Ho incontrato Tina
Anselmi (1) nella sua casa di
Castelfranco Veneto, il 20 marzo 2003 e le ho chiesto di raccontarmi
della sua esperienza partigiana, della liberazione di Castelfranco
Veneto e del significato che assume oggi il 25 aprile e la lotta di
liberazione. Ecco quello che mi ha raccontato:
Ero a scuola e frequentavo l’Istituto
Magistrale, quando un giorno i fascisti ed i tedeschi, per
rappresaglia, dopo aver compiuto il grande rastrellamento sul Grappa,
per vendicarsi dei partigiani presero i giovani che avevano catturato
e li impiccarono agli alberi di Viale Venezia (ora Viale dei
Partigiani) a Bassano (2). Poi
costrinsero tutti gli studenti delle scuole ad uscire e ad assistere
all’impiccagione. Anch’io fui costretta ad assistere a questo
spettacolo orrendo. Una volta tornata in classe
scoppiò una lite furibonda fra noi compagne di classe, ci siamo
picchiate e c’era chi diceva che i soldati avevano fatto bene e chi
invece prendeva le parti dei partigiani. Rimasi molto colpita da quell’episodio
perché fra i ragazzi uccisi c’era anche il fratello della mia
compagna di banco. Tornando a casa parlai con lei e una mia amica che
aveva il fidanzato che combatteva sul Monte Grappa con i partigiani mi
chiese: "Ma tu avresti il coraggio di fare la partigiana?" E
così discutemmo su quello che poteva significare fare la partigiana e
fu questa amica che mi accompagnò dal comandante. Egli mi disse
"Sai che cosa ti aspetta? Se ti prendono pagherai solo che ti
ammazzino perché ti faranno di peggio": mi aveva posto di fronte
tutti i rischi per vedere se avrei avuto il coraggio di accettare
ugualmente. Il Comandante mi aveva vietato di parlare con chiunque,
perché quello era il solo modo di non coinvolgere, in caso di
arresto, altri partigiani. "Tu Tina devi sparire, devi sceglierti
un nome in codice ed essere solo quella persona"; così mi aveva
detto il comandante, ed io scelsi il nome di Gabriella. Il
rischio era grande; ci si conosceva per cellule piccole, due o tre
persone al massimo.Inizialmente facevo la staffetta per il Comandante
di una zona circoscritta, poi era stato paracadutato tra i nostri un
Generale che doveva organizzare una zona più ampia e così era venuto
aumentando anche il mio raggio di
azione.
Io appartenevo ad una
Brigata Autonoma, ossia una di quelle Brigate partigiane che erano
svincolate da qualsiasi collegamento con i partiti politici e che
aveva l’obiettivo di liberare la zona. Il
mio compito principale era mantenere i contatti fra le diverse
formazioni e informare le bande sugli spostamenti dei tedeschi. Per
assolvere questo compito facevo più di cento chilometri al giorno.La
mia giornata iniziava alle cinque del mattino: prima andavo a Treviso,
poi qui a Nord di Castelfranco, dove c’era il comando, poi a Bassano
a scuola, perché avevo diciassette anni e volevo finire l’anno
scolastico e infine da lì tornavo a casa. Spesso
mi capitava di non mangiare nulla, perché i miei genitori credevano
che mangiassi alla mensa dalle suore, invece ero talmente presa dalle
mie corse che spesso trascorrevo la giornata digiuna. Mi ricordo che
il mio professore di latino aveva intuito la situazione e allora un
giorno mi aveva chiamato alla cattedra e mi aveva detto bonariamente
di andare in sala professori e frugare nelle tasche della sua giacca,
dove trovai del pane e un pezzo di polenta.
Il mio compito
principale era mantenere i contatti fra le diverse formazioni e
informare le bande sugli spostamenti dei tedeschi. Per assolvere
questo compito facevo più di cento chilometri al giorno.La mia
giornata iniziava alle cinque del mattino: prima andavo a Treviso, poi
qui a Nord di Castelfranco, dove c’era il comando, poi a Bassano a
scuola, perché avevo diciassette anni e volevo finire l’anno
scolastico e infine da lì tornavo a casa. C’erano
anche pericoli reali: ricordo che una volta i tedeschi mi hanno
seguita e mi sono salvata buttandomi dentro un fosso. Passato il
pericolo uscii fuori dal mio nascondiglio, ma era necessario trovarne
subito un altro, perché in quelle condizioni, tutta sporca di fango,
fino a che non fosse venuto l’imbrunire non avrei potuto andare in,
giro, ma anche questo era assai pericoloso: circolare dopo una certa
ora era proibito e rischiavo di farmi impallinare dai tedeschi.
Ma la gente era
disposta ad aiutarci, soprattutto erano i contadini a farlo, anche
perché l’economia di questa zona era prevalentemente agricola.
Ricordo una donna in particolare, Maria, era vedova con sei figli, che
ci ospitava sempre quando aspettavamo i lanci degli alleati. Abitava
in una zona isolata e dovevamo arrivare da lei prima che iniziasse il
coprifuoco. Per tutto il tempo della lotta partigiana, ogni giorno,
rischiò la sua vita e quella dei suoi figli per dare ospitalità a
noi partigiani e anche ai prigionieri di guerra stranieri che erano
riusciti a scappare e non ha mai chiesto niente, neanche una
medaglietta! La Maria! Negli anni a venire saremmo andate ogni 25
aprile in bicicletta al suo paese a ricordare quei giorni.
Mediante i lanci, gli
alleati ci rifornivano di munizioni, armi, cibo, anche la cioccolata
lanciavano, quella nera, quella buona: solo sentendone l’odore i
tedeschi avrebbero capito e avremmo passato i nostri guai. Dopo ogni
lancio il primo problema era trovare un nascondiglio al paracadute che
era di seta, color verde chiaro, confezionato con una stoffa mai vista
in Italia, allora lo seppellivamo a casa mia, dove c’era il pollaio.
Nel gruppo a cui
appartenevo eravamo molto incoscienti, non avevamo la cultura politica
per comprendere fino in fondo quello che accadeva, e all’interno
della mia Brigata avevamo deciso di non prendere posizione per nessun
partito politico, fin quando non fosse finita la guerra.
Come avvenne la
liberazione di Castelfranco e che cosa diresti ai giovani di oggi sul
25 aprile e sulla Resistenza?
Liberammo
Castelfranco dopo aver stretto un patto con i tedeschi: noi avremmo
dato loro un lasciapassare per arrivare al confine e loro si sarebbero
impegnati, in cambio, a lasciare il paese senza compiere rappresaglie.
Firmato l’accordo io dovevo
avvisare un gruppo di partigiani che si preparassero ad entrare,
passai sotto casa mia ed urlai ai miei genitori che eravamo liberi,
che avevamo liberato Castelfranco e loro rimasero esterrefatti: solo
allora vennero a sapere che ero una staffetta partigiana.
Senonché gli alleati
non arrivarono all’ora stabilita, quindi Castelfranco rimase in
balia dei gruppi tedeschi e fascisti che tentando di raggiungere il
confine passavano per Castelfranco e non essendo a conoscenza del
patto stretto con il comando tedesco, uccidevano senza pietà. Fecero
questa fine terribile ben centosessantadue ragazzi. Il
Comandante ci aveva dato l’ordine di pattugliare le strade e di
lasciar passare solo le persone che sapevano la parola d’ordine.
Così io assunsi il controllo della zona che mi era stata assegnata,
cercando di essere all’altezza della situazione. Quella sera quando
era ormai buio, nella piazza grande, vidi l’ombra di un uomo, chiesi
la parola d’ordine, non ricevendo risposta puntai la rivoltella
contro la schiena di quell’uomo e lo portai al comando, una volta
entrati, alla luce, mi accorsi che era mio padre, che era uscito con l’intenzione
di venirmi a cercare! Per mesi il paese rise all’idea che mio padre,
iscritto al partito socialista, antifascista, fosse stato arrestato
nel primo giorno di liberazione dalla propria figlia!
La scoperta più
importante fatta in quei mesi di lotta durante la guerra è stata l’importanza
della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava esserci. Questo
è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare la carriera politica:
la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia,
senza partecipazione non c’è democrazia e il paese potrebbe andare
nuovamente allo sbando. Ecco il motivo per cui non dobbiamo tradire la
Resistenza, dobbiamo conoscerla e non tradire i valori su cui si è
fondata questa pagina della nostra storia e dobbiamo essere presenti
come lo eravamo ieri. E’ con questo spirito che, una volta finita la
lotta di liberazione, molti di noi hanno scelto di contribuire con un
impegno civile alla rinascita del nostro paese. C’è una lettera
nella raccolta delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza
di Giacomo Ulivi, nella quale questo partigiano scrive rivolgendosi ai
compagni di lotta: "E se ragioniamo, il nostro interresse e
quello della cosa pubblica, insomma finiscono per coincidere. Appunto
per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il
nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono
tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci
appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo,
specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci
attacchiamo, sarà impossibile" (3).
Questo concetto deve essere espresso attraverso la democrazia, o
meglio nella democrazia attraverso i suoi strumenti, che sono le
istituzioni e l’organizzazione dello Stato. C’è anche un altro
aspetto importante: non basta essere nelle istituzioni, è essenziale
che si rimanga nella politica se si crede nei valori su cui la
democrazia si fonda.
In Italia bisogna
riorganizzare la partecipazione attraverso gli strumenti della
democrazia: la democrazia per essere vissuta appieno necessita di
essere partecipata. Esiste il problema reale come organizzare le
istituzioni, lo stato, la vita sociale, la libertà. Perché la
democrazia sia vissuta c’è bisogno di avere fiducia negli uomini.
Tutte le dittature si caratterizzano per il disprezzo nei confronti
dell’uomo, la democrazia deve essere costruita, al contrario, sulla
fiducia degli uomini. La democrazia non può che appellarsi a tutti
i cittadini perché veramente tutti possano partecipare e
in ciò si cela forse il passaggio più impegnativo: se tu vuoi
partecipare devi anche garantire la partecipazione degli altri. Quando
è terminata la guerra, la prima domanda che ci siamo posti, noi
combattenti per la libertà, è stata: "Ora che cosa possiamo
fare per non essere privati di una libertà che abbiamo appena
conquistato?". La risposta è stata: partecipazione alla
ricostruzione del paese, perché avevamo la sensazione che tutti
potessimo giocare un ruolo importante. Quando
più tardi John F. Kennedy ci ricevette alla Casa Bianca ci disse:
"E’veramente democratico quel paese in cui nessun cittadino si
sente inutile, perché nessun cittadino è lasciato
inutilizzato". Questa è l’anima della democrazia, dalla quale
devono nascere le istituzioni, l’organizzazione dello stato, l’organizzazione
di un sistema di libertà che dia fiducia al cittadino, in modo che
non si senta inutilizzato e pensi di non dover fare nulla perché
tanto non sarebbe ascoltato.
Nella nostra
incoscienza io e miei compagni abbiamo accettato una sfida, abbiamo
vissuto un’esperienza drammatica, in un momento in cui era
necessario schierarti e decidere da che parte stare. Siamo stati per
certi aspetti fortunati, perché la realtà ci aveva costretti a
decidere guardando la verità in faccia, ed io capisco che oggi per i
giovani sia assai più difficile prendere una strada che non sia
superficiale e di comodo.
NOTE
1.
Breve scheda biografica di Tina Anselmi.
Nasce a Castelfranco Veneto nel 1927 dove risiede tuttora. A 17 anni
entra nella resistenza come staffetta della Brigata autonoma "C.
Battisti" e poi fa parte del Comando Regionale del Corpo
Volontari della Libertà. Si laurea in lettere
all’Università Cattolica di Milano e insegna nella scuola
elementare. Dal 1945 al 1948 è dirigente del Sindacato Tessili e dal
1948 al 1955 del Sindacato Maestre. Dal 1958 al 1964 è incaricata
nazionale delle giovani della Democrazia Cristiana e in tale veste
partecipa ai Congressi mondiali dei giovani di tutto il mondo. Nel
congresso di Monaco nel 1967 è eletta membro del Comitato direttivo
dell’Unione Femminile Europea. Dal 1963 è
eletta Vice Presidente dell’Unione Europea Femminile. E’ eletta
per la prima volta come deputato il 19 maggio 1968 e riconfermata fino
al 1992, nel Collegio di Venezia e Treviso. E’
sottosegretario al lavoro nel V° governo Rumor e nel IV° e V°
governo Moro. Nel 1976 viene nominata Ministro del Lavoro ed è la
prima donna che ricopre l’incarico di Ministro. Nel 1978 viene
nominata Ministro della Sanità. Nel 1981 viene nominata Presidente
della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, che termina
i lavori nel 1985. Viene nominata Presidente
della Commissione nazionale per le pari opportunità. Presiede il
Comitato italiano per la FAO. Fa parte della Commissione di inchiesta
sull’operato dei soldati italiani in Somalia. Ha presieduto la
Commissione nazionale sulle conseguenze delle leggi razziali per la
comunità ebraica italiana. La commissione ha terminato i suoi lavori
nel mese di aprile del 2001. E’ Vicepresidente
Onoraria dell’INSMLI. torna
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2. Nota
della curatrice di questa testimonianza: per una curiosa
coincidenza del destino questo episodio mi è stato più volte
raccontato da parte della nonna materna, sfollata a Bassano: più
volte con le lacrime agli occhi mi parlava di quei poveri ragazzi, che
non avranno avuto - diceva- più di vent’ anni e che erano stati
impiccati agli alberi per vendetta e monito per i civili dai tedeschi.
Mia nonna raccontava che il camion dei tedeschi era arrivato verso le
sei del mattino, si era nel settembre del 1944, e dopo aver introdotto
il cappio nella testa di uno degli sventurati partiva, così che il
poverino rimaneva sospeso nel vuoto. Questo spettacolo doveva essere
stato terribile perché ricordo che mia nonna si commuoveva sempre
quando lo rievocava. Per me, allora bambina, nata e cresciuta in un
mondo relativamente pacificato, quel racconto era strano ed
incomprensibile, così come quando parlava dell’Africa lontana, da
cui era scappata insieme a mia madre e in modo avventuroso nel 1941 e
del vento del deserto, il ghibli che copriva ogni cosa e faceva
morire gli uccellini nelle gabbiette. Mia nonna è stata una
formidabile trasmetittrice di memoria ed è forse anche a lei e ai
suoi racconti, che devo oggi, il mio gusto per gli avvenimenti passati
, lontani e il desiderio di comprenderli, ora, da adulta, nella loro
dimensione storica. Per una ricostruzione storica completa di questa
vicenda si veda: Livio Morello, Gigi Toaldo, Il rastrellamento del
Grappa: 20-26 settembre 1944, con una introduzione di Enrico
Opocher, Padova, Marsilio 1986. torna
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3. Cfr.,
Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, (a cura
di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli), Torino, Einaudi 1952, ma qui si
fa riferimento alla sesta edizione del 1955, pp. 368-372.
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