L’intervento militare della Nato nel Kosovo è stato giustificato con la difesa dei diritti umani
degli albanesi, vittime della pulizia etnica dei serbi. Da un lato il nazionalismo serbo
ritiene il Kosovo terra sacra irrinunciabile, dall’altro gli albanesi del Kosovo
rivendicano l’indipendenza in nome della propria identità etnica.
Ma che cosa significa etnia e di conseguenza l’identità intesa non
più come appartenenza a uno Stato nazionale, ma come costitutiva di uno Stato
monoetnico? Se questo fosse il futuro politico, come progettare, dunque, identità
sovranazionali come l’identità europea o società multietniche con
prospettive di convivenza civile, basata sul rispetto delle differenze dei cittadini?
L’antropologo Alberto Salza,
definendo la nuova categoria umana dei dislocati, ritiene necessario affrontare il tema
dell’etnia. La sua convinzione è che gli uomini non sono differenti per le
etnie di appartenenza e che l’identità etnica è una definizione culturale,
spesso manipolata e strumentalizzata a seconda delle circostanze.
Il brano è tratto dall’articolo
Non profughi ma dislocati in "La Stampa", 14 aprile 1999.
Tra i dislocati, un antropologo ha un
laboratorio di dinamica culturale. In tempi brevi, egli è ing rado di osservare le
trasformazioni dell’identità etnica. Qui il discorso si fa fangoso, come le piste
del Ruanda o del Kosovo. Le somiglianze tra gli uomini, genetiche e comportamentali, sono
di gran lunga superiori alle differenze oggettivamente osservabili tra le varie
popolazioni e culture. Non esiste traccia di concetti quali "legami di sangue",
"linguaggio", "territorio" che non siano autoprodotti artificiosamente
per evidenziare le differenze ed attutire l’unicità della specie umana. In questo senso l’identità etnica è
fenomeno esclusivamente culturale, basato sul nulla delle parole. Come scrive Epstein
(1978), "la percezione che un gruppo ha di sé prende forma in relazione agli
altri".
E’ inoltre interessante notare come
l’antropologia utilizzi la parola "identità" a due livelli: per il
singolo, essa esalta le differenze che rendono unico l’uomo e lo fanno persona
culturale; per i gruppi, invece, si fa ricorso alle somiglianze tra individui, per formare
gruppi riconoscibili e riconducibili a una qualche fasulla forma di origine comune.
L’etnicità è invece situazionale: la si invoca e la si costruisce con significati
differenti a seconda delle circostanze, in modo flessibile. Lo scopo è l’uso
strategico dell’identità etnica: essa viene nascosta, variata o rivendicata, a
seconda dei contesti.
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