.Una
prima considerazione è che, parlando della relazione tra docenti e studenti, sono le insegnanti
donne a strutturare i giudizi più partecipi e approfonditi, riuscendo a mettersi in
gioco più direttamente nel rapporto educativo interpersonale e intergenerazionale.
Il tema più citato nelle interviste è
quello della mutazione degli stili cognitivi degli studenti. "Lultima
generazione di studenti è profondamente diversa da quella di tre o quattro anni fa. (...)
Questi ultimi gruppi di sedicenni hanno una capacità di concentrazione decisamente
inferiore. (...) Una curiosità meno forte rispetto ai compagni di cinque anni fa."
Ma sempre la stessa docente esprime anche la convinzione : "La storia può
innescare nei ragazzi il meccanismo di conoscenza e di percezione di sé e del mondo
esterno che coinvolge direttamente la memoria." E unaltra intervistata
afferma : "Dal 75 a oggi gli studenti sono diversissimi. (...) Gli
studenti di adesso sono molto più fragili, più banali, più rassegnati, non contestano
più, sono tristi. (...) Hanno dei progetti piccoli piccoli. (...) Non sono critici in
alcun modo.(...) Hanno diffidenza verso gli adulti e verso la scuola."
Unulteriore annotazione sui
comportamenti la porta unaltra docente "Questultima generazione sta
diventando tuttuno con le macchine : hanno le cuffiette, stanno al computer,
guardano la televisione." E evidente come le forme del mutamento sociale
siano intrecciate con quelle della trasformazione della conoscenza e in particolare con la
strutturazione del tempo da parte dei giovani. Infatti sono entrate in crisi le
strumentazioni concettuali, come la fiducia nel progresso e la razionalità di una
conoscenza complessiva. Operano oggi strategie cognitive e nozioni nuove e inedite, che
danno conto dellimprevedibile, della frammentazione, dellincertezza. E si apre
la questione della responsabilità verso laltro, in assenza di certezze e di
riferimenti solidi e permanenti, per evitare il rischio potenziale di alimentare nuovi
fondamentalismi, falsamente rassicuranti (1). Questo
richiamo alla responsabilità etica nella società dellincertezza riguarda
ovviamente anche la scuola, in specifico nellambito della costruzione della memoria
come mappa e ancoraggio per gestire lincertezza.
Parlando , appunto dei giovani senza
memoria, due docenti contrastano questa visione.
- "Non mi convince questa idea che da un certo momento in poi nasce il
prototipo del giovane smemorato. (...) Se intendiamo deficit di conoscenza storica, quello
francamente dipende molto dallinsegnante e dalla qualità del suo lavoro."
- "La memoria ce lhanno comunque tutti. Non è storia, è memoria
individuale, ma non vedo perché dovrebbero avere una memoria storica. (...) Anchio
da studente non avevo memoria storica e non mi interessava neanche averla. E
naturale che i ragazzi abbiano deficit di memoria. Dovrebbero scuola e famiglia passare
memoria."
Ma passare memoria, forse, non può essere un fatto individuale di ricordare
soltanto qualcosa di proprio e personale, ma deve essere una memoria di generazione,
cioè con caratteri collettivi. E in questo caso oggi sembra che manchino luoghi sociali
di trasmissione di memoria.
Per qualcuno degli intervistati il decreto
di Berlinguer sullinsegnamento della storia contemporanea ha affidato alla scuola
il compito di dare informazioni sul passato recente e di colmare quel deficit di
memoria, che ha acquistato un carattere di emergenza dopo la scomparsa della società
tradizionale. Si chiama, così, apertamente in causa la responsabilità
dellinsegnante di storia, che deve sentire la necessità di studiare, di
approfondire, di avere strumenti per capire e di interpretare le novità dei giovani e,
nel contempo, di comunicare la sua esperienza culturale.
Una docente commenta ironicamente il giovanilismo
esasperato degli adulti, che non vogliono assumersi responsabilità di memoria. "Questa
società rende tutti giovanili, tutti vestiti allo stesso modo, tutti consumatori degli
stessi prodotti. Ladulto è immerso in una società, che lo stimola ad essere sempre
giovane e non sente il bisogno di essere depositario di memoria, di testimoniare il suo
passato. (...) La memoria per ladulto diventa ingombrante e anche un po
inutile."
Nelle interviste manca il riferimento agli
effetti della scolarizzazione di massa, soprattutto sulla scuola superiore non
riformata, ma da molte risposte emerge lesigenza di colmare lacune di base e il
problema di linguaggi diversi tra le generazioni. "In questi ultimi anni ho il
problema dellalfabetizzazione di base. (...) Gli studenti hanno linguaggi altri e mi
pongono il problema prima di conoscere questi linguaggi e poi di trovare una possibilità
di comunicazione e veicolare i linguaggi attraverso i linguaggi possibili della
storia."
Tali considerazioni avvalorano i risultati
della recente ricerca sugli insegnanti, coordinata da Alessandro Cavalli (2), che mette in evidenza come sia particolarmente elevata la
differenza di età tra docenti e studenti, fino a 30/40 anni, con la conseguenza di
orizzonti valoriali, linguaggi, riferimenti culturali molto diversificati. Esiste, quindi,
la consapevolezza diffusa che la trasmissione tradizionale, in tali condizioni, è
assolutamente insufficiente per i bisogni culturali e formativi degli studenti. Il
problema è ben presente agli intervistati, che, in maggioranza, danno una grande
importanza allapproccio metodologico più che contenutistico
dellinsegnamento e dellapprendimento.
Ma non basta ridefinire gli obiettivi
cognitivi, per molti diventa importante anche riflettere sugli obiettivi
relazionali allinterno di una società connotata dallambiguità e
dallincertezza. "Io direi che la cosa difficile è gestire
lincertezza, gestire il carico sempre maggiore di dubbi che tu accumuli mano a mano
che gli eventi del mondo dispiegano la loro complessità"
I ragazzi sono lo specchio della società e la scuola avverte, in presa
diretta, la crisi della famiglia, dellimpegno politico e, in genere, del declino dei
valori, che induce nei docenti, soprattutto quelli della scuola superiore, sconforto e
pessimismo.
Si impone dunque limpegno di imparare
a vivere nella società dellincertezza. Abbiamo già fatto cenno
allaccelerazione dei cambiamenti, alla complessità e insieme allomologazione
della società, che non puo non intervenire anche nellorganizzazione e nella
strutturazione della scuola e dei suoi contenuti. Del resto i ragazzi avrebbero bisogno di
certezze, che gli adulti non hanno, proprio per aver attraversato personalmente periodi di
crisi e cambiamenti radicali, come sottolinea un docente. "I ragazzi ti chiedono
che tu ti presenti come uno che ha la verità in tasca. (...) Solo che questo si scontra
con la tua coscienza, perché tu dici : io non ho in realtà questa chiarezza di
idee. (...) La difficoltà è questa : adesso faccio più fatica, date le mie
incertezze filosofiche, storiche, politiche, personali, ad avere quella sicurezza
argomentativa, che magari un tempo mi sorreggeva nel lavoro."
Le stesse aspettative dei ragazzi nei
confronti della scuola si spostano dalla formazione di stampo umanistico alla richiesta di
conoscenze tecnologiche e competenze spendibili. In tale contesto è chiaro come la storia
abbia perso la sua centralità conoscitiva e formativa e come sia oggi più
difficile insegnarla. Alcuni intervistati, comunque, non sono pessimisti e sottolineano
che i ragazzi mantengono la curiosità, su cui si può far leva per avviare
concreti processi di apprendimento.
"La storia è una grande curiosità. Ed è importantissimo che
linsegnante stimoli le motivazioni degli allievi. (...) Se come insegnante di storia
riesco alla fine dellanno lasciare nei ragazzi qualche curiosità e quindi una
motivazione a porsi domande, a trovare risposte, farei salti di gioia."Viene da
commentare come la curiosità dei ragazzi dipenda spesso dalla curiosità dei docenti,
dal loro atteggiamento di ricerca, dal loro coinvolgimento emozionale, dalla loro
capacità di mettersi in gioco di fronte ai cambiamenti. Accanto a questo viene posto
anche il problema della possibilità di stabilire relazioni con i ragazzi e di comunicare
un patrimonio di esperienze e, quindi, di memorie, così che la scuola sia compiutamente
un luogo di studio, ma anche di formazione.
Rispetto alle domande sulla differenza
di genere, le risposte, complessivamente, non la individuano come problema educativo
di cui tener conto nellimpostazione del lavoro, anche se, ma questo è un dato ormai
acquisito, viene messo in rilievo il maggior impegno di studio delle ragazze. I contenuti
di studio sembrano rimanere indifferenti rispetto al genere. Non a caso, però, le più
attente al problema risultano le docenti. "Le ragazze sono molto sensibili a tutti
i discorsi sui ruoli sessuali, sul costume e sulla mentalità, sui diritti. I ragazzi sono
più sensibili alle questioni ideologiche. Le ragazze sono più emergenti, ma non sono
rivendicative ed agguerrite come dieci anni fa. (...) E come se fossero tornate a
vestirsi di rosa."
E un insegnante uomo ha unimpressione analoga, ma la riporta sul terreno
della storia. "Trovo molta sensibilità tra le ragazze, quando parlo di differenza
di genere, che è percepita come un dato naturale e, invece, poi fai vedere quanto sia
"innaturale" nella storia dellumanità." La riflessione sul
rapporto tra docenti e studenti ha visto maggiormente coinvolte le insegnanti, che hanno
espresso anche forme di "complicità" con i ragazzi, riconoscendoli come
i destinatari e i fruitori del proprio sapere e, anche, del proprio modo di essere.
"Io considero i ragazzi come interlocutori. Non so, forse capita a tutti il
fatto di leggere una cosa e di pensare : "Questo come potrei raccontarlo ai
ragazzi ?", come unesperienza può diventare patrimonio comune. Cè
sempre questo interlocutore che mi interroga mentre studio."
Qualcuna ha riflettuto sulla propria
formazione professionale iniziale, riconoscendo lapporto degli allievi nei
processi di organizzazione del metodo di insegnamento.
- "Il mio essere nel mondo, comunque, non è avulso dal mio essere nella
scuola e quindi dal mio rapporto con i ragazzi. (...) Nel tempo sono cambiata insieme a
loro, sono cambiata io mentre il mondo cambiava, sono cambiata allinterno della
scuola. (...) Gli insegnanti imparano mentre insegnano. Credo che sia la grande ricchezza
che il nostro mestiere ci può dare."
- "Ho imparato sulla pelle dei ragazzi. Ingenuità, impreparazione,
improvvisazione.(...) E ho imparato moltissimo dai ragazzi. (...) Per me la scuola è
stato il luogo della cultura, della politica, della formazione."
NOTE
1. Carmen Leccardi (a cura di), Limiti della modernità,
Carocci, Roma, 1999 torna su
2. Alessandro Cavalli
(a cura di ) Gli insegnanti nella scuola che cambia.Seconda indagine IARD sulle
condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Il Mulino, Bologna, 2000 torna su |