La guerra del Kosovo comporta una nuova definizione di
guerra: la decisione della Nato di bombardare la
Serbia, non attendendo la risoluzione di quellorganismo per giustificare
lintervento ha evidenziato la crisi dellOnu
e, quindi, non ottemperando ai principi del diritto internazionale, ha prevaricato la sovranità
dello Stato nazionale.
Le regole della guerra, teorizzate da Carl Clausewitz negli anni venti del XIX
secolo, sono rimaste valide per interpretare tutte le guerre, comprese le due guerre
mondiali di questo secolo.Lo storico di strategia militare sostiene che la guerra è la
continuazione con altri mezzi della politica, se la politica è grandiosa, la guerra
giunge alla sua forma assoluta. Le guerre di Napoleone sono la prima forma di
guerra assoluta. Con le due guerre mondiali la tesi di Clausewitz è confermata, nel senso
che lo sviluppo tecnologico e la massificazione della società hanno posto fine alle
guerre con obiettivi limitati, nei quali coesistono continuamente obiettivi militari e
politici. Nel nostro secolo si sono, però, anche verificate anche guerre limitate,
sempre secondo la definizione di Clausewitz, cioè con scopi limitati, a cui gli
occidentali non hanno dedicato particolare attenzione. La novità della guerra dei
Balcani sta per qualcuno nelle mutate condizioni del contesto di guerra rispetto a
quelle descritte da Clausewitz:
1) gli organismi internazionali non sono riusciti a impedire i conflitti;
2) lestensione della democrazia di massa comporta un controllo parlamentare e
dellopinione pubblica, pur se con il rischio di manipolazioni, sulla politica estera
e della difesa degli stati, cioè la democrazia ha bisogno del consenso alla
guerra;
3) il mondo è sempre più interdipendente per lo sviluppo delle
telecomunicazioni e dei trasporti.
Carlo Pinzani non condivide le
analogie, sottolineate da alcuni tra guerra del Vietnam e guerra del Kosovo. Dopo aver
preso in considerazione le tesi di Clausewitz, sostiene che negli ultimi tempi, i
conflitti nellAfrica subsahariana e nei Balcani fanno emergere una nuova forma di guerra, limitata
in senso quantitativo, ma qualitativamente assoluta, in quanto in essa persegue la
sconfitta totale dellavversario, e persino la sua scomparsa fisica. La fine della guerra
fredda e dellequilibrio del terrore atomico, ha aperto un periodo di conflitti
tra stati minori, non più controllati dalle due superpotenze, e di odio interetnico
irrazionale e brutale, non più condizionato dallintelligente uso della forza.
E urgente individuare un ordinamento internazionale per impedire il conflitto
tra stati e punire la violenza. Lattacco della Nato
alla Serbia è stato senza copertura dellOnu,
che, invece, in quanto massimo organismo internazionale, ha limpegno di tenere
quella guerra limitata e non assoluta e di scoraggiare i nazionalismi. In questa
dimensione i pacifismi intransigenti sono insufficienti.
I tre brani sono tratti da Per
una nuova definizione della parola "guerra" in "Reset",
maggio-giugno 1999, pp.18-21.
Ma, più importante di tutto, nella
seconda parte del secolo nei paesi in cui forme e misure diverse opera la moderna
democrazia di massa si è venuto estendendo e anche in questo caso in forme e misure
diverse- il controllo parlamentare sulla politica estera e di difesa. Inoltre, la
diffusione del sistema della comunicazioni di massa ha enormemente accresciuto negli
stessi Paesi la partecipazione dellopinione pubblica alle vicende internazionali.
Vero è che tanto il controllo parlamentare quanto, ed è ancor più, lopinione
pubblica possono essere più o meno agevolemtne manipolati in tutte le democrazie di
massa. Tuttavia, la necessità dellacquisizione di un consenso razionale e non
emotivo non può essere tale per trasformarsi in plebiscitarismo più o meno autoritario.
E sulla base di questi elementi che devessere
valutato il problema della guerra alle soglie del XXI secolo, in un mondo reso sempre più
piccolo e interdipendente dal graduale modificarsi del concetto di distanza, per effetto
dei progressi della tecnologie dei trasporti e delle telecomunicazioni. Sotto questo
profilo, per quanto nobili e largamente condivisibili, appaiono oggi drammaticamente
insufficienti i pacifismi intransigenti ed assoluti, sia che si fondino sui valori della
trascendenza, sia che si richiamino alla solidarietà tra gli oppressi. La straordinaria
nobiltà del messaggio cristiano non è riuscita ad espugnare la violenza della storia nel
corso di duemila anni né certo poteva farlo in poco più di un secolo la carica
utopistica dellinternazionalismo socialista.
Quello che appare ragionevole perseguire, invece, con la
tenacia e la pazienza richieste dalla lunga durata, è lobiettivo della progressiva
giuridicizzazione delle relazioni internazionali. Questa dovrebbe tendere alla creazione
di un ordinamento che, come quelli interni, impedisca di venire "ad arma" ai
soggetti che ne fanno parte, cioè gli Stati e che, quando il ricorso alla violenza sia
inevitabile, sia in grado di punire i colpevoli. Da questo punto di vista,
lelaborazione in forma di diritto positivo di alcuni principi fondamentali
delluomo costituisce un punto di partenza assai importante, anche se tuttora quei
diritti vengono calpestati e non certo soltanto nel Kossovo, o nei Balcani in generale.
(..)
Da questo punto di vista è indispensabile evitare di
continuare a considerare i processi in atto attraverso le leggi della contrapposizione
globale: il regime serbo non è certo "più comunista" di quello russo o
"più nazionalista" di quello croato. Semmai, i governi di questi paesi, come
molti altri dellex Unione Sovietica e dellex blocco comunista, sono il frutto
di imponenti operazioni trasformistiche che hanno cambiato le varie nomenklature in ceti
dirigenti più o meno democraticamente legittimati. La Jugoslavia del maresciallo Tito era
di certo un paese governato tirannicamente, per quanto illuminato fosse il tiranno. Ma
questo non significa che la politica delle nazionalità condotta da Tito fosse
completamente errata e che il processo di disgregazione fosse valido di per sé,
nellubicatura generale sulla "gloria delle nazioni". Esaltata in nome
dellanticomunismo da Hèlène Carrère dEncausse. Fra laltro, non è
neppure possibile considerare le vicende della ex Jugoslavia come estrinsecazione del
wilsoniano principio dellautodeterminazione dei popoli, dal momento che gli iniziali
referendum sullindipendenza delle varie repubbliche erano solo formalmente liberi in
quanto indissolubilmente legate con il comunismo. Quel legame, peraltro, non escludeva
affatto che tali ragioni fossero valide.
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