Raffaello
Giolli nasce ad Alessandria nel 1889 (il 4 aprile). Da ragazzo riceve
un’educazione rigorosamente cattolica. Frequenta le scuole superiori
a Milano e a Novara (ginnasio e liceo), l’Università a Pisa e a
Bologna, dove si laurea e conosce Roberto Longhi.
Dal 1908
lavora, prima come collaboratore, poi come redattore delle riviste d’arte Pagine
d’arte, Vita d’arte
e Rassegna d’arte antica e moderna, fondata da Corrado Ricci,
(edite da Alfieri & Lacroix) a Milano, dove si fa le ossa. Nel
1919, con l’appoggio e il finanziamento dell’avvocato Melzi, fonda
il Circolo dalta cultura, nell’ambito del quale
organizza mostre d’arte e conferenze, che divennero più tardi veri
e propri corsi di storia dell’arte.
Con l’istituzione
delle cattedre di storia dell’arte nella scuola (in seguito alla
Riforma Gentile del 1923), comincia subito a insegnare nei licei
milanesi : al Berchet, al Parini e infine, stabilmente, al
Beccaria; il suo rifiuto di prestare il giuramento fascista però ne
causa necessariamente l’espulsione dalla scuola. Dal 1925
insegna (per quindici anni) all’Accademia
libera di cultura e darte, di cui era direttore Vincenzo
Cento. Continua accanitamente il suo lavoro di critico, di
organizzatore di mostre e di animatore culturale in tutti gli spazi
che riesce a ritagliarsi, malgrado l’ostilità in cui si trova ad
agire.
Nell’ottobre
1927 fonda e dirige 1927 -
problemi darte attuale, che diventa, nel novembre 1929, Poligono,
rivista faticosamente tenuta in vita a prezzo di grandi sacrifici, non
solo economici, fino al 1931. Negli stessi anni, altre iniziative
editoriali riguardano la pubblicazione di una collana di volumi d’arte
e di cartelle di litografie. Dopo Poligono, ci riprova con
altre riviste finanziate non più autonomamente : Vetrina, Colosseo,
Colonna (1933-35), che si estinguono dopo pochi numeri.
Numerose le
testate a cui collabora durante la sua intensissima carriera ;
oltre a quelle già dette : La
Sera, LAmbrosiano, Emporium, Domus,
Panorama e Casabella, dalle cui colonne porta avanti la
difesa dell’architettura moderna, insieme al suo grande amico
Edoardo Persico. Quando nel 1940 (il 4 luglio), viene arrestato dall’OVRA
e internato ad Istonio Marittimo, in Abruzzo, insieme al figlio Paolo
di diciannove anni, lavora ormai solo per queste ultime tre : l’ostracismo
politico lo ha allontanato da tutte le altre.
Durante la
Seconda Guerra Mondiale, viene dapprima mandato al domicilio coatto di
Senago, poi può raggiungere i suoi sul Lago d’Orta, nella vecchia
casa di famiglia di Vaciago. Qui tiene ancora conferenze e cerca
addirittura di organizzare un corso per giovani contadini e operai, ma
le autorità non lo consentono, temendo si tratti di una copertura per
fare propaganda antifascista (del tutto verosimilmente). E’ allora
che il sorvegliato Giolli collabora con il movimento partigiano della
Val d’Ossola, in particolare col gruppo di Omegna (capeggiato da un
suo vecchio allievo di liceo, l’architetto Beltrami).
Dopo il 25
luglio 1943, torna a Milano dove, dall’8 settembre - assumendo il
nome di battaglia di Giusto - cerca di mettere insieme un
gruppo antifascista, composto in buona parte di artisti. Non si lega a
nessun partito, però collabora con l’Avanti
e con altri fogli clandestini di sinistra. E’
nuovamente arrestato a Milano, la notte del 14 settembre 1944, dalla
famigerata Legione Muti, che lo conduce con la moglie Rosa Menni al
comando di via Rovello (1), dopo una
perquisizione della loro casa, nella quale andranno persi molti suoi
scritti. Durante un violento interrogatorio quella stessa notte, il
Giolli è percosso duramente. Al mattino, raggiunge i genitori il
figlio Federico di soli quattordici anni. Dal momento che il Giolli
non parla, i fascisti minacciano di torturare la moglie e il ragazzo
davanti ai suoi occhi. Nel tentativo o di fuggire o di morire, per non
sottostare a nessun ricatto, si butta da un cavedio, fratturandosi due
costole e procurandosi una lesione alla colonna vertebrale. Viene
rinchiuso e abbandonato per diversi giorni in uno stanzino cieco. Dopo
diciotto giorni nelle mani della Legione Muti, con la moglie è
consegnato ai Tedeschi (Federico, anch’egli picchiato, era stato
liberato prima). Dal comando tedesco presso l’Hotel Regina, vengono
trasferiti e incarcerati a S.Vittore. La moglie è infine lasciata andare.
Il Giolli è invece mandato in un
campo di raccolta a Bolzano, dove incontra l’architetto Giuseppe
Pagano Pogatschnig, per essere deportato in Germania. Insieme faranno
il viaggio fino a Mauthausen, da cui non torneranno più.
Muore - per quanto è dato sapere - tra il 5 e il 6
gennaio 1945, per una grave polmonite.
A Mauthausen
erano internati anche gli architetti Gian Luigi Banfi e Lodovico
Barbiano di Belgioioso, del gruppo BBPR, e il pittore Aldo Carpi, suo
carissimo amico (nonchè collaboratore di Poligono), che cercò
in tutti i modi di incontrarlo, senza riuscirci, e che ha lasciato una
testimonianza indiretta delle sue ultime ore, nel Diario
di Gusen. Lettere a Maria (2). Dei
cinque, solo Carpi e Belgioioso faranno ritorno a casa. Dei
due figli maggiori dei Giolli, solo Paolo, catturato dai Tedeschi e a
lungo imprigionato, riuscì a sopravvivere, mentre Ferdinando, giovane
poeta e critico, venne fucilato a Villeneuve, in Val d’Aosta, mentre
cercava di unirsi ad una formazione partigiana, nell’ottobre del
1944 (3).
La tragica
fine del Giolli è l’esito di una vita improntata a valori umani,
culturali e politici in irrimediabile dissidio col modello proposto
dal regime fascista. Dal punto di
vista propriamente politico, il suo patriottismo di matrice
risorgimentale-democratica (quindi di ascendenza sostanzialmente
giacobina) era assolutamente inconciliabile con il nazionalismo -
aggressivo e xenofobo - e la statolatria fascisti. Riteneva il
Risorgimento italiano una rivoluzione mancata, una grande occasione in
buona parte andata persa, non tanto per il rinnovamento dell’assetto
politico, dello stato in sé, quanto per il rinnovamento dell’uomo (4). A
fondazione di tutto il suo pensiero, bisogna infatti porre una
concezione profondamente umanistica dell’individuo.
Il Giolli ha sempre presente un
uomo per il quale la libertà è un diritto e un dovere, una
responsabilità ; che deve vivere confrontandosi continuamente
con la propria coscienza e rendendo conto ad essa; che non sfugge
mai vigliaccamente all’onere di essere protagonista della propria
storia e di conseguenza della storia del proprio tempo (5).
Perfino il suo
crocianesimo era reinterpretato, "radicalizzato" in questa
chiave (umanistico-individualista): la sua indagine non è
finalizzata all’identificazione di grandi personalità emergenti ed
isolate, ma è piuttosto volta alla ricerca e al riconoscimento dell’autenticità
dell’espressione artistica (lirica) ovunque, sempre ponendosi con lo
stesso rispetto e la stessa volontà di comprendere, affidando poi al
discernimento critico l’accertamento delle differenti qualità, dei
diversi valori.
Nell’ideale
di civiltà di cui auspicava l’avvento e per la cui realizzazione
lottava con impegno nel mondo della cultura, come critico e storico
dell’arte, animatore, divulgatore, insegnante - e da cui l’Italia
in cui viveva era molto lontana - l’arte ha il potere di incidere
sulla realtà storica, sulla vita della civitas : non
appartiene ad un’astratta sfera separata, frequentata solo dalle
anime belle. Perciò, le sue ricerche e le sue polemiche per la
rivalutazione dell’Ottocento italiano o per la rivendicazione della
dignità dell’arte moderna (contemporanea) erano da lui intese e
passionalmente presentate come un problema di vita nazionale, di
insufficiente coscienza nazionale (6).
E’ chiaro
dunque che nel pensiero di Giolli arte, vita e storia sono
inestricabilmente legate. Non v’è alcuno spazio per un concetto di
autonomia dell’arte che postuli la legittimità de "lart pour lart".
E’ altrettanto evidente che tutto ciò non implica affatto la
liceità dell’asservimento dell’arte a scopi politici, come mero
strumento : ove viceversa è sacrosanta, assolutamente
indiscutibile la libertà dell’artista, che del resto discende
direttamente dal diritto alla libertà di coscienza di ogni uomo.
Lo stato non
ha alcun diritto di interferire con la creazione artistica, ha semmai
il dovere di promuovere condizioni favorevoli ad essa, mediante il
sostegno agli artisti (7) e l’appropriato
riconoscimento del loro ruolo e della loro figura professionale :
uno stato, in sostanza, acquirente e committente (8). L’antifascismo
di Raffaello Giolli è costituito dunque da un complesso di ideali
inscindibilmente radicati nelle profondità della sua coscienza, è un
necessario modo di essere.
NOTE
1.
Dove nel dopoguerra, anche per la volontà di riscattare e redimere
questo triste luogo di dolore e umiliazione della dignità umana,
Strehler e Grassi decideranno di stabilire la sede del Piccolo
Teatro di Milano.
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2. A.
Carpi, Diario di Gusen. Lettere a Maria, (con 75 disegni dell’autore,
a c. di Pinin Carpi), Milano, Garzanti, 1971 (nuova edizione con
introduzione di Corrado Stajano, disegni dell’autore e fotografie,
Torino, Einaudi, 1993). torna
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3.
Per le notizie biografiche sul Giolli, mi sono appoggiata in
particolare alla prefazione di R. Menni Giolli a : Raffaello
Giolli, La disfatta dell’Ottocento, Torino, Einaudi, 1961
(con introduzione di C. Pavone) e all’ introduzione di C. De Seta
a : Raffaello Giolli, L’architettura razionale
(antologia di scritti 1914-1944), Roma-Bari, Laterza, 1972, oltre che
a G. Veronesi, Difficoltà politiche dell'architettura in Italia
(1920-1940), Milano, Libreria Editrice Politecnica Tamburini,
1953. torna
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4.
Cfr. Raffaello Giolli, La disfatta dell’Ottocento, Torino,
Einaudi, 1961 (con prefazione di R. Menni Giolli e introduzione di C.
Pavone) Scrive - in modo ineccepibile - Claudio Pavone, nell’introduzione,
che questo libro è "una delle ultime manifestazioni di quel ramo
della cultura della rivolta idealistica e attivistica del primo
Novecento che, separatosi dall’altro sfociato nel fascismo,
ritrovò, nell’opposizione anti-fascista, il senso dei valori
storici e civili che valsero a preservarlo dall’esaurirsi in
decadentistici compiacimenti o evasioni". E, per intenderci, al
fine di chiarire meglio questa temperie culturale, fa il nome di
Gobetti.
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5.
Cfr. Poligono, Frasi fatte - definizioni del lombardo, in Poligono,
1931, n°2 (in particolare i paragrafi Contro Croce e Contro
l’uomo). torna
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6.
Cfr. per esempio : "31 Gennaio", senza titolo, art. I,
in Poligono, 1931, n°1. torna
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7.
Ibid.. torna
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8. Cfr. Premi
(senza firma), in Poligono, 1931, n°2 ; estero,
(senza firma), in Poligono, 1931, n°3 e anche il
necrologio per Adolfo Wildt : Adolfo Wildt, (senza firma),
in Poligono, 1931, n°2. torna
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