Le cesure di memoria

 

.Qualcuno degli intervistati è andato oltre alle scansioni consuete, interrogandosi piuttosto sui "vuoti" di memoria e ha indicato tre traumi della storia recente, connotati da forti componenti ideologiche : la guerra fredda, il terrorismo e il crollo del comunismo.

Un docente, facendo un esercizio di memoria, ha indicato il periodo della guerra fredda, risalendo alla sua esperienza familiare. La violenta contrapposizione politica, culturale e sociale degli anni ’50, che ha avuto profonde influenze nella società italiana anche in seguito, ha impedito, ad esempio, per molto tempo di parlare a scuola di fascismo e di resistenza, mentre le famiglie hanno taciuto ai figli le lacerazioni, i drammi, le aberrazioni del secondo conflitto mondiale, della deportazione, dell’internamento, della guerra civile. "La guerra fredda ha fatto sì che generazioni di insegnanti non abbiano mai trattato i temi del fascismo e del comunismo e quindi è stato impossibile per i giovani formarsi una memoria storica attraverso la conoscenza storica, perché i loro insegnanti e le loro famiglie non ne parlavano. Gli insegnanti non lo facevano per non apparire dei comizianti oppure per non timore di essere etichettati, per cui avveniva la fuga dalla storia contemporanea." Sono quelli gli anni del post-fascismo, dell’epurazione interrotta, delle ferite della guerra e del difficile ritorno dei deportati e degli internati, di un’Italia agricola e povera che avvia un processo imponente di industrializzazione, della predominanza della cultura cattolica conservatrice, dell’ingerenza degli Stati Uniti nella politica italiana all’interno della divisione del mondo in blocchi, del ruolo del partito comunista più grande d’Europa. In quegli anni l’Italia diventò un laboratorio storico di grandissimo interesse per la sua collocazione strategica, per le sue condizioni economiche e sociali, per la vitalità del sistema dei partiti in connessione con la costruzione della democrazia e così via. Eppure la ricerca storica su quel periodo deve ancora iniziare.

Molti intervistati fanno riferimento alla cesura del terrorismo, che è entrato a far parte anche del loro tracciato personale.
- "Io ho incrociato la generazione che è entrata nel terrorismo. L’impegno di allora si è tradotto in scelte drammatiche. Io ho un ricordo degli anni universitari angoscioso."
- "Gli anni del terrorismo sono anni, per quello che mi riguarda, che hanno imposto di reinterrogarsi, di rianalizzare (...) e nel frattempo di prendere atto di una ristrutturazione fortissima di tutto e anche di te, che avveniva comunque. Anche il ’77 per me è stato abbastanza sconvolgente (...). La reazione era davvero incredibile : attrazione e rifiuto fortissimo e non solo per la mia storia, ma anche per quello, credo, che nel frattempo andavo a fare in classe."
Un’esperienza intensa, coinvolgente e stravolgente vite individuali e un’intera generazione, che si conclude con la constatazione del fallimento.
"Il terrorismo è stato una questione lacerante. (...) A questo si connetteva la sensazione di un fallimento politico-culturale, cioè paradigmi interpretativi della realtà, che, lungi da servire a ricostruire in maniera positiva i rapporti sociali(...), si erano tradotti in scelte sciagurate e devastanti. Dal senso di un forte fallimento di tipo culturale e morale si è avuto il ritorno al privato."
La dissoluzione violenta di programmi politici assolutizzanti ed astratti ha trascinato con sé il rifiuto della politica.

Un intervistato individua nel craxismo un altro snodo dell’abbandono collettivo dell’impegno politico e, più in generale, della trasformazione interna della società, del cambiamento dei comportamenti collettivi e individuali, della modificazione della scala dei valori. Il docente collega, con molta acutezza storica, tale mutamento della società con la perdita di centralità educativa e culturale della scuola perché i valori indicati del successo personale e sociale risultavano estranei alla formazione scolastica tradizionale. "Evento spartiacque : il craxismo porta a un’accelerazione della società e anche delle funzioni e delle finalità della scuola. (...) Sono stati anni di frantumazione, anni di non-riforma (decreti e aggiustamenti interni), per cui gli studenti non hanno più colto l’utilità della scuola per la loro vita."

L’evento cruciale della storia del ventesimo secolo, sottolineato da tutti gli intervistati, è l’89, il crollo del comunismo e, per qualcuno, la fine del secolo. Se si approfondisce il valore simbolico di quell’avvenimento, come hanno fatto due intervistati, se ne possono trarre riflessioni che interessano direttamente l’attività di insegnamento. Mettiamo a confronto le due valutazioni, che rappresentano due punti di vista diversi. La prima affermazione è questa :"Dopo la caduta del muro non puoi trattare più trattare i fatti come li avresti trattati qualche anno prima. (...) Non puoi mettere in campo la riflessione su due sistemi alternativi. Tu devi dare per scontato che esiste un unico sistema per i ragazzi, per cui un eventuale percorso di consapevolezza critica deve tener presente che quello è l’unico modello che esiste e che, in certo senso, può esistere." La crisi delle ideologie (ma, oggi, non è tutto più sottilmente ideologizzato di prima ?) porta , dunque, a un’uniformazione del sistema-mondo, senza più concezione del mondo contrapposte e conflittuali.

Come può l’insegnante, nell’attuale processo di globalizzazione economica e di omologazione socio-culturale, finalizzare il suo lavoro alla costruzione di una coscienza critica negli allievi ? Quale viene ad essere la sua responsabilità educativa e, più in generale, democratica ? Sono domande importanti, che lascerei alla riflessione collettiva e su cui non voglio né posso misurarmi da sola, ma ritengo che siano assolutamente significative per pensare alla funzione dei docenti in una società democratica.

La seconda affermazione, sottolinea, invece, la positività della liberazione culturale provocata dalla caduta dei regimi dell’Europa dell’est : "Il crollo del comunismo è un vento, secondo me, che ha cambiato tutto. E’ anche liberazione in senso positivo. Ha creato un prima e un poi rispetto a tutte le ambiguità. Finché esisteva un sistema politico che mandava astronauti nello spazio, costruiva bombe atomiche, insomma, in termini più o meno teologici, riusciva ancora a difendere l’indifendibile. Nel momento in cui si è afflosciata questa esperienza in maniera miseranda, triste, definitiva, vi è stata una liberazione sul terreno della ricerca storica." Ma lo stesso intervistato tiene anche a sottolineare che, mentre l’insegnamento non è più ideologicamente condizionato, mancano ancora degli studi seri sulla storia del comunismo italiano ed internazionale. E la mancanza di riflessione storica comporta che ci si attesti a giudizi liquidatori ed approssimativi, senza riuscire a delineare un giudizio storico sulle complesse articolazioni dell’ideologia e sui fatti che ne sono conseguiti.

Queste due opinioni sono molto interessanti e meriterebbero una discussione specifica, che investa il rapporto tra la politica e la storia.