Sul "fondamentalismo islamico"

D.: Vorrei spostare il discorso sulle questioni del cosiddetto fondamentalismo islamico, connesse a questa vicenda ma anche all'attentato alle Torri dell'11 settembre 2001. Molti sostengono che è scorretto usare il termine "fondamentalismo" per quanto riguarda il mondo islamico in quanto esso proviene dal contesto cristiano, e quindi non può essere esteso arbitrariamente ad altri contesti culturali e religiosi. Potresti chiarire questo punto?

R.: Il termine più esatto per parlare di questi fenomeni sarebbe "islamismo". Il problema sta anche nelle difficoltà o imprecisioni della lingua italiana nella quale, a differenza che in francese e in inglese, il termine "islamista" si riferisce a chi studia l'Islam. Il termine "radicalismo islamico" risulta sicuramente meno impreciso e discutibile di "fondamentalismo islamico", in quanto il termine "fondamentalismo" viene mutuato dalla tradizione cristiana protestante, essenzialmente dal mondo protestante americano. Quest'ultimo ha un suo preciso significato e, da un certo punto di vista, ha un significato anche per l'Islam, infatti i musulmani "radicali" predicano un ritorno ai fondamenti , cioè a quelli che loro chiamano usul ed esiste un termine arabo, il termine usuliyun, che traduce il termine "fondamentalista" e che potrebbe essere riportato a questo tipo di movimento. Quindi c'è un ritorno ai fondamenti, che sono il Corano e la Sunna. E' discutibile che dei fondamenti faccia parte l'ijtihad, che è semplicemente una rielaborazione intellettuale su certi principi del diritto, ma i principi del diritto sono il Corano e la Sunna. C'è una sorta di ritorno su se stesso del sistema giurisprudenziale, per cui noi abbiamo la Sharia, che è il Corano e la Sunna, e i fondamenti del Fiqh, che sono ancora il Corano e la Sunna , il qiyas e l'ijma’. Da questo punto di vista l'ijma’ potrebbe essere considerato un fondamento del Fiqh superiore all'ijtihad. Ma questa è una questione a parte, che riguarda elementi e problemi dell'evoluzione del diritto islamico. Per tornare al discorso, i musulmani radicali possono essere considerati "fondamentalisti", perché ritornano ai fondamenti della religione e quindi al Corano e alla Sunna, ma il termine "fondamentalisti" è limitativo. Bisognerebbe usare altri termini, come il termine islamiyun che essi stessi usano riferendosi a se stessi e che in inglese o in francese sarebbe islamist o islamiste. Islamiyun non vuol dire "musulmani", perché allora bisognerebbe dire muslimun. Ma anche i termini muslimun e muminun, cioè "musulmani" e "credenti", hanno avuto una differenziazione. Per esempio Mahmud Taha, un teologo sudanese fatto impiccare da Nymeiri intorno al 1985, distingueva tra muslimun e muminun: i primi sono quelli che hanno applicato nella pratica le indicazioni etico-politiche del Profeta in quel Corano medinese, distinto dal Corano meccano, in cui la parola di Dio si è concretizzata in una forma politica; essi sono storicamente determinati e devono essere superati, perché il vero Islam meccano è l'Islam dei muminun, cioè dei credenti. Se non prendiamo in considerazione queste differenze rischiamo di non capire. Gli islamiyun non fanno solo riferimento al problema del ritorno alle fonti ma anche al problema della rifondazione di uno stato islamico, e ci sarebbe da discutere se si può parlare di "rifondazione" o di "fondazione" di uno stato islamico. Chiamarli "fondamentalisti" comporta un impoverimento di quella prospettiva teorica del radicalismo islamico di Mawdudi, di Qutb e di tanti altri autori contemporanei che sono andati ben oltre i Fratelli Musulmani. Qutb muore nel 1966 e i Fratelli Musulmani riemergono in Egitto, finite le persecuzioni nasseriane, dopo la sconfitta della guerra dei sei giorni e sotto Sadat. Qui entra in ballo un altro discorso, dal quale non ci si può tirare indietro perché è il vero elemento centrale: l'islamismo radicale inizia negli anni '70. L'atteggiamento dei Fratelli Musulmani alle origini e negli anni Trenta o Quaranta, era completamente diverso, e basti leggere i libri di Qutb. Se si legge La giustizia sociale nell'Islam di Qutb, si vede che dalla prima edizione del 1949 all'ultima edizione del 1965 c'è una trasformazione enorme del contenuto del testo, proprio perché c'è una radicalizzazione progressiva. Queste prospettive e queste elaborazioni teoriche vanno ben oltre il richiamo ai fondamenti.

D.: "Le Monde Diplomatique" di aprile 2002 pubblica, nella sua edizione italiana, un articolo di Olivier Roy , Le nuove tendenze dell'Islam globale, nel quale si sottolinea la differenza tra quello che viene chiamato il "neofondamentalismo" e le tendenze e i movimenti di cui abbiamo parlato fino ad ora. Per Roy il "neofondamentalismo" è nello stesso tempo un prodotto e un agente della deculturazione in atto, sulla scia degli sconvolgimenti provocati dalla globalizzazione, e le sue caratteristiche principali consisterebbero nel rifiuto di tutto ciò che appartiene alla cultura a vantaggio di un modello codificato dell'Islam adattabile a tutte le latitudini e a tutti i contesti sociali e politici. I suoi interlocutori principali sarebbero giovani musulmani "deterritorializzati" per effetto dell'emigrazione, dell'esilio o degli studi compiuti all'estero. Al-Qaeda ne rappresenterebbe un esempio.

R.: Non ho letto quest'articolo, ma conosco le posizioni di Roy, il quale già dieci anni fa sosteneva (Olivier Roy, L'echec de l'Islam politique, Seuil, Parigi, 1992) che l'islamismo radicale è sostanzialmente un movimento sconfitto. Una tesi analoga è sostenuta da Gilles Kepel in un suo recente libro (Gilles Kepel, Jihad, ascesa e declino, Carocci, Roma, 2001). E' evidente che il radicalismo islamico ha subito nel corso degli anni notevoli cambiamenti e che il movimento di Bin Laden è un movimento eretico rispetto al mainstream di Mawdudi e di Qutb, non perché dica cose diverse ma perché ha scelto strategie diverse. Per quanto riguarda il rapporto con la globalizzazione, se vogliamo porre la questione in relazione con la dimensione dell'Impero evocata dal libro di Hardt e Negri (Michael Hardt, Toni Negri, Impero, Rizzoli, Milano, 2002) dobbiamo chiederci: questo neofondamentalismo è un frutto dell'Impero o è una reazione all'Impero? Da un certo punto di vista, se hanno ragione Hardt e Negri a costruire questa figura dell'Impero, si può dire paradossalmente che il neofondamentalismo è il frutto dell'Impero, cioè non è una forma aliena a questa struttura imperiale ma è una forma prodotta e alimentata da essa. Se questo è vero, il neofondamentalismo serve all'Impero e quest'ultimo ha bisogno che esso non scompaia, pur combattendolo aspramente. Ci sono poi altri due aspetti da considerare, e cioè che questo movimento radicale islamico si richiama a dei principi estremamente semplici e immediati, e che la sua internazionalizzazione dipende anche dal fatto che il radicalismo islamico nelle singole e specifiche realtà territoriali è stato costantemente represso, come in Siria, in Tunisia, in Egitto, in Libia. A un certo punto il discorso si è divaricato rispetto ai nazionalismi, vedi anche la repressione operata da Nasser nei confronti dei Fratelli Musulmani, e ciò ha fatto sì che il movimento si internazionalizzasse e raccogliesse delle fasce di protesta trasversali. Una cosa che potrebbe sembrare paradossale ad un osservatore esterno è che non è vero che il radicalismo islamico abbia sempre e comunque il suo radicamento nelle fasce più povere della popolazione. Esso ha radici anche nelle fasce culturalmente consapevoli; è noto che un grosso numero di intellettuali e di laureati nei paesi arabi è schierato su queste posizioni. Ciò non credo dipenda dal fatto che questi siano degli imbecilli o degli incolti. E poi c'è l'aspetto cui si accennava prima, di sostanziale semplicità del messaggio nella rielaborazione che ne fa Qutb nelle sue opere. Questi dice: noi viviamo in un'epoca di jahiliyya , cioè in un'epoca di ignoranza pagana simile a quella dell'Arabia prima della venuta di Maometto; nei confronti della jahiliyya, che non è solo quella dell'Occidente ma anche quella dei paesi arabi e musulmani che hanno abdicato all'autentico Islam (anzi, ci sono alcune correnti che ritengono prioritaria la lotta contro i regimi falsamente musulmani dei paesi arabi e islamici prima della lotta contro il sionismo o i paesi occidentali, per esempio quelli che hanno ammazzato Sadat nel 1981 erano convinti di questo) bisogna pronunciare il takfir, la dichiarazione di miscredenza. E qui c'è un'origine kharigita del movimento, in questo riferimento alla teologia islamica medievale: la dichiarazione di miscredenza implica che sia legalmente possibile versare il sangue del miscredente, perché si dà una sorta di legalizzazione giuridica alla lotta politica contro il miscredente. Ci sono altre due variabili: una, che si chiama da’wa, la predicazione e il proselitismo, l'altra è l'emigrazione (hijrah) e cioè il ripetere ciò che ha fatto il profeta andando in altri posti, dove viga l'Islam. Questo è oggi molto difficile, perché dal punto di vista del radicalismo islamico non sono molti i posti in cui viga l'Islam, ma è un punto che ci riporta a ciò che dicevamo prima a proposito della globalizzazione e del suo intreccio con questi movimenti. Dove emigri se nessuno Stato è effettivamente musulmano? L'Afghanistan in una certa fase sembrava dare maggiori garanzie di questo genere, anche se il movimento di Bin Laden non è quello di Qutb e sono cose completamente diverse. Tutto questo per istituire lo Stato islamico. Una delle principali critiche rivolte ai radicali è stata sempre quella di non aver mai definito con precisione i contenuti di questa proposta. Che cos'è lo Stato islamico? C'è mai stato uno Stato islamico? Probabilmente uno Stato islamico non si è mai dato, nel senso che l'unico Stato islamico mai esistito è lo Stato islamico del Profeta. Forse nemmeno lo Stato dei quattro califfi ben guidati può essere considerato uno Stato islamico se non fino ad Omar, perché poi con lo scoppio delle guerre civili successive non è più possibile parlare di uno Stato islamico.

D.: A questo proposito sarebbe interessante approfondire se e fino a che punto si può parlare di una prospettiva teocratica nella cultura musulmana, considerato che l'Islam è una religione senza Chiesa...

R.: Questo è vero anche da un altro punto di vista, perché quando Qutb e Mawdudi dicono che lo Stato islamico deve fondarsi sul principio della hakimiya, cioè "sovranità di Dio", occorre chiedersi che cosa ciò voglia dire e chi gestisce la "sovranità di Dio". In un sistema come quello sunnita, il fatto che possa applicarsi tale sovranità è per esempio molto difficile un po' perché manca un'istituzione ecclesiastica, un po' perché manca un'istituzione che effettivamente unisca l'aspetto politico all'aspetto religioso. Ancora una volta i contorni dello Stato islamico sono molto difficili da definire. C'è stato uno studioso anglosassone di origine araba, Nazih Ayubi, che in un famoso libro che si intitola Political Islam, del '91 (Routledge, London), ha sostenuto che lo Stato islamico non è mai esistito e di conseguenza non è mai esistita una teocrazia. Né potrà mai esistere una teocrazia islamica, perché al limite potremmo parlare di teocentrismo che ha un significato e una prospettiva diversi. Quale sarebbe comunque il modo di fare funzionare uno Stato islamico? Qutb tira fuori un'altra parola magica: shura che vuol dire "consultazione". Si tratta di una parola coranica, derivante cioè da un versetto coranico della 42^ Sura, che si intitola appunto "Sura della consultazione", nella quale si dice che "i credenti nelle loro cose decidono consultandosi tra di loro". L'elaborazione del principio della consultazione è l'elaborazione di un principio che avrebbe a che vedere con la democrazia dell'Islam. E quindi loro sostengono in modo molto netto che l'Islam non è un sistema teocratico ma è un sistema democratico e per esempio è assolutamente ammesso da molti musulmani radicali che l'autentico Stato islamico dovrebbe avere un Parlamento regolarmente eletto. Non c'è dunque un'alternativa tra il sistema democratico-parlamentare e il sistema cosiddetto teocratico dell'Islam, anzi, seguendo il filo di questo ragionamento, i due sistemi vengono a coincidere. Può sembrare paradossale, dal nostro punto di vista, ma in realtà loro arrivano a sostenere una cosa del genere, per cui lo Stato islamico è eminentemente democratico....

D.: ….anche se si potrebbe obiettare che questa prospettiva si può conciliare più facilmente con forme di personalizzazione del potere politico attorno a figure carismatiche che godano di un consenso di massa, e per altri versi questa è una delle strade verso cui si può incamminare la democrazia occidentale, secondo un orientamento populista e/o nazionalista...

R.: …. intendevo dire però, in maniera provocatoria, che dal loro punto di vista i radicali islamici potrebbero dirci: "Perché ci accusate di essere teocratici e antidemocratici? Il principio della consultazione l’ha affermato il Profeta molto prima dei teorici occidentali della democrazia. Siamo noi i veri democratici, questo principio è stabilito dal Corano e definito da Dio"…