L'avvenimento sembrava fatto su misura per
mettere in luce le caratteristiche, buone e meno buone, del nostro giornalismo. Gli
intervistati si sono prodigati per vedere quel che succedeva, e per raccontare quel che
vedevano, esponendosi a rischi. Hanno riferito storie commoventi sulle sventure dei
profughi, sul loro calvario. E come si stava a
Belgrado, sotto le bombe? A leggere certe corrispondenze sembrava di essere, o tornavano
alla mente, per chi le aveva vissute, vicende ormai lontane nel tempo, quando sotto le
bombe c'eravamo noi.
L'esodo biblico suscitava emozioni, e incoraggiava quindi
una tendenza verso la letteratura, che è una caratteristica del giornalismo italiano.
C'è stata dunque una emozione eccessiva nei nostri giornali, a scapito dell'informazione
pura e semplice e a scapito del ragionamento? Forse sì. Si aveva talvolta l'impressione
che gli inviati ci raccontassero le peripezie di chi scappava, dimenticando di dirci
perché scappavano. Con quali forme di violenza, con quali minacce?Un giudice severo può
forse sostenere che la stampa nel suo complesso non ha sempre offerto al lettore, oltre
alla descrizione di vicende di interesse umano (il famoso human interest dei colleghi
anglosassoni), uno sguardo d'insieme su quel che accadeva, quindi un'analisi degli eventi,
della loro origine, del loro sviluppo. Un certo squilibrio si notava anche nei commenti.
L'intervento della Nato poteva essere giudicato su due piani: quello morale e quello
politico. Era giusto chiedersi se il lancio delle bombe fosse giustificato, trattandosi di
un impiego della forza che avrebbe fatto vittime.Ed era giusto chiedersi se le bombe, a
parte la loro legittimità, avrebbero permesso di raggiungere l'obiettivo che la NATO si
era prefisso.
La distinzione fra questi due piani di giudizio avrebbe
contribuito a chiarire le idee.Nel primo periodo si è osservato un eccesso di attenzione
al primo punto, e quindi il dibattito fra interventisti e pacifisti, a scapito del
secondo: forse anche per il fatto che gli interrogativi sull'utilità delle bombe
avrebbero portato acqua al mulino dei pacifisti. Se questa impressione è fondata, bisogna
concludere che ancora una volta le preoccupazioni concernenti il dibattito politico
interno hanno prevalso sul compito di offrire ai lettori elementi di giudizio obiettivo.
Se un commentatore ritiene che le bombe siano inutili, dovrebbe dirlo, anche se il dirlo
giova ai pacifisti che in quel momento stanno creando problemi per il governo. La stampa
estera, meno inibita della nostra, ha posto per tempo l'interrogativo sull'utilità; i
giornali italiani, se la nostra impressione è esatta, lo hanno raccolto solo in seconda
battuta. Ma queste considerazioni, lo abbiamo detto, devono essere sottoposte a verifica,
e la verifica richiede la lettura attenta di molti giornali, col centimetro in mano per
misurare gli spazi.
Attendiamo lo studente volenteroso.
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