La Grecia antica e l'Egitto dei Faraoni

 

Nell’antichità greca classica le donne non occupavano una buona posizione nella maggior parte delle città-stato. Nessuna donna moderna, occidentale o dell’Africa occidentale, proverebbe alcuna smania di scambiare la sua vita con quella delle donne della Grecia classica. Le uniche donne della Grecia antica il cui status era pari a quello dei maschi loro contemporanei erano le sacerdotesse delle divinità più venerate. Nell’Atene del V secolo avanti Cristo la condizione delle donne era forse peggiore che in qualsiasi altro luogo e secolo della Grecia antica. Tuttavia lo storico ateniese Tucidide, volendo datare lo scoppio della guerra del Peloponneso, e dovendolo fare citando persone che ricoprivano in quel tempo importanti cariche pubbliche, racconta che la guerra iniziò "quando Criside in Argo era nel quarantottesimo anno del suo sacerdozio ed Enesio era eforo in Sparta e all’Arcontato di Pitidoro in Atene restavano ancora quattro mesi"1. Sparta e Atene erano i principali belligeranti di quella guerra e rappresentavano le due principali potenze della Grecia. A quell’epoca Argo era retrocessa al rango di potenza di secondaria importanza; ma la Era di Argo era una divinità più potente sia della ateniese Atena guardiana dello Stato, sia della spartana Atena abitatrice della casa di bronzo [l’Olimpo], per cui Tucidice non soltanto nomina le sacerdotesse della dea Era di Argo, ma dà loro la precedenza rispetto ai due uomini politici che rappresentavano in quell’anno le città-stato di Sparta e di Atene. Criside era cittadina di una potenza di secondo piano, e per di più era una donna; ma, in virtù del fatto di essere la sacerdotessa della regina del Pantheon olimpico, il rango occupato da Criside era, per un maschio ateniese come Tucidide, pari a quello dei più importanti personaggi ufficiali della Grecia.

Al pari della Grecia antica, sebbene a un livello meno estremo, anche l’Egitto dei Faraoni era un mondo di uomini. A quell’epoca della storia egiziana l’agricoltura era già nelle mani degli uomini. Tuttavia, se fossi stato una donna e se mi fosse stata data la possibilità di scegliere di esserlo nell’antica Grecia o nell’antico Egitto, avrei scelto senza alcuna esitazione. E avrei scelto di essere egiziana, e non greca.

Sebbene sia stata ritrovata e decifrata una certa quantità di scritti risalenti all’Egitto dei Faraoni, la nostra conoscenza della vita quotidiana nell’Egitto dei Faraoni deriva principalmente dalle statue e dalle pitture murali e queste, per quanto se ne può ricavare, forniscono un’impressione favorevole della condizione delle donne in questo periodo — o quanto meno della condizione della minoranza delle donne che appartenevano all’"establishment". Sembra che persino il loro status legale sia stato decisamente migliore rispetto allo status delle greche che vivevano nella maggior parte delle città-stato della Grecia e, nella vita sociale, le egiziane erano evidentemente in una condizione più prossima all’uguaglianza con gli uomini di quanto non fossero in qualsiasi città-stato della Grecia classica con la sola importante eccezione di Sparta.

Nell’Egitto dei Faraoni uno dei motivi dominanti più diffusi nell’arte tridimensionale del periodo dell’Antico Regno è una coppia di statuette che rappresentano marito e moglie seduti fianco a fianco, ciascuno con le braccia strette attorno alla vita dell’altro. Si sono conservati molti esempi di questo tema, e, in tutti, lo scultore cerca di comunicare un’impressione di tranquillità combinata con affetto e stima reciproci. Questa coppia partecipa dello spirito del John Anderson, my jo, John di Robert Burns2. I mariti e le mogli dell’Egitto del Terzo millennio prima di Cristo erano senza dubbio partner su un piano di parità che condividevano la loro esperienza di vita. Le mogli sono rappresentate come esseri umani che godono di piena dignità. Non sono dotate di poteri magici, come le donne che incantarono le piante selvatiche rendendole produttive agli albori del Neolitico, né devono lavorare senza requie, come le donne dell’Atene del V secolo. Credo che una madre di famiglia americana del nostro tempo non rifiuterebbe di scambiare la propria condizione con quella di una di queste donne egiziane dell’Antico Regno, così come gli scultori di statuette le hanno immortalate per noi. Penso anche che una madre di famiglia americana confiderebbe nel fatto che, se il suo marito americano dovesse essere trasformato in un marito egiziano dell’epoca dell’Antico regno, resterebbe una persona intima nei suoi confronti, amorevole e rispettosa dei sentimenti altrui.

Se saltiamo il Medio Regno e arriviamo all’Epoca Tarda (tra sedici e venti secoli avanti Cristo), i dipinti murali egiziani del tempo ci dicono qualcosa sulla vita sociale delle donne di quell’epoca. Evidentemente a pranzo occupavano un posto di pari dignità rispetto agli uomini. A paragone delle loro antenate dell’Antico Regno, vissute un migliaio di anni prima, esse sono meno pacate e più accuratamente truccate. Portano i capelli acconciati in maniera elaborata e i tessuti utilizzati per i vestiti sono semi-trasparenti. Un’ateniese del V secolo avanti Cristo o una donna occidentale del XIX secolo dell’era volgare avrebbero disapprovato tutto ciò, e sarebbero probabilmente saltate alla conclusione che il comportamento sessuale di queste signore egiziane era licenzioso quanto seducente era il loro abbigliamento. Senza dubbio, un giudizio di questo genere sarebbe stato sbagliato quanto lo sarebbe immaginare che il comportamento sessuale di una donna occidentale di oggi possa essere dedotto dalle mode dominanti nell’acconciatura dei capelli e nel vestiario.

Quando tentiamo di valutare quanto bella o difficile fosse la vita di una donna nella Grecia antica, siamo confusi dal fatto che era estremamente differenziata la sorte riservata alla donna nei diversi momenti e luoghi della lunga storia del grande mondo greco. Le grandi signore della Creta minoica pre-greca, e le loro eredi greche micenee sul continente, che seguirono i loro passi, godevano chiaramente nella società della stessa libertà che avevano le loro contemporanee egiziane dell’Epoca Tarda. Inoltre si truccavano in maniera elaborata e si avvicinavano al confine dell’indecenza tanto quanto le egiziane facevano a loro volta. La poesia epica omerica ci dà un’immagine composita della vita dell’aristocrazia greca, che è costituita dalla combinazione di elementi tratti da stadi successivi della sua evoluzione tra l’età micenea e l’VIII secolo avanti Cristo, il secolo in cui questa forma di poesia si precisò nella sua forma definitiva. La composita rappresentazione omerica copre quindi un periodo di almeno otto secoli, e questa epoca comprende una grande cesura, nella quale il sofisticato modo di vivere minoico e miceneo venne distrutto dall’invasione di un numero sterminato di uomini delle foreste che saccheggiarono i palazzi e massacrarono o cacciarono i loro abitanti. Sembra tuttavia che una caratteristica del modo di vivere della Grecia micenea abbia superato questo cataclisma, e cioè lo status relativamente alto assicurato alle donne — quanto meno se appartenevano all’aristocrazia. La vita era divenuta più primitiva e insicura, ma le donne riuscivano ancora a mantenere la propria posizione sociale.

Se ora saltiamo fino al V secolo avanti Cristo e consideriamo in primo luogo Atene, siamo immediatamente consapevoli di un grande quanto triste mutamento. Per entrambi i sessi, l’abbigliamento è divenuto volutamente semplice, ma, nella misura in cui questa semplicità esteriore costituisce uno dei simboli dell’egualitarismo, questo resta valido soltanto per gli uomini. L’Atene del V secolo avanti Cristo dotata di un proprio modello democratico è una società che appartiene completamente agli uomini. Sin dall’inizio del VI secolo, ad Atene vi è stato un prodigioso salto in avanti sotto il profilo artistico, intellettuale e politico; ma è stato un salto in avanti soltanto dell’uomo; il salto in avanti dell’ateniese ha lasciato indietro, senza rimorsi, la popolazione di sesso femminile. Il declino dello status delle ateniesi del V secolo è incarnato in un breve sprezzante accenno finale in un discorso tenuto in onore delle vittime ateniesi di sesso maschile del primo anno della grande guerra, che lo storico ateniese Tucidice ha attribuito al politico ateniese Pericle: "Se poi debbo accennare anche alla virtù delle donne che ora saranno vedove, indicherò tutto con una breve esortazione. Il non essere più deboli di quanto comporta la vostra natura sarà un grande vanto per voi, e sarà una gloria se di voi si parlerà pochissimo tra gli uomini, in lode o in biasimo"3.

Nella generazione successiva questo motivo è ulteriormente elaborato da un altro letterato ateniese, Senofonte, in un saggio dal titolo Economico4. Un eminente cittadino ateniese sta istruendo la sua novella sposa sui suoi doveri domestici. Egli le parla adeguando il proprio linguaggio come se avesse di fronte un bambino. Un ateniese maschio pensa di conoscere meglio di una donna della sua città anche quanto riguarda quella sfera di attività che egli ammette sia un’occupazione femminile, e cioè il lavoro domestico. Il testo del sermone di Senofonte destinato alle spose novelle dice che "il posto della donna è in casa". Gli ateniesi adoravano Atena Promacos 5, la protettrice divina della loro polis — "Lei che in battaglia combatteva per noi innanzi a tutti". Questi ateniesi esprimevano la propria stima e adorazione verso il genere femminile nei confronti del simbolo femminile del potere della città-stato di Atene. Sarebbe stato meglio per questi uomini, così come per le loro mogli, sorelle e madri, se gli uomini avessero riservato una parte dei loro teneri sentimenti per le donne in carne e ossa, invece di concentrare le proprie emozioni su di una figura femminile che non era nient’altro che un’astrazione deificata.

La nullità delle donne dal punto di vista sociale nella Grecia classica nel suo complesso è indicata dalla prevalenza in quel contesto dell’omosessualità, sia tra le donne, sia tra gli uomini (l’appassionata poesia d’amore della grande poetessa Saffo è indirizzata a ragazze). Le donne con le quali un greco adulto istruito del V secolo si degnava di condividere il tempo dedicato allo svago e il proprio letto, sebbene non la propria casa o il proprio cuore, erano delle "compagne di sesso femminile", cortigiane (etairai 6), "prostitute" d’alto rango che si facevano accettare sotto il profilo culturale — ma non sotto quello sociale — condividendo gli interessi politici e intellettuali propri della società maschile greca.

La sola città-stato della Grecia classica nella quale una donna moderna occidentale od occidentalizzata avrebbe potuto trovare la vita sopportabile è Sparta. Qui la rovina degli uomini era la fortuna delle donne. La vita degli spartani era stata militarizzata; i maschi dovevano mangiare e dormire tutti assieme, e persino dopo il matrimonio a un soldato spartano era permesso fare soltanto qualche breve occasionale visita semiclandestina alla propria moglie fino a quando non avesse compiuto trent’anni, e a quel punto sua moglie si era trincerata in maniera inespugnabile nel ruolo di padrona della casa. Il posto di suo marito era in caserma, e di conseguenza la casa era sua. Le spartane approfittavano dei vantaggi di sposarsi tardi, una volta raggiunta la maturità, e dell’insistenza dei loro mariti sulla pianificazione familiare. Una famiglia numerosa avrebbe reso finanziariamente impossibile per un soldato spartano pagare le quote dovute per la mensa per sé e per i suoi figli cresciuti, e l’inadempienza nei pagamenti delle quote per la mensa condannava uno spartano "pari" a essere degradato allo status di "inferiore". Allo stesso tempo, sua moglie in casa aveva una gran quantità di aiuto da parte di donne in condizione semi-servile, e l’uguaglianza sociale tra i sessi era ulteriormente assicurata dalla pratica tradizionale di cantare con tutta la comunità, che la militarizzazione di Sparta aveva attenuato, e dalla nuova pratica dell’atletica, che la militarizzazione aveva incoraggiato. Ragazze e ragazzi condividevano entrambe queste attività spartane. Questo era, a Sparta, un tipo di legame tra i sessi che non esisteva nel resto della Grecia.

Il commediografo ateniese Aristofane era una "colomba", e si fece un dovere di rendere le sue commedie una propaganda contro i "falchi". In una delle sue commedie contro la guerra, Aristofane fa rivoltare le mogli e le madri di Atene contro la guerra e racconta che esse si impadroniscono dell’Acropoli nella speranza di costringere gli uomini a concludere la pace. La donna alla testa di questo coup d’état immaginato da Aristofane a opera delle donne di Atene fa entrare una spartana per ottenere aiuto e consiglio. Le ateniesi sanno che, a Sparta, le donne sono libere, e quindi confidano nel fatto che la loro amica spartana Lampito sia in grado di dir loro come agire.

Le greche non spartane rivelavano quanto fosse trattato male il loro stesso genere accettando la supposizione priva di fondamento secondo la quale le spartane, essendo socialmente emancipate, dovevano anche essere sessualmente licenziose. Facevano la stessa supposizione gratuita anche nei confronti delle donne etrusche. Osservate il coperchio di un sarcofago etrusco, coperto dalle figure di marito e moglie amichevolmente sdraiati uno accanto all’altro. Il rapporto tra i coniugi qui rappresentato è affettuoso quanto quello tra quegli sposi egiziani seduti che sono stati immortalati nelle statuette dell’Antico Regno. Guardate gli affreschi etruschi. Il rapporto sociale tra i sessi lì rappresentato è allegro come lo sono tutte le rappresentazioni della pittura murale egiziana dell’Epoca Tarda. Questo era sufficiente per rendere immediata la condanna delle donne etrusche e spartane da parte dell’opinione pubblica greca. Nella sua mancanza di carità nei loro confronti, questa opinione pubblica ottenebrata pronunziava, senza rendersene conto, un giudizio su se stessa.

NOTE

Il testo originale di Arnold J.Toynbee è privo di note, che sono state aggiunte dal traduttore.

1 Utilizziamo l’edizione italiana: Tucidide, La guerra del Peloponneso, vol. I (Libri I-II), traduzione di Franco Ferrari, Milano, Rizzoli, 1985, II, 2, 1 (p. 277). torna su

2 La poesia dialettale di John Burns, John Anderson, my jo, John (1790) è un tenero inno alla capacità di durare fino alla vecchiaia dell’amore coniugale: cfr. Poems and Songs, Londra, Collins, 1946, p. 362. torna su

3 Tucidide, La guerra del Peloponneso, vol. I (Libri I-II), cit., II, 45, 2 (p. 339). torna su

4 Senofonte, Economico, Introduzione, traduzione e note di Fabio Roscalla, con un saggio introduttivo di Diego Lanza, Milano, Rizzoli, 1991. Toynbee parla di "Good Housekeeping", ed in effetti al centro della trattazione c’è il concetto di oikos. Esiste anche una versione pubblicata da Marsilio con il titolo L’amministrazione della casa. Si veda inoltre Eva Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Roma, Editori Riuniti, 1992, pp. 90-91. torna su

5 "Colei che combatte innanzi a tutti" (Federico Lübker, Il lessico classico, Bologna, Zanichelli, 1989, edizione originale 1898, p. 876) e, per estensione, "colei che combatte per il buon diritto" (Delio Cinti, Dizionario mitologico, Milano, Sonzogno, 1989). torna su

6 "Cortigiane" o "etére", termini da intendere nel senso proprio in quel contesto storico (cfr. per esempio F. Lübker, Il lessico classico, cit., p. 584). torna su