Amavo le giornate passate in campagna… profumi, odori e sapori, oggi in serio pericolo.

Unica consolazione il rapporto Fasano - Bari. Bari una città "enorme" e fortunatamente lontana, anche a livello psicologico ma, con un fascino particolare: Tutto era maledettamente grande e alto. Il centro storico della mia città è percorso da un traffico impossibile. Nel giro di trenta anni le stradine sterrate e solitarie, sono diventate vie commerciali ad alta densità viaria. Dai tanti negozietti e botteghe artigianali all’ultimo arrivato Ipermercato, del tutto, dell’utile e dell’effimero. Dai contrabbandieri (d’onore) vergognosi e timidi (durante le processioni religiose) alla stravaganza e violenta ostensione del potere personale e mafioso.

Non sapevamo cosa fossero gli albanesi o l’Albania, se non da geografiche informazioni. Oggi sono una importante componente d'integrazione etnico-socio-culturale. Niente a che vedere con i familiarissimi "vu cumbrà" marocchini! Molti figli del boom economico sono tornati dai loro eldorado e hanno aperto aziende, molte ben avviate. Altri riscomparsi alla ricerca di nuove californie.

 

Le grandi trasformazioni nella città di Pozzuoli

di Maria Teresa Moccia Di Fraia

Il contesto di riferimento è quello di una città (circa 100.000 abitanti) contigua al capoluogo che risente sensibilmente dei riflessi dei processi di trasformazione di quest’ultima, in uno scenario che si muove tra specificità geo-naturalistiche (bradisisma e vulcanesimo), industrializzazione, modernizzazione.

Anni Sessanta

Contesto marinaro: borgo dei pescatori, vita tradizioni (linguaggio abbigliamento) e cultura del mare.

Contesto contadino: la campagna circostante e la marginalizzazione del mondo rurale

(vita, tradizioni, tradizioni taumaturgico-rituali, carretti in città).

Contesto urbano: la città si espande.

Urbanistica

Sacco edilizio (cementificazione selvaggia, mancanza di un piano regolatore, disordine viario)

Il traffico segnato dalla presenza delle automobili; la connotazione sociale rappresentata dai modelli FIAT, come la 500 e la 600.

Industrializzazione: crescita dell’edilizia industriale, come barriera architettonica sul mare; il modello esemplare dell’Olivetti.

Economia

Industrializzazione (SOFER, Pirelli, Olivetti - fabbrica modello -, il polo siderurgico dell’ITALSIDER; il rapporto Ivrea- Pozzuoli; i quartieri operai, la cultura operaia).

Scarsa presenza del terziario in paese, mentre nascono i Grandi Magazzini a Napoli

Nascita del turismo di massa (villeggiatura e viaggio).

Strade e autostrade

Tempo libero e società

Circoli; Dopolavoro ITALSIDER; Cinema; Piazza come agorà, il dibattito politico per le strade;

Il Comizio: un modo di aggregazione e partecipazione; La Vespa

Strutture pubbliche

Nascono nel 1964 in occasione del bimillenario del passaggio di Paolo di Tarso nei Campi Flegrei

L'Ospedale S. Paolo, Rione S. Paolo, Stadio S. Paolo.

Anni Settanta

Evacuazione forzata del Rione Terra: l’occasione bradisismica comporta un’operazione di risanamento determinando una sorta di "deportazione", con conseguente scomparsa del borgo marinaro, della cultura ad esso connesso e della cultura contadina, nonché della perdita d’identità sociale e culturale da parte della popolazione.

Urbanistica

Sacco edilizio: distruzione di parchi naturali ed archeologici, abusi edilizi.

Aumento del traffico.

Tempo libero e società

Palestre; Discoteche; Strade, scuole e Università come scenario della contestazione;

Il raduno di Licola del 1975 come la Woodstock italiana; La motocicletta e il motorino indicatori sociali; Scioperi; Austerity; La rivoluzione nella moda; La città ed il terrorismo (covi NAP e fermi di polizia).

Strutture pubbliche

Lo scempio dell’edilizia popolare.

 

Le grandi trasformazioni della città di Savona

di Riccardo Sirello

I ricordi dell’infanzia

Una città industriale ed una società non industrializzata: un mondo dalla mentalità contadina; un ponente in un costante rapporto di emigrazione con la Francia.

I ricordi della città di Savona

la dialettica: campagna limitrofa - il mare - l’industria; il mondo dei contadini; il mondo dei pescatori; il mondo dell’industria.

Gli anni Sessanta

la trasformazione sociale- edilizia- economica della città: il boom edilizio ed economico; cambiano i costumi le strutture ed i consumi; la centralità della fabbrica Italsider e del Porto (l’espansione); I mezzi di comunicazione (la strada e le sue modificazioni strutturali – la prima autostrada Torino - Savona); I primi spostamenti degli operai torinesi in vacanza (turismo di massa); I primi spostamenti degli operai torinesi immigrati dal Sud in vacanza; Albisola Superiore ed il cambiamento edilizio ( la morte dell’ultima mucca);

Gli anni Settanta

Il 1973 come svolta: il problema energetico. Savona ed il riflesso di una Genova in cambiamento; Savona e la scomparsa dei residui del mondo contadino (la morte dell’ultimo cavallo che passava per le vie cittadine); La grande città genovese e la trasformazione della sua abitabilità nel momento del terrorismo.

 

Dalla campagna alla città: Gorizia e Trieste

di Franco Cecotti

Ho vissuto gli anni dell'infanzia in un piccolo paese presso Gorizia, un paese di campagna, con strade non asfaltate (salvo la "strada grande", la provinciale), dove passavano carri trainati da buoi o da cavalli e le stagioni erano segnate non solo dalle variazioni atmosferiche, ma anche delle attività agricole: la vendemmia, la raccolta del grano, delle ciliegie, delle patate e le diverse semine.

La città era meta di occasionali visite in treno, con mia madre, per acquisti di vestiario e altro ai magazzini della Standa, per le cure dal dentista o per la visione di qualche film. Ma Gorizia non aveva l'aspetto di città, offriva qualche servizio, del resto stessi mezzi di trasporto (biciclette e rade automobili), qualche carro agricolo che si vedevano in paese. La città che rispondeva a questo nome era Trieste, che avevo visitato un paio di volte con mia madre, nelle cui vie ci eravamo ripetutamente persi, dove i negozi apparivano dominanti e il traffico "esageratamente" intenso e pericoloso; dove restavo stupito dai tram e dagli autobus e dove avevo mangiato la prima banana.

Quindi la città era un luogo separato dal mondo in cui abitavo, che poteva essere utile in certe occasioni, ma che mi incuteva qualche timore e molte curiosità. Sono state le necessità di studio a farmi conoscere la città: gli studi medi a Gorizia e universitari a Trieste, che poi è diventata la mia città. La città che ho conosciuto con qualche consapevolezza è stata principalmente la città di servizi tra il 1965 e il 1975. Era il luogo di studio, con le sue librerie, con i ritrovi tra studenti, i bar e le trattorie, gli innumerevoli cinema, ma anche il luogo con opportunità di lavoro, e insieme il luogo di proteste sociali.

Ricordo con una certa precisione le modificazioni intervenute nel corso degli anni Sessanta, le strade di paese tutte asfaltate, la scomparsa di tutti i pozzi dalle piazze del paese e i trattori che sostituivano gradualmente, ma totalmente gli animali da traino, e la crescita delle abitazioni con la scomparsa di zone prative tra il paese e la città di Gorizia, con l'interramento dei fossati che accompagnavano le strade di paese. Negli anni Settanta ho sperimentato la vita di città, a Trieste; la vita in un appartamento al quarto piano (senza ascensore), dopo essere cresciuto in una casa ad un piano e cortile. I cambiamenti degli anni Settanta sono legati, nei miei ricordi, alla crescente difficoltà di posteggi per l'automobile, alla diffusione di sensi unici e di semafori, ai problemi ecologici (inquinamento), in sostanza all'integrazione in un ambiente tutto sommato nuovo. E alla scoperta dei boschi, dei monti, dei campi come rifugio turistico, come luogo di rilassamento per l'abitante della città.

 

La grande trasformazione: Latina

di Sparta Tosti

Anni Cinquanta

Latina negli anni ’50 è una piccola città al centro di un comprensorio agricolo, circondata da campi coltivati su cui spiccano i poderi dell’ONC e i borghi agricoli che portano i nomi delle località della prima guerra mondiale : Podgora, Carso, Grappa, Bainsizza, Faiti, Piave. È una città con una pianta ben definita, che riproduce il progetto "a raggiera" di Oriolo Frezzotti, ha circa 30.000 abitanti e, nel complesso, è facilmente "dominabile" anche da una bimba che frequenta le prime classi della scuola elementare.

Gli edifici più o meno importanti recano i segni del Fascismo (molte sono le scritte "fasciste" sui muri) e della guerra. Molti edifici pubblici sono particolarmente disastrati e non ancora ricostruiti; ricordo il palazzo M, la GIL, la caserma militare "82", la casa del contadino… In alcuni di essi si notano panni stesi e un brulicare di vita e di bambini: in essi, in modo molto precario sono ospitati "provvisoriamente" i profughi istriani.

Latina è una città d’immigrati e negli anni ’50 il dialetto veneto prevaleva sulle altre lingue (ferrarese, romagnolo, marchigiano), dialetti dei paesi preesistenti alla bonifica , quelli cioè dei monti Lepini. A scuola era frequente che la maestra correggesse le "doppie" ecc. La percezione della città nei ricordi di me bambina fa emergere pochi punti "di raccolta": la piazza, grande, bella con i giardini ed una fontana circolare delimitata da un muretto in marmo sul quale sedevamo nelle afose serate d’estate mentre all’imbocco di via Emanuele Filiberto un baracchino che vendeva fette di cocomero e granatine faceva affari d’oro (o almeno così sembrava). La chiesa con la piazza antistante e l’oratorio salesiano erano i luoghi d’incontro dei bambini e dei giovani. Nell’oratorio c’era anche un cinema molto economico ma il biglietto era venduto solo a chi frequentava le funzioni religiose o il catechismo. Annesso al grande complesso c’era l’asilo comunale, l’unico, retto dalle suore di san Vincenzo, alcune delle quali davvero mitiche che hanno "tirato su" varie generazioni di piccoli utenti.

C’era anche un cinema-teatro ma io ricordo solo le "feste della befana che si tenevano all’interno, e qualche spettacolo sul "Signor Bonaventura" da parte di compagnie amatoriali. Ogni martedì si teneva e si tiene, un grande mercato con un grande spazio per gli indumenti usati che era conosciuto come "il mercato americano". Le strade, larghe, non erano tutte asfaltate: circolavano poche automobili: ricordo le "giardinette", mentre circolavano alcune Lambrette (mio padre ne aveva comprata una nel ’53) e varie vespe, ma il mezzo di locomozione più diffuso era la bicicletta. Un servizio di pullman urbano non esisteva mentre c’era un collegamento regolare per Roma (agenzie Zeppieri ed ATAL), per la stazione, e, d’estate, per il mare (lido di Foce Verde).

Non ricordo fabbriche se non il tabacchificio che non era lontano dallo stabile in cui abitavo e da dove potevo vedere la "processione" delle tabacchine quando si recavano al lavoro con i caratteristici camici color tabacco. Le botteghe erano piccole e gestite a livello familiare: quelle di generi alimentari erano aperte anche la domenica. Un evento è stato l’arrivo della televisione prima in alcuni bar dove in certe sere particolari si affollavano spettatori del circondario, quelli che non avevano un vicino di casa che l’avesse….

La vendita del latte era fatta dal lattaio, che proveniva dalla campagna all’alba, e riempiva i recipienti che si predisponevano sul pianerottolo; anche l’olio era venduto a domicilio, così come il prelievo della spazzatura.

Le case erano ancora quelle dell’epoca fascista, ho saputo poi che i progettisti erano famosi architetti "del razionalismo". C’erano stabili dell’IACP, dell’INA, dell’INCIS: non erano grandi ma tutti avevano grandissimi cortili dove specie d’estate, si giocava fino a tardi. Si giocava anche per strada a tennis (o qualcosa che vi assomigliava) visto che il circolo del tennis era frequentato da pochi "fortunati". Si udiva di frequente il grido del "robivecchi" che proponeva scambi a suo dire vantaggiosissimi. Dal punto di vista sociale la città non era omogenea: era formata da piccoli artigiani, commercianti, impiegati nel terziario; il circondario dai "coloni" riconoscibili dal vestiario e dai volti abbronzati. I ragazzi si organizzavano in bande: talvolta si verificavano delle sassaiole tra quelli delle case popolari, di piazza Roma o della "Piazza". Alla fine degli anni ’50 quelli del Villaggio Trieste (insieme di villette costruite per i profughi istriani ed abbattute alla metà degli anni ’80).

Altri elementi caratterizzanti il periodo sono le scuole: Una scuola elementare;Una scuola media;Un liceo classico;Un istituto tecnico per geometri e commerciale (nello stesso edificio);Un istituto magistrale;

Il ritrovo dei giovani durante il tempo libero era il giro di Peppe: il passeggio intorno ad un isolato in prossimità di Piazza del Popolo e lungo un lato della Piazza della Prefettura.

Anni Sessanta

Le trasformazioni più evidenti riguardano il centro storico e la periferia nonché trasformazioni linguistiche e comportamentali. Appaiono nel centro i primi palazzoni, un grattacielo; scompare la caratteristica "casa del contadino", che lascia spazio ad una costruzione di 22 piani (?!). Sorge La Standa.

Nel circondario sorgono le prime grandi industrie (alcune sono multinazionali) non collegate al territorio che dalla bonifica aveva un vocazione agricola. Fulgor cavi, Fonderie Genovesi, Rossi Sud, Mistral,...

Si rilevano i conseguenti fenomeni: Facilità di reperimento di posti di lavoro; Immigrazioni dal sud; Incremento demografico; Ampliamento disordinato della periferia; Aumento del traffico cittadino. nonostante le strade larghe, si rendono necessari i sensi unici; Si costruiscono altre chiese; Il primo liceo scientifico.

I punti di aggregazione dei ragazzi e dei giovani sono più o meno gli stessi. Regge il giro di Peppe. Si costruiscono altri cinema. Nasce il Centro per i servizi culturali, con un progetto di attività per studenti e lavoratori. Si fanno meno evidenti le differenze tra gli abitanti dei borghi che appaiono più "emancipati" e gli abitanti del centro cittadino. Alla fine degli anni ’60 in concomitanza con il processo di industrializzazione nasce l’istituto tecnico industriale.

È vivo un ricordo di una famiglia immigrata dal sud nello stabile in cui abitavo: un caseggiato dell’IACP abitato da famiglie di impiegati (comune, INAM, poste) vigili del fuoco, commercianti, piccoli artigiani (fornai, calzolai, falegnami), carabinieri, due muratori divenuti piccoli imprenditori edili. Uno di questi si trasferisce in una villetta che ha costruito e lascia l’appartamento ad una sorella che giunge dalla Calabria con la famiglia; lì l'appartamento era dotato di un terrazzo molto grande nel quale la signora fa "costruire" la gabbia per un pollaio, che ha sorpreso tutti gli inquilini, che però hanno mostrato poi una certa tolleranza verso la stravaganza.

Un altro ricordo indice di persistenze nel mutamento è legato al fatto che molti degli operai delle nuove industrie erano i coloni che tornavano a coltivare la terra nel tempo libero.

Anni Settanta

Si registrano mutazioni profonde nel tessuto urbano e sociale: la città cresce a dismisura, la società si meridionalizza, ci sono le nuove migrazioni dalla Tunisia e dalla Libia. Nascono Aziende agricole razionalizzate, mentre si frammentano i poderi dell’ONC. La lingua si fa sempre più vicina al romanesco ed assume un tono "cantilenante". Proliferano le scuole medie, si comincia a parlare di una sede universitaria a Latina. Nascono grandi discoteche.

 

……Ancora su Latina

di Adele Trani

Come Sparta ma…

Tornando a Latina nel 1979, dopo 8 anni di emigrazione a Brescia, trovo la città così trasformata: Nascita di nuovi quartieri; Aumento della popolazione;Cambiamento d’uso degli spazi progettati : dall’ex GIL, ad una lussuosa "CASA DELLA CULTURA", in due teatri comunali.

Trasferimenti dei luoghi di aggregazione dei giovani; Costruzione di molte scuole nuove; Aumento del settore terziario: più negozi e supermercati; Diffuso allarme ambientalistico causa della centrale nucleare;Più libertà sessuale;Arricchimenti facili: i maggiori contribuenti della città erano conosciuti negli anni ’50 come venditori ambulanti.