La crisi dell’ex-Jugoslavia


Lo storico Paul Ginsborg mette in evidenza lo stretto legame tra i Balcani e il Mediterraneo. Sottolinea l’importanza dell’unità e della coesione di quell’area, poiché non sono più sostenibili le molte differenze tra nord e sud, tra est e ovest del Mediterraneo. Nell’individuare le differenze e le affinità dell’Europa meridionale nel XX secolo, rileva le tensioni tra i due poli: da un lato dittature, guerre, e l’elemento costante delle invasioni straniere, ma, dall’altro, la dolorosa, ma irreversibile, affermazione di democrazia, di libertà, di pluralismo a partire dalla seconda metà del secolo. In questo quadro la Jugoslavia è lontana dal progressivo affermarsi della democrazia, come dimostra il conflitto intestino degli ultimi dieci anni. La spiegazione va ricercata nel lungo periodo: arretratezza economica, ruolo nazionalista della Chiesa ortodossa, gruppi etnici diversi, la dittatura comunista. Ma il peso della storia non deve giustificare il presente.
L’origine della crisi attuale va cercata nel dopo-Tito, quando i molti soggetti politici non hanno saputo garantire la transizione dal comunismo verso la democrazia. Al di là del ruolo negativo del nazionalismo di Milosevic, l’Europa deve finalmente assumersi le responsabilità per lo sviluppo economico e politico dell’ex-Jugoslavia.

Il brano è tratto da Il peccato originale pesa sui Balcani in "La Repubblica", 3 giugno 1999

Perche’ dunque quell’area dei Balcani che per qualche decennio del Novecento si è chiamata Yugoslavia è rimasta così lontana – salvo recentissime eccezioni come la Slovenia – dal progresso demografico del resto dell’Europa meridionale? Per quale motivo essa è invece ripiombata, negli ultimi dieci anni, in un sanguinoso conflitto intestino?

Nel tentativo di spiegare questa tragedia, l’acceso dibattito delle ultime settimane si è concentrato in gran parte, in modo più o meno raffinato, su spiegazioni strutturali di lungo periodo. Alcuni commentatori hanno posto l’accento sull’arretratezza ereditata dal dominio ottomano e austro- ungarico, altri sull’influenza cesaristica della Chiesa ortodossa, molti di più sull’ inestricabile intreccio di differenti gruppi etnici nella regione, e molti altri ancora sugli effetti negativi di quattro decenni di dittatura comunista. Con la probabile eccezione di quella religiosa (come ha recentemente chiarito su queste pagine Oliver Clèment), si tratta di spiegazioni della particolarità jugoslava che hanno una notevole forza.

Sarebbe comunque sbagliato pensare che ciò ponga termine alla discussione; che il peso della storia, per quanto grave, sia sufficiente da solo a spiegare quanto è avvenuto negli ultimi dieci anni; che i Balcani siano inevitabilmente condannati dal loro passato alla barbarie presente.

Innanzitutto, la storia di questa regione non può essere scritta semplicemente nei termini di un continuo succedersi di tragedie disastro. Se così fosse, oggi la Yugoslavia sarebbe nient’altro che una terra desolata. E’ indispensabile, poi, sottolineare che le origini della crisi attuale vanno individuate anche in specifiche scelte politiche adottate all’indomani della morte di Tito. Laura Silber, esperta corrispondente dai Balcani del Financial Times e co- autrice della straordinaria serie di documentari della Bbc che abbiamo visto ultimamente su Rai Tre, ha scritto:<<Negli ultimi anni Ottanta la Yugoslavia era, per molti aspetti, in una posizione migliore di molti altri Stati comunisti per affrontare la transizione verso una democrazia multipartitica, sia come Stato singolo, sia come gruppo di Stati eredi della Federazione>>.

Molti e diversi soggetti politici, sia sl suo interno che fuori, portano in vario grado la responsabilità di non aver assicurato che tale transizione avvenisse. Uno di essi è senza dubbio la Comunità Europea (sebbene molti di quanti oggi rimproverano le democrazie occidentali, e sono profughi di sapienti consigli su ciò che esse avrebbero dovuto fare, rimasero allora in silenzio e ignari). Un altro è Franjo Tudjman. Ma chiunque abbia fatto lo sforzo di leggersi un resoconto minimamente disinteressato di questi tragici anni si trova di fronte a una conclusione inevitabile: la schiacciante e criminale responsabilità di Slobodan Milosevic, che ha fomentato il fanatismo nazionalista serbo, e l’evidenza dei crimini di guerra commessi dalle milizie serbe nei territori della ex- Yugoslavia.

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