Ulteriori osservazioni
sugli Obiettivi Specifici di Apprendimento (O.S.A.). Scuola di base
Scuola primaria –
classi seconda e terza
-
"La terra prima
dell’uomo e le esperienze umane preistoriche: la comparsa dell’uomo,
i cacciatori delle epoche glaciali, la rivoluzione neolitica e l’agricoltura,
lo sviluppo dell’artigianato e primi commerci":
- il salto dal
passato personale e familiare alla "storia delle origini" è
fuori della portata dei bambini e delle bambine, se dobbiamo tener
conto, nei processi cognitivi, dello sviluppo delle capacità di
rappresentazione mentale. Impossibile in questa fascia d’età
rendersi conto dei miliardi di anni della terra, dei milioni di anni
degli ominidi: è già difficile affrontare concettualmente le migliaia
di anni dell'homo sapiens sapiens. Per raggiungere quest’ultimo
obiettivo è necessario un periodo in cui si formino le coordinate
necessarie. Bisognerebbe, se l’insegnamento deve avere qualche
significato, condurre i bambini e le bambine non solo a contare ben
oltre il 1000 ma anche a rendersi conto delle durate temporali
corrispondenti, prima di affrontare tali argomenti operando dal vicino
al lontano, dall’osservazione del presente alla ricostruzione di
passati sempre più profondi. In nessun caso si è formato il senso
della storia con il raccontino banale della "primitività" che
assume i connotati della favola e che, anche se affascina molti bambini,
rende più arduo costruire il senso del passato storico. La domanda che
molti maestri si sono sentita rivolgere "Ma tu c’eri nelle
caverne?" è la spia di un’incapacità di dare dimensioni al
tempo. Per alcuni questo errore iniziale non si corregge mai più e la
storia continua ad essere un racconto di cose avvenute in un mondo che
non c’è, e che non ha relazione con noi.
- Come potrebbe
conciliarsi questo "salto" da un estremo all’altro della
storia (il presente dei bambini ed il passato più profondo della terra)
previsto negli OSA con le affermazioni de Gli obiettivi formativi
fino al primo biennio: "…nel primo anno e nel primo
biennio, vanno sempre esperiti a partire da problemi ed attività
ricavati dall’esperienza diretta dei fanciulli. Tali problemi ed
attività, per definizione, sono sempre unitarie e sintetiche, quindi
mai riducibili né ad esercizi segmentati ed artificiali, né alla
comprensione assicurata da singole prospettive disciplinari o da singole
‘educazioni’. Richiedono, piuttosto, sempre, la mobilitazione di
sensibilità e prospettive pluri, inter e transdisciplinari, nonché il
continuo richiamo all’integralità educativa. Inoltre, aspetto ancora
più importante, esigono che siano sempre dotate di senso, e quindi
motivanti, per chi le svolge. Sarà, allo stesso tempo, preoccupazione
dei docenti far scoprire agli allievi la progressiva possibilità di
aggregare i quadri concettuali a mano a mano ricavati dall’esperienza
all’interno di repertori via via più formali, che aprano all’ordinamento
disciplinare e interdisciplinare del sapere"? Quale
possibilità c’è di aggregare i "quadri concettuali ricavati
dall’esperienza" a tale approccio alla storia pensato secondo un
sistema cronologico-lineare, ma non rispettoso delle indicazioni
pedagogiche?
- Non appartiene
alla disciplina Storia il tema della "terra prima dell’uomo",
che riguarda altre scienze e che nell’insegnamento della storia può o
ridursi ad un racconto di banalità o ricorrere al racconto biblico, che
diverge dai risultati della scienza e che comunque andrebbe analizzato
in altro comparto disciplinare; la stessa cosa dicasi per la "comparsa
dell’uomo". Tale argomento dal punto di vista biologico
va affidato all’insegnamento di scienze naturali, dal punto di vista
culturale non è pertinente perché le scienze umane si occupano
degli uomini già presenti sulla Terra, non del momento della
"comparsa" del genere umano, che è problema costantemente
rielaborato dal punto di vista della ricerca.
- Costruite le premesse
per affrontare lo studio delle età più antiche, non appartengono
tuttavia alla storia, se non attraverso complesse mediazioni critiche
fuori della portata di bambini e bambine di questa età, i "miti
e le leggende delle origini" che andrebbero, se intese come
narrazioni, affidate alla disciplina Italiano.
- L’obiettivo
generale, in questa fase, non può essere che quello di strutturare un
sapere di base capace di sistemare ulteriori conoscenze.
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L’abilità richiesta
di "Riconoscere la differenza tra mito e racconto storico"
avrebbe un senso se da un lato il "mito" fosse collocato nel
suo contesto culturale e antropologico, altrimenti rientrerebbe nella
categoria delle favole, e se dall’altro il "racconto
storico" fosse ricondotto alla sua natura di frutto di una
ricerca spesso interdisciplinare e criticamente fondata, che richiede
una capacità di lettura di testi anche complessi impensabile in
questa fascia d’età. Si pensi al racconto su Romolo e Remo e sulle
origini di Roma, al suo rapporto con le scoperte archeologiche ed al
significato antropologico che vi è connesso: non è semplicemente
mito e non è racconto storico. Appare
quindi molto dubbio che in queste prime fasi possa essere accolto tale
obiettivo e, comunque, il discorso sul mito potrebbe porsi solo nel
quadro di una didattica che procedesse per "quadri di
civiltà" e non attraverso una sequenza narrativa semplificata,
miniaturizzando una storia generale lineare e continua.
-
Il "passaggio
dall'uomo preistorico all'uomo storico nelle civiltà antiche"
è itinerario di tale complessità che presuppone competenze specifiche
sui concetti relativi alle dinamiche storiche. L’obiettivo di
costruire "quadri di civiltà" come successione di stati di
cose chiede di operare per tagli sincronici e diacronici, evitando
anche il perverso effetto, costantemente verificato, di generare un
immaginario diffuso secondo cui i "popoli" si siano succeduti
nel tempo come nel libro di storia. Il confronto tra quadri successivi
di una stessa civiltà può generare domande sulle trasformazioni,
ricondotte così nell’ambito delle capacità della mente bambina ma
non banalizzate, perché rispondenti a bisogni reali di comprensione.
-
Alcune indicazioni sulle
abilità sono collegate allo sviluppo cronologico degli avvenimenti
invece che al processo formativo realmente possibile, mentre dovrebbe
avvenire il contrario, presupponendo un percorso di accrescimento
delle capacità e calibrando su di esso le conoscenze storiche
accessibili. Il rischio è di propinare una lista cronologica di
argomenti generando incomprensione, fraintendimenti e, talvolta, noia
e rifiuto della storia. Ne segnaliamo una in particolare:
".
Il "livello
sociale" è molto complesso e lo è altrettanto individuare il
rapporto causa-effetto in storia, che è ben diverso da quello
rilevabile nel mondo fisico poiché contiene il fattore umano della
scelta e che, tradotto in una visione semplificata, potrebbe condurre in
ultima analisi a determinismi di tipo non storico (il destino, il fato,
la provvidenza ecc.). Si tratta di uno dei concetti più discussi ed
esplorati in varie direzioni dagli storici, da Montesquieu in poi, che
non può essere offerto a classi che si trovano all’inizio dell’apprendimento
storico senza snaturarne il senso. Per riferirci al celebre scritto
dello storico Edward Carr, che ha dedicato a questo tema uno dei suoi
interventi in Sei Lezioni sulla Storia (Einaudi – la prima
edizione è del 1961), per spiegare un avvenimento lo storico cerca di
individuare le molteplici cause che lo hanno determinato
"stabilendo i rapporti che le legano, e decretando eventualmente
quale causa, o quale tipo di causa debba essere considerata quella
decisiva, la causa delle cause". Diverso sarebbe chiedere che i
bambini si interrogassero sulle "condizioni" in cui avvengono
certi fenomeni, che schiudono l’idea di "contesto" indicata
nelle classi successive, entro cui sarebbe poi più agevole iniziare l’analisi
delle cause o, meglio, delle "concause" che possono essere
origine di spiegazioni criticamente corrette. Il percorso, dunque,
non può essere abbreviato, ma deve costituire un asse longitudinale su
cui calibrare lo sviluppo dell’insegnamento della storia negli anni.
Il concetto di "contesto" eliminerebbe il rischio opposto di
consegnare le dinamiche storiche completamente al "caso" che,
pure, tuttavia, è presente negli avvenimenti storici e non è
riducibile entro la catena delle cause e degli effetti.
Ultimo biennio scuola primaria.
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Le Indicazioni oscillano
fra due tensioni diverse: da un lato si propongono "quadri di
civiltà" concepiti come "contesto fisico, sociale, economico,
tecnologico, culturale e religioso", dall’altro si suggerisce di
"scegliere fatti, personaggi esemplari" che in tale contesto evochino
(?) "valori, eventi ed istituzioni". Confessiamo di non essere
capaci di comprendere perché le istituzioni siano state collocate
accanto a personaggi ed eventi: le istituzioni non hanno la durata dei
personaggi e degli eventi e sono da connettere con la struttura generale
del quadro di civiltà; se vanno ritenute "la realizzazione
peculiare di una particolare struttura sociale, l’ordito entro cui si
tesse la trama dei rapporti sociali" come afferma Gabriella
Rossetti, Istituzioni e società nella storia d’Italia. Forme di
potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, il Mulino, 1977,
p. 9, e come la storiografia per lo più ritiene, allora esse vanno
comprese nei "quadri di civiltà". Ci si interroga poi sul
senso dei termini "esemplare" "evocare"
"valori" che sembrano indicare non un approccio conoscitivo
storico ma piuttosto un uso della storia come apologo. Tra i
"valori" e le "istituzioni" delle civiltà antiche
sarà consentito mettere anche la schiavitù, magari a proposito del
"rapporto ‘io e gli altri’ di cui si parla negli obiettivi di
abilità, oppure non se ne dovrà parlare? E quali sono i
"personaggi esemplari" nei vari contesti? Cornelia o i suoi
figli? E come si potrà evitare la sovrapposizione fra
"mito", "leggenda" e "racconto storico" se
si introduce il termine "evocare"? E quale relazione
avranno tali "racconti esemplari" con i "quadri di
civiltà" di cui si parla?
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Ci permettiamo una
citazione dalle nostre osservazioni contenute nel libro indicato all’inizio,
a cura del Forum delle Associazioni disciplinari: "E’ questo
uno dei casi in cui la struttura epistemologica della disciplina, per
come si configura oggi, è in forte contrasto con l’impianto
pedagogico delle "Indicazioni". Il passato esplicita la sua
lezione per il presente non "attraverso l’universalità dei
personaggi creati dall’arte (poetica, letteraria, cinematografica,
musicale …), che hanno contribuito ad arricchire l’umanità di
senso e di valore" ma attraverso la consapevolezza che, oggi
come ieri. La storia è una serie di vicende collettive, in cui tutti
i soggetti, in qualunque collocazione, hanno un ruolo, e il valore
delle loro scelte, nel campo di possibilità dato, decide la sorte del
vivere civile. Questo punto di vista ottiene l’effetto di far
comprendere che nessuno può ritenersi escluso dalla storia, e dunque
ne porta, in misura anche piccola, la responsabilità. La prima
affermazione, se non la si intende come la riproposizione, che sarebbe
davvero grave, dei "medaglioni dei personaggi illustri" di
un lontano passato pedagogico, potrebbe appartenere ad una visione
hegeliana della storia ("lo spirito del mondo a cavallo").
La seconda, che include nella storia tutti, può ricondursi ad una
moralità di tipo kantiano, che fonda la responsabilità nella
coscienza" (pag. 45).
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Il prospetto cronologico
degli apprendimenti è un elenco condotto secondo la struttura
linguistica "da…a", prefigurando un continuum temporale
che non concorda con l’indicazione "quadri storici di
civiltà". Queste,
infatti, suggeriscono una struttura cronologica "a maglie
larghe" e non la semplice successione degli eventi, che può
essere trasmessa solo con una narrazione veloce, che trascuri un’esplorazione
del mondo antico sotto molteplici aspetti. Occorre
consentire alle classi di soffermarsi su alcuni elementi che abbiano
attirato l’interesse, e la voglia di andare più a fondo, da parte
degli stessi bambini, invece di affannare i docenti nella rincorsa di programmi
che nulla hanno di "personalizzato" e di
"riformato".
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Quanto ai contenuti, non
comprendiamo la distinzione tra "grandi civiltà dell’Antico
oriente" e "civiltà fenicia e giudaica" comprese nel
passaggio successivo, insieme alle popolazioni italiche. Se la
distinzione è tra "grandi civiltà" –
"civiltà" – "popolazioni", ciò non solo è
contro ogni senso scientifico che esclude livelli valutativi
aprioristici tra le "civiltà", ma rende incomprensibile il
testo. Tra le "popolazioni" italiche non daremo la
qualifica di "civiltà" agli Etruschi, ai Sanniti, ad
esempio, considerato anche il loro apporto alla civiltà romana, qui
definita "classica" (un’altra spia linguistica di
giudizi di valore non storici)? Se la distinzione è geografica, l’indicazione
genera problemi ancora più intricati. Se i Fenici furono presenti
nel territorio dell’odierna Italia (come i Greci, d’altronde),
anche se solo nelle isole, la "civiltà giudaica" va
collocata indubitabilmente in Oriente, se vogliamo usare tale
indicatore astronomico. Sarebbe, però, meglio citare le aree
geografiche proprie: Africa, Asia, Europa, suggerendo un percorso di
area storico-geografica e non per discipline distinte. Nasce, però,
il problema che, nello stesso periodo, per la Geografia si propone l’osservazione
della sola realtà italiana. Così,
mentre la storia presenta il mondo, la geografia si muove su scala
nazionale. Ciò non ha senso e si impone una scelta: o si limita la
storia alla penisola, oppure la geografia deve, in parallelo con la
storia, affrontare un obiettivo di costruzione delle grandi
coordinate, con le necessarie mediazioni didattiche.
Scuola secondaria di primo grado
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Il primo OSA indicato per la
prima media è: Utilizzare termini specifici del linguaggio disciplinare.
Dopo poche righe incontriamo un problema di tipo linguistico specifico.
Infatti dove si dice: Distinguere tra svolgimento storico, microstorie e
storie settoriali o tematiche, si afferma una cosa che può essere
giustificata solo da un errore materiale. Lo svolgimento storico, in
quanto tale, riguarda tutto ciò che viene studiato nel suo collocarsi nel
tempo, quindi appartiene anche a microstorie, storie settoriali ecc.
-
In diversi punti gli OSA
insistono sul tema delle "radici". Questa parola non
appartiene alla storia, ma è metafora letteraria o politica. La
storiografia conosce sia gli elementi di continuità (o di "lunga
durata") che partecipano con un loro ritmo lento allo sviluppo delle
realtà nel tempo, sia i "luoghi fondativi della memoria" che
strutturano le scelte identitarie dei gruppi umani, sia le tracce del passato
nel presente. Non prevede realtà immobili, ma misura i ritmi e la qualità
delle trasformazioni entro quadri di riferimento mentali o materiali che nel
tempo assumono funzioni diverse, a contatto con il mutare delle situazioni. In
questo senso è improprio immaginare la realtà contemporanea come
"riproduzione genetica" del passato. Se il passato è una radice, la
storia è una pianta, che non è capace di muoversi e può solo orientarsi
verso il sole, secondo la sua natura vegetale. Dove finirebbero la libertà e
la capacità di scelta degli uomini e delle donne? Per tale motivo, non si
può chiedere agli allievi di "scoprire specifiche radici storiche
medievali e moderne nella realtà locale e regionale" quando forse
si intende far scoprire le tracce, le permanenze dell’età medioevale
e moderna entro il contesto attuale, pur diverso. D’altra parte, i "luoghi
fondativi della memoria" sono tali perché riconosciuti come portatori di
valori che il presente sceglie e pone alla sua base: è operazione legata al
presente (ai vari presenti che rappresentano la continuità storica),
dunque, e non radice aggrappata all’humus dell’umanità che nutrirebbe,
condizionandolo, il futuro.
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"La civiltà
europea dopo il Mille e l’unificazione culturale e religiosa dell’Europa:
le radici di una identità comune pur nella diversità dei diversi
sistemi politici". A parte la curiosa locuzione "diversità
dei diversi" (sarebbe auspicabile che tali documenti
rispettassero la lingua italiana), non si capisce il senso di tale
periodizzazione. Dopo il Mille, esattamente nel 1054, ci fu lo
scisma della Chiesa ortodossa da quella latina, con una frattura
di carattere religioso che avrà i suoi effetti anche nel sistema
politico e culturale. Di quale Europa si parla? L’unificazione
religiosa dell’Europa nell’ambito del Cristianesimo è un processo
plurisecolare e tendenziale, comunque fronteggiato dalla presenza di
altre religioni, non estranee alla formazione della civiltà europea
(si pensi alla Spagna degli Omayyadi, ad esempio). Quanto alla
"diversità dei sistemi politici" andrebbe, con maggiore
correttezza, segnalata la formazione degli stati nazionali, che è
uno dei lasciti medioevali che hanno caratterizzato, fino ai nostri
giorni, l’Europa e che l’Europa ha esportato nel mondo.
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"L’apertura
dell’Europa ad un sistema mondiale di relazioni: la scoperta dell’"altro"
e le sue conseguenze". La formulazione di tale OSA risente
di una visione marcatamente eurocentrica, formulata con un
inaccettabile eufemismo. La conquista degli spazi transoceanici fu un
atroce genocidio che colpisce ancora la coscienza europea. Per
dirla con Todorov, fu "la civiltà del massacro" che
prevalse sulle "civiltà del sacrificio" distruggendo
culture ed annientando, avendolo "scoperto", "l’altro".
Gli eufemismi fanno un pessimo servizio alla verità storica, al senso
storico ed anche, dal punto di vista dell’Educazione alla
cittadinanza, a quell’"Etica del genere umano" che
Edgar Morin pone tra i Sette saperi necessari all’educazione del
futuro (Cortina editore, 2001) la cui lettura non traspare in
nessun punto delle Indicazioni.
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"La crisi dell’unità
religiosa e la destabilizzazione del rapporto sociale". L’OSA
in questo punto è reticente, mostrando ancora una volta l’impianto
ideologico che pervade tutto il documento. L’unità religiosa di
cui si parla è l’unità cattolica, non quella cristiana (già
scissa). Ma, essendo plurime le religioni di cui si parla nella
storia, andrebbero sempre specificate, in modo da non generare l’idea
che esista un’unica religione, relegando le altre nell’angolo buio
di non-religioni (che cosa sono l’islamismo, il giudaismo e la
chiesa ortodossa, solo per parlare di quelle presenti in Europa?)
Quanto al "rapporto sociale" (al singolare?) ed alla sua
destabilizzazione, non si comprende a che cosa si possa riferire tale
obiettivo. La dizione in negativo, inoltre, non rende giustizia
dell’affermarsi nell’età moderna – da vedere in positivo come
ciò che nasce accanto a ciò che finisce – di nuovi ceti borghesi,
di forme diverse nelle strutture degli Stati, dello sviluppo
cittadino, di transizioni profonde dell’economia e di nuovi
equilibri europei. Non si tratta di imporre tutti questi temi alle
scuole, ma di formulare le Indicazioni in modo da rendere
comprensibili i nodi storiografici essenziali intorno a cui i docenti
calibreranno le loro Unità di Apprendimento. Rispettando la storia,
se possibile.
-
"L’Illuminismo,
la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese". Qui c’è
una falla incomprensibile: manca la Rivoluzione industriale.
Inutile soffermarsi sulla gravità di tale omissione, che non consente
di comprendere la differenza sostanziale tra la contemporaneità e la
realtà storica precedente. Senza di ciò come si può chiedere
che la Scuola Secondaria di 1° grado aiuti "lo studente ad
acquisire una immagine sempre più chiara ed approfondita della
realtà sociale, a riconoscere le attività tecniche con cui l’uomo
provvede alla propria sopravvivenza e trasforma le proprie condizioni
di vita, a comprendere il rapporto che intercorre fra le vicende
storiche ed economiche, le strutture istituzionali e politiche, le
aggregazioni sociali e la vita e le decisioni del singolo"?
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Per la terza classe
della Secondaria di primo grado, l’obiettivo "lo stato
nazionale italiano e il rapporto con le realtà regionali; il
significato di simboli quali la bandiera tricolore, gli stemmi
regionali, l’inno nazionale" dovrebbe, con maggiore
pertinenza, essere collocato nell’Educazione alla cittadinanza
poiché per la storia l’unità dello stato italiano già è compresa
nell’obiettivo precedente. A meno che con tale dizione non si voglia
recuperare sul piano affettivo, in un quadro sostanzialmente
eurocentrico, il primato dell’Italia nelle coscienze degli allievi,
recuperando attraverso enfasi e simboli il senso di un’identità
etnico-religioso-culturale della nazione. La storia per raggiungere
tale finalità non ha bisogno di un simile obiettivo: è sufficiente
la sua pur problematica verità. Ed è sufficiente lo studio della
Costituzione.
-
"L’Europa ed
il mondo degli ultimi decenni dell’Ottocento". Altra
espressione reticente: non si parla mai, in tutto il percorso della
scuola media, della colonizzazione europea del mondo né, in questo
caso, si accenna all’imperialismo – che non è termine legato
ad una particolare ideologia se pensiamo al liberale, razionalista ed
umanista Hobson, che ne fece il titolo di un suo fortunato libro –
quasi a voler nascondere una pagina complessa e sotto molti aspetti
vergognosa del passato europeo. Né si aprono spazi, in questi
obiettivi che vorrebbero mostrare una civiltà esente da macchie, per
la formazione di quell’Europa-mondo in cui si sviluppò, fra
l’altro, in epoche precedenti la tratta degli schiavi e, nell’epoca
qui indicata, la guerra dell’oppio e quella dei boeri. Di
conseguenza, ci si dovrebbe aspettare fra gli OSA seguenti il tema
della decolonizzazione. Come
si potrebbe capire, altrimenti, il travaglio attuale del mondo ed i
difficili rapporti fra Nord e Sud del pianeta?
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Altro tema non indicato,
ma indispensabile per la comprensione dell’età contemporanea, è la
Rivoluzione russa, con le sue conseguenze e la politica dei
blocchi nel mondo bipolare, senza cui non si comprenderebbe
quel "crollo del comunismo", che pur viene richiesto,
e molti aspetti della realtà di oggi.
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Sarebbe necessario, ad
aprire l’età attuale e ad esplicitare i "valori"
su cui possono basarsi le speranze in un nuovo corso del mondo, un
riferimento puntuale all’affermazione dei diritti dell’uomo. La
Dichiarazione dell’ONU del 1948 dà il senso della reale svolta
nella concezione dei rapporti tra gli uomini e le donne, gli stati,
gli organismi nazionali e sopranazionali. Il lento cammino della
storia e le vicende di quest’ultimo tratto della storia
contemporanea vanno misurati e valutati nel confronto con i diritti
proclamati e condivisi a livello mondiale, compresi quelli che
riguardano il genere femminile.
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Fissando all’"integrazione
europea" il limite cronologico del percorso di storia, si
fa un passo indietro rispetto ai programmi del 1960, che prescrivevano
di giungere "fino ai nostri giorni". Con tale
limitazione, come si potrebbe chiedere che gli alunni e le alunne
usino "il passato per rendere comprensibile il presente"
e comprendano "che domande poste dal presente al futuro
trovano la loro radice nella conoscenza del passato"? Come
potrebbe essere possibile "di un quotidiano o di un
telegiornale comprendere le notizie principali, utilizzando i nessi
storici fondamentali necessari per inquadrarle o sapendo dove andare a
reperirli"?
Infine, se l’approccio
alle varie discipline deve avere un carattere olistico, come
si può conciliare la lista degli argomenti storici ed i tagli
interpretativi delle Indicazioni con l’Educazione alla cittadinanza se
non ci si propone di cogliere nella storia molti aspetti che rendono il
mondo attuale, con tutte le sue difficoltà, frutto di numerose
"radici" ed aperto a prospettive diverse? La cittadinanza
viene ricondotta da un lato all’ambito di regole date e di strutture
definite, dall’altro al terreno dei comportamenti astrattamente
solidali e delle buone maniere. In parallelo con le carenze già
riscontrate nel prospetto degli OSA di storia, non si fa menzione di
memorie individuali e collettive che possono anche essere in conflitto,
così come nell’Educazione apposita non ci si rapporta al fondamento
relazionale della cittadinanza. Non si fa riferimento alla faticosa
elaborazione dei patti costituzionali e delle carte dei diritti, né si
pongono in rapporto le uguaglianze (art. 3 della Costituzione) e le
differenze, rapporto che costituisce la sostanza di quella civiltà a
cui si fa continuo riferimento. Nel paragrafo La diversità delle
persone e delle culture come ricchezza la diversità viene intesa
come disagio, emarginazione, handicap da "affrontare
e superare con autonomia di giudizio, rispetto nei confronti delle
persone e delle culture coinvolte, impegno e generosità personale".
Non si affaccia l’idea che la diversità è il dono di tutte le
individualità, e che l’uguaglianza sarebbe sterile ed astratta se non
riconoscesse quell’unicum che ogni persona rappresenta. E,
di conseguenza, non si cita mai il genere, né ciò che la storia
delle donne e quella di genere hanno prodotto sul piano storiografico, l’attenzione
alla pluralità dei soggetti e dei vissuti, al rapporto
cambiamento/persistenze, alla costruzione sociale della differenza
sessuale e al suo ruolo nell’organizzazione stessa delle società,
nelle istituzioni civili e religiose, nel diritto, nel simbolico, sul
piano materiale. Senza tali attenzioni, come si può effettuare l’indicazione
per la Scuola Primaria secondo cui si dovrebbe "insegnare a
tutti i fanciulli l’alfabeto dell’integrazione affettiva della
personalità" e porre "le basi per una immagine
realistica, ma positiva di sé, in grado di valorizzare come
potenzialità personale anche ciò che, in determinati contesti di vita,
può apparire e magari è un’oggettiva limitazione". Come si
può ottenere un’immagine realistica, ma positiva di sé
prescindendo dal genere? E come, in tale silenzio, si può proporre la
"corporeità come valore"? E come può la Scuola
secondaria di primo grado qualificarsi Scuola dell’educazione
integrale della persona e Scuola dell’identità "anche per
quanto concerne l’educazione all’affettività e alla
sessualità"? Il genere, la corporeità, la sessualità, l’affettività
sono realtà segnate dalla storia.

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