Sono molti i luoghi comuni che si trova a dover
sfatare chi studia le arti figurative durante il regime fascista.
Indagare le diverse prese di posizione di artisti e intellettuali che
si trovavano a vivere - e creare - nelle gravi difficoltà di un
momento storico tragico, in una realtà politico-sociale ostile ai
"liberi pensatori" significa confrontarsi con le loro
molteplici reazioni e interazioni col regime: perché di
molteplicità, di complessità e addirittura di confusione si
trattava, non di schematiche e manichee contrapposizioni.
La prima trappola da evitare è quella delle rigide
equazioni come:
- plasticismo, anti-impressionismo = arte fascista
- neo-impressionismo e chiarismo = arte antifascista
- tradizionalismo = arte fascista
- avanguardia e modernismo = arte
"progressista", antifascista
- futurismo = arte fascista
- modernismo = arte fascista
Oltretutto, si tratta di equivalenze in
contraddizione tra loro. Bisogna invece analizzare con attenzione e cautela
da un lato le poetiche e gli intenti, dall’altro naturalmente gli
esiti, le concrete opere d’arte per capire a quale
Weltanschauung è da mettere in relazione la genesi di uno stile.
Prendiamo il caso di Sironi : essere "masacceschi" in
sé non è fascista, ma può esserlo se questa presa di posizione
è dettata da certi presupposti culturali e da determinati scopi. Allo
stesso modo, non sussiste una diretta corrispondenza tra le coppie
antitetiche Novecento/anti-Novecento e fascismo/antifascismo.
In realtà, praticamente tutte le
"tendenze" artistiche (o gruppi) degli anni Venti-Trenta in
Italia hanno, se non rivendicato il riconoscimento dello status di
(unica o ufficiale) arte fascista (della nuova Italia fascista),
almeno cercato l’avallo dello stato fascista. In molti si sono
comunque contesi anche il titolo di unici interpreti della nuova
"civiltà" fascista, in base ad argomenti diversi e anche
opposti - per il fascismo come modernità : futuristi,
architetti razionalisti, pittori astratti, Sironi, Novecento;
per il fascismo come difensore della tradizione, dell’italianità,
della mediterraneità : Novecento, Piacentini, Sironi,
sostenitori del Premio Cremona, Strapaese, ma pure gli stessi pittori
astratti. Anche qui, però, non si tratta di compartimenti
stagni (come si evince chiaramente dall’adesione di uno stesso
artista ad entrambe le opzioni) : del resto, la contraddittoria
compresenza di arcaismo e modernismo è intreccio assolutamente
costitutivo dell’ideologia (sarebbe forse più appropriato dire
"mentalità") fascista (9).
Molto articolata e personale la posizione di
Bottai (10): la sua difesa della libertà artistica (richiamata da taluni
come la prova di una variante "buona" del fascismo) era
strumentale : dettata soprattutto da considerazioni di realismo
politico. Riteneva primario far valere le tesi italiane fasciste,
anche attraverso la fascistizzazione della cultura (11); sentiva acutamente
il pericolo della concorrenza tedesca in ambito culturale, la minaccia
di un’assimilazione nella nuova Europa, che schiacciasse la
specificità della cultura italiana con il suo glorioso portato e il
suo presente fascista. A tutto ciò, bisogna aggiungere la sua
intelligente consapevolezza che una politica culturale dispotica
sarebbe stata fallimentare e la distinzione chiara tra il piano della
propaganda per le masse e la cultura "alta".
La situazione italiana è in effetti molto più
complessa di quella tedesca (12) (che rimane l’imprescindibile termine di
paragone), ove è possibile distinguere più nettamente un’arte
(addirittura un’estetica) di Stato e una vera e propria arte d’opposizione
(a questa estetica ufficiale), una volta risolta la disputa intorno
all’Espressionismo (arte tedesca-nordica o arte degenerata ?),
con la sconfitta della posizione "etnica" di Goebbels, da
parte di Hitler, irrimediabilmente legato ai canoni di un triviale
accademismo tardo-ottocentesco. Mussolini, invece, non ha mai ceduto
alle pressioni per concedere un’investitura esclusiva di arte di
regime, preferendo utilitaristicamente (opportunisticamente)
avvalersi di tutti gli apporti artistici possibili, assimilabili per i
suoi fini dalla politica culturale fascista, ovvero adeguatamente
predigeriti (e disarmati).
Rifiutare questa sorta di manicheismo aprioristico
non solo non ci esime dallo sforzo di distinguere, ma al
contrario ci impegna a discernere molto più a fondo, nella trama di
una complessità che non possiamo più ignorare (13)
; abbiamo cioè a che
fare con una pluralità di "concetti", come arte fascista /
arte antifascista / arte non fascista / arte di Stato / arte di regime
/ arte non fascista ma che chiede riconoscimento allo stato fascista.
NOTE
9.
Una ricca raccolta di documenti e testimonianze, validamente
presentate, è in Paola Barocchi, Storia moderna dell’arte in
Italia. Manifesti polemiche documenti. Vol. III*, Dal Novecento ai
dibattiti sulla figura e sul monumentale, 1925-1945, Torino,
Einaudi, 1990, pagg. 9-12.
torna su
10.
Faccio riferimento in particolare a sue affermazioni pronunciate nel
discorso di inaugurazione della III Quadriennale, il 5 febbraio 1939.
Cfr. Gli anni del Premio Bergamo. Arte in Italia intorno agli Anni
Trenta, (Bergamo, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e
Accademia Carrara, 25.9.1993/ 9.1.1994), a c. di F. Rossi, Milano,
Electa, 1993, pag. 248. torna
su
11.
Cfr. E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della
politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993. In
particolare nel V capitolo (I templi della fede, dedicato
alle arti), ha notevole rilievo il richiamo di Bottai all’ortodossia
fascista, come argine invalicabile dalla libertà dell’artista. torna
su
12.
Cfr. H. Brenner, La politica culturale del nazismo, Bari,
Laterza, 1965 (H. Brenner, Die Kunstpolitik des Nationalsozialismus,
Rowohlt, Reinbeck bei Hamburg, 1963). torna
su
13. Cfr
J. Clair, La responsabilità dell’artista. Le avanguardie tra
terrore e ragione, Milano, Allemandi, 1997 (J. Clair, La
responsabilité de l’artiste, Paris, Gallimard, 1997) e Les
réalismes 1919-1939, (Parigi, Centre Georges Pompidou,
17.12.1980/20.4.1981 e Berlino, Staatliche Kunsthalle,
10.5/30.6.1981), catalogo della mostra a c. di J. Clair, Parigi,
Centre Georges Pompidou, 1980: testi di capitale importanza.
torna su
|