Osservazioni sulle "Indicazioni nazionali" per la scuola di base, disciplina "Storia"

 

A seguito della richiesta del 5 maggio 2004, giunta alle Associazioni disciplinari INSMLI e LANDIS dal Dipartimento per lo sviluppo dell’istruzione - Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, in vista dell’adozione del regolamento governativo previsto dall’art. 7 della L. 53/2003, richiesta con cui si chiedeva la segnalazione di eventuali emendamenti migliorativi, le due Associazioni ricordano che già alcune osservazioni erano state inviate e poi, anche, pubblicate nel Libro Bianco Indicazioni nazionali e profili educativi. Pareri e commenti delle associazioni disciplinari su documenti ministeriali per il primo ciclo di istruzione, edito in proprio dal Forum Associazioni Disciplinari a Bologna nel novembre del 2003 ed inviato alla Direzione generale per gli ordinamenti, come contributo alla riflessione sulla riforma.

Poiché non pare che i pareri espressi siano stati presi in considerazione, si rimanda a quanto già scritto, ed inviato alla Direzione per gli ordinamenti, a cui si aggiunge un elenco più analitico di osservazioni sugli OSA contenuti nel testo della Legge 53/2003 ed a noi di nuovo sottoposti. Tali note sono il risultato di una consultazione fra i membri dell’Insmli e del Landis componenti il Comitato paritetico (Protocollo MIUR – Insmli- Landis 17 luglio 2002), fra i membri della Commissione Formazione dell’Insmli, fra i componenti del Gruppo Landis per l’analisi della Riforma.

Aurora Delmonaco


Ulteriori osservazioni sugli Obiettivi Specifici di Apprendimento (O.S.A.). Scuola di base

Scuola primaria – classi seconda e terza

  • "La terra prima dell’uomo e le esperienze umane preistoriche: la comparsa dell’uomo, i cacciatori delle epoche glaciali, la rivoluzione neolitica e l’agricoltura, lo sviluppo dell’artigianato e primi commerci":

- il salto dal passato personale e familiare alla "storia delle origini" è fuori della portata dei bambini e delle bambine, se dobbiamo tener conto, nei processi cognitivi, dello sviluppo delle capacità di rappresentazione mentale. Impossibile in questa fascia d’età rendersi conto dei miliardi di anni della terra, dei milioni di anni degli ominidi: è già difficile affrontare concettualmente le migliaia di anni dell'homo sapiens sapiens. Per raggiungere quest’ultimo obiettivo è necessario un periodo in cui si formino le coordinate necessarie. Bisognerebbe, se l’insegnamento deve avere qualche significato, condurre i bambini e le bambine non solo a contare ben oltre il 1000 ma anche a rendersi conto delle durate temporali corrispondenti, prima di affrontare tali argomenti operando dal vicino al lontano, dall’osservazione del presente alla ricostruzione di passati sempre più profondi. In nessun caso si è formato il senso della storia con il raccontino banale della "primitività" che assume i connotati della favola e che, anche se affascina molti bambini, rende più arduo costruire il senso del passato storico. La domanda che molti maestri si sono sentita rivolgere "Ma tu c’eri nelle caverne?" è la spia di un’incapacità di dare dimensioni al tempo. Per alcuni questo errore iniziale non si corregge mai più e la storia continua ad essere un racconto di cose avvenute in un mondo che non c’è, e che non ha relazione con noi.

- Come potrebbe conciliarsi questo "salto" da un estremo all’altro della storia (il presente dei bambini ed il passato più profondo della terra) previsto negli OSA con le affermazioni de Gli obiettivi formativi fino al primo biennio: "…nel primo anno e nel primo biennio, vanno sempre esperiti a partire da problemi ed attività ricavati dall’esperienza diretta dei fanciulli. Tali problemi ed attività, per definizione, sono sempre unitarie e sintetiche, quindi mai riducibili né ad esercizi segmentati ed artificiali, né alla comprensione assicurata da singole prospettive disciplinari o da singole ‘educazioni’. Richiedono, piuttosto, sempre, la mobilitazione di sensibilità e prospettive pluri, inter e transdisciplinari, nonché il continuo richiamo all’integralità educativa. Inoltre, aspetto ancora più importante, esigono che siano sempre dotate di senso, e quindi motivanti, per chi le svolge. Sarà, allo stesso tempo, preoccupazione dei docenti far scoprire agli allievi la progressiva possibilità di aggregare i quadri concettuali a mano a mano ricavati dall’esperienza all’interno di repertori via via più formali, che aprano all’ordinamento disciplinare e interdisciplinare del sapere"? Quale possibilità c’è di aggregare i "quadri concettuali ricavati dall’esperienza" a tale approccio alla storia pensato secondo un sistema cronologico-lineare, ma non rispettoso delle indicazioni pedagogiche?

- Non appartiene alla disciplina Storia il tema della "terra prima dell’uomo", che riguarda altre scienze e che nell’insegnamento della storia può o ridursi ad un racconto di banalità o ricorrere al racconto biblico, che diverge dai risultati della scienza e che comunque andrebbe analizzato in altro comparto disciplinare; la stessa cosa dicasi per la "comparsa dell’uomo". Tale argomento dal punto di vista biologico va affidato all’insegnamento di scienze naturali, dal punto di vista culturale non è pertinente perché le scienze umane si occupano degli uomini già presenti sulla Terra, non del momento della "comparsa" del genere umano, che è problema costantemente rielaborato dal punto di vista della ricerca.

- Costruite le premesse per affrontare lo studio delle età più antiche, non appartengono tuttavia alla storia, se non attraverso complesse mediazioni critiche fuori della portata di bambini e bambine di questa età, i "miti e le leggende delle origini" che andrebbero, se intese come narrazioni, affidate alla disciplina Italiano.

- L’obiettivo generale, in questa fase, non può essere che quello di strutturare un sapere di base capace di sistemare ulteriori conoscenze.

 

  • L’abilità richiesta di "Riconoscere la differenza tra mito e racconto storico" avrebbe un senso se da un lato il "mito" fosse collocato nel suo contesto culturale e antropologico, altrimenti rientrerebbe nella categoria delle favole, e se dall’altro il "racconto storico" fosse ricondotto alla sua natura di frutto di una ricerca spesso interdisciplinare e criticamente fondata, che richiede una capacità di lettura di testi anche complessi impensabile in questa fascia d’età. Si pensi al racconto su Romolo e Remo e sulle origini di Roma, al suo rapporto con le scoperte archeologiche ed al significato antropologico che vi è connesso: non è semplicemente mito e non è racconto storico. Appare quindi molto dubbio che in queste prime fasi possa essere accolto tale obiettivo e, comunque, il discorso sul mito potrebbe porsi solo nel quadro di una didattica che procedesse per "quadri di civiltà" e non attraverso una sequenza narrativa semplificata, miniaturizzando una storia generale lineare e continua.

 

  • Il "passaggio dall'uomo preistorico all'uomo storico nelle civiltà antiche" è itinerario di tale complessità che presuppone competenze specifiche sui concetti relativi alle dinamiche storiche. L’obiettivo di costruire "quadri di civiltà" come successione di stati di cose chiede di operare per tagli sincronici e diacronici, evitando anche il perverso effetto, costantemente verificato, di generare un immaginario diffuso secondo cui i "popoli" si siano succeduti nel tempo come nel libro di storia. Il confronto tra quadri successivi di una stessa civiltà può generare domande sulle trasformazioni, ricondotte così nell’ambito delle capacità della mente bambina ma non banalizzate, perché rispondenti a bisogni reali di comprensione.

 

  • Alcune indicazioni sulle abilità sono collegate allo sviluppo cronologico degli avvenimenti invece che al processo formativo realmente possibile, mentre dovrebbe avvenire il contrario, presupponendo un percorso di accrescimento delle capacità e calibrando su di esso le conoscenze storiche accessibili. Il rischio è di propinare una lista cronologica di argomenti generando incomprensione, fraintendimenti e, talvolta, noia e rifiuto della storia. Ne segnaliamo una in particolare:

 

  •  "Individuare a livello sociale relazioni di causa e effetto e formulare ipotesi sugli effetti possibili di una causa".

    Il "livello sociale" è molto complesso e lo è altrettanto individuare il rapporto causa-effetto in storia, che è ben diverso da quello rilevabile nel mondo fisico poiché contiene il fattore umano della scelta e che, tradotto in una visione semplificata, potrebbe condurre in ultima analisi a determinismi di tipo non storico (il destino, il fato, la provvidenza ecc.). Si tratta di uno dei concetti più discussi ed esplorati in varie direzioni dagli storici, da Montesquieu in poi, che non può essere offerto a classi che si trovano all’inizio dell’apprendimento storico senza snaturarne il senso. Per riferirci al celebre scritto dello storico Edward Carr, che ha dedicato a questo tema uno dei suoi interventi in Sei Lezioni sulla Storia (Einaudi – la prima edizione è del 1961), per spiegare un avvenimento lo storico cerca di individuare le molteplici cause che lo hanno determinato "stabilendo i rapporti che le legano, e decretando eventualmente quale causa, o quale tipo di causa debba essere considerata quella decisiva, la causa delle cause". Diverso sarebbe chiedere che i bambini si interrogassero sulle "condizioni" in cui avvengono certi fenomeni, che schiudono l’idea di "contesto" indicata nelle classi successive, entro cui sarebbe poi più agevole iniziare l’analisi delle cause o, meglio, delle "concause" che possono essere origine di spiegazioni criticamente corrette. Il percorso, dunque, non può essere abbreviato, ma deve costituire un asse longitudinale su cui calibrare lo sviluppo dell’insegnamento della storia negli anni. Il concetto di "contesto" eliminerebbe il rischio opposto di consegnare le dinamiche storiche completamente al "caso" che, pure, tuttavia, è presente negli avvenimenti storici e non è riducibile entro la catena delle cause e degli effetti.

 

       Ultimo biennio scuola primaria.

 

  • Le Indicazioni oscillano fra due tensioni diverse: da un lato si propongono "quadri di civiltà" concepiti come "contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso", dall’altro si suggerisce di "scegliere fatti, personaggi esemplari" che in tale contesto evochino (?) "valori, eventi ed istituzioni". Confessiamo di non essere capaci di comprendere perché le istituzioni siano state collocate accanto a personaggi ed eventi: le istituzioni non hanno la durata dei personaggi e degli eventi e sono da connettere con la struttura generale del quadro di civiltà; se vanno ritenute "la realizzazione peculiare di una particolare struttura sociale, l’ordito entro cui si tesse la trama dei rapporti sociali" come afferma Gabriella Rossetti, Istituzioni e società nella storia d’Italia. Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, il Mulino, 1977, p. 9, e come la storiografia per lo più ritiene, allora esse vanno comprese nei "quadri di civiltà". Ci si interroga poi sul senso dei termini "esemplare" "evocare" "valori" che sembrano indicare non un approccio conoscitivo storico ma piuttosto un uso della storia come apologo. Tra i "valori" e le "istituzioni" delle civiltà antiche sarà consentito mettere anche la schiavitù, magari a proposito del "rapporto ‘io e gli altri’ di cui si parla negli obiettivi di abilità, oppure non se ne dovrà parlare? E quali sono i "personaggi esemplari" nei vari contesti? Cornelia o i suoi figli? E come si potrà evitare la sovrapposizione fra "mito", "leggenda" e "racconto storico" se si introduce il termine "evocare"? E quale relazione avranno tali "racconti esemplari" con i "quadri di civiltà" di cui si parla?

  • Ci permettiamo una citazione dalle nostre osservazioni contenute nel libro indicato all’inizio, a cura del Forum delle Associazioni disciplinari: "E’ questo uno dei casi in cui la struttura epistemologica della disciplina, per come si configura oggi, è in forte contrasto con l’impianto pedagogico delle "Indicazioni". Il passato esplicita la sua lezione per il presente non "attraverso l’universalità dei personaggi creati dall’arte (poetica, letteraria, cinematografica, musicale …), che hanno contribuito ad arricchire l’umanità di senso e di valore" ma attraverso la consapevolezza che, oggi come ieri. La storia è una serie di vicende collettive, in cui tutti i soggetti, in qualunque collocazione, hanno un ruolo, e il valore delle loro scelte, nel campo di possibilità dato, decide la sorte del vivere civile. Questo punto di vista ottiene l’effetto di far comprendere che nessuno può ritenersi escluso dalla storia, e dunque ne porta, in misura anche piccola, la responsabilità. La prima affermazione, se non la si intende come la riproposizione, che sarebbe davvero grave, dei "medaglioni dei personaggi illustri" di un lontano passato pedagogico, potrebbe appartenere ad una visione hegeliana della storia ("lo spirito del mondo a cavallo"). La seconda, che include nella storia tutti, può ricondursi ad una moralità di tipo kantiano, che fonda la responsabilità nella coscienza" (pag. 45).

 

  • Il prospetto cronologico degli apprendimenti è un elenco condotto secondo la struttura linguistica "da…a", prefigurando un continuum temporale che non concorda con l’indicazione "quadri storici di civiltà". Queste, infatti, suggeriscono una struttura cronologica "a maglie larghe" e non la semplice successione degli eventi, che può essere trasmessa solo con una narrazione veloce, che trascuri un’esplorazione del mondo antico sotto molteplici aspetti. Occorre consentire alle classi di soffermarsi su alcuni elementi che abbiano attirato l’interesse, e la voglia di andare più a fondo, da parte degli stessi bambini, invece di affannare i docenti nella rincorsa di programmi che nulla hanno di "personalizzato" e di "riformato".

 

  • Quanto ai contenuti, non comprendiamo la distinzione tra "grandi civiltà dell’Antico oriente" e "civiltà fenicia e giudaica" comprese nel passaggio successivo, insieme alle popolazioni italiche. Se la distinzione è tra "grandi civiltà" – "civiltà" – "popolazioni", ciò non solo è contro ogni senso scientifico che esclude livelli valutativi aprioristici tra le "civiltà", ma rende incomprensibile il testo. Tra le "popolazioni" italiche non daremo la qualifica di "civiltà" agli Etruschi, ai Sanniti, ad esempio, considerato anche il loro apporto alla civiltà romana, qui definita "classica" (un’altra spia linguistica di giudizi di valore non storici)? Se la distinzione è geografica, l’indicazione genera problemi ancora più intricati. Se i Fenici furono presenti nel territorio dell’odierna Italia (come i Greci, d’altronde), anche se solo nelle isole, la "civiltà giudaica" va collocata indubitabilmente in Oriente, se vogliamo usare tale indicatore astronomico. Sarebbe, però, meglio citare le aree geografiche proprie: Africa, Asia, Europa, suggerendo un percorso di area storico-geografica e non per discipline distinte. Nasce, però, il problema che, nello stesso periodo, per la Geografia si propone l’osservazione della sola realtà italiana. Così, mentre la storia presenta il mondo, la geografia si muove su scala nazionale. Ciò non ha senso e si impone una scelta: o si limita la storia alla penisola, oppure la geografia deve, in parallelo con la storia, affrontare un obiettivo di costruzione delle grandi coordinate, con le necessarie mediazioni didattiche.

 

       Scuola secondaria di primo grado

 

  • Il primo OSA indicato per la prima media è: Utilizzare termini specifici del linguaggio disciplinare. Dopo poche righe incontriamo un problema di tipo linguistico specifico. Infatti dove si dice: Distinguere tra svolgimento storico, microstorie e storie settoriali o tematiche, si afferma una cosa che può essere giustificata solo da un errore materiale. Lo svolgimento storico, in quanto tale, riguarda tutto ciò che viene studiato nel suo collocarsi nel tempo, quindi appartiene anche a microstorie, storie settoriali ecc.

  • In diversi punti gli OSA insistono sul tema delle "radici". Questa parola non appartiene alla storia, ma è metafora letteraria o politica. La storiografia conosce sia gli elementi di continuità (o di "lunga durata") che partecipano con un loro ritmo lento allo sviluppo delle realtà nel tempo, sia i "luoghi fondativi della memoria" che strutturano le scelte identitarie dei gruppi umani, sia le tracce del passato nel presente. Non prevede realtà immobili, ma misura i ritmi e la qualità delle trasformazioni entro quadri di riferimento mentali o materiali che nel tempo assumono funzioni diverse, a contatto con il mutare delle situazioni. In questo senso è improprio immaginare la realtà contemporanea come "riproduzione genetica" del passato. Se il passato è una radice, la storia è una pianta, che non è capace di muoversi e può solo orientarsi verso il sole, secondo la sua natura vegetale. Dove finirebbero la libertà e la capacità di scelta degli uomini e delle donne? Per tale motivo, non si può chiedere agli allievi di "scoprire specifiche radici storiche medievali e moderne nella realtà locale e regionale" quando forse si intende far scoprire le tracce, le permanenze dell’età medioevale e moderna entro il contesto attuale, pur diverso. D’altra parte, i "luoghi fondativi della memoria" sono tali perché riconosciuti come portatori di valori che il presente sceglie e pone alla sua base: è operazione legata al presente (ai vari presenti che rappresentano la continuità storica), dunque, e non radice aggrappata all’humus dell’umanità che nutrirebbe, condizionandolo, il futuro.

 

  • "La civiltà europea dopo il Mille e l’unificazione culturale e religiosa dell’Europa: le radici di una identità comune pur nella diversità dei diversi sistemi politici". A parte la curiosa locuzione "diversità dei diversi" (sarebbe auspicabile che tali documenti rispettassero la lingua italiana), non si capisce il senso di tale periodizzazione. Dopo il Mille, esattamente nel 1054, ci fu lo scisma della Chiesa ortodossa da quella latina, con una frattura di carattere religioso che avrà i suoi effetti anche nel sistema politico e culturale. Di quale Europa si parla? L’unificazione religiosa dell’Europa nell’ambito del Cristianesimo è un processo plurisecolare e tendenziale, comunque fronteggiato dalla presenza di altre religioni, non estranee alla formazione della civiltà europea (si pensi alla Spagna degli Omayyadi, ad esempio). Quanto alla "diversità dei sistemi politici" andrebbe, con maggiore correttezza, segnalata la formazione degli stati nazionali, che è uno dei lasciti medioevali che hanno caratterizzato, fino ai nostri giorni, l’Europa e che l’Europa ha esportato nel mondo.

 

  • "L’apertura dell’Europa ad un sistema mondiale di relazioni: la scoperta dell’"altro" e le sue conseguenze". La formulazione di tale OSA risente di una visione marcatamente eurocentrica, formulata con un inaccettabile eufemismo. La conquista degli spazi transoceanici fu un atroce genocidio che colpisce ancora la coscienza europea. Per dirla con Todorov, fu "la civiltà del massacro" che prevalse sulle "civiltà del sacrificio" distruggendo culture ed annientando, avendolo "scoperto", "l’altro". Gli eufemismi fanno un pessimo servizio alla verità storica, al senso storico ed anche, dal punto di vista dell’Educazione alla cittadinanza, a quell’"Etica del genere umano" che Edgar Morin pone tra i Sette saperi necessari all’educazione del futuro (Cortina editore, 2001) la cui lettura non traspare in nessun punto delle Indicazioni.

 

  • "La crisi dell’unità religiosa e la destabilizzazione del rapporto sociale". L’OSA in questo punto è reticente, mostrando ancora una volta l’impianto ideologico che pervade tutto il documento. L’unità religiosa di cui si parla è l’unità cattolica, non quella cristiana (già scissa). Ma, essendo plurime le religioni di cui si parla nella storia, andrebbero sempre specificate, in modo da non generare l’idea che esista un’unica religione, relegando le altre nell’angolo buio di non-religioni (che cosa sono l’islamismo, il giudaismo e la chiesa ortodossa, solo per parlare di quelle presenti in Europa?) Quanto al "rapporto sociale" (al singolare?) ed alla sua destabilizzazione, non si comprende a che cosa si possa riferire tale obiettivo. La dizione in negativo, inoltre, non rende giustizia dell’affermarsi nell’età moderna – da vedere in positivo come ciò che nasce accanto a ciò che finisce – di nuovi ceti borghesi, di forme diverse nelle strutture degli Stati, dello sviluppo cittadino, di transizioni profonde dell’economia e di nuovi equilibri europei. Non si tratta di imporre tutti questi temi alle scuole, ma di formulare le Indicazioni in modo da rendere comprensibili i nodi storiografici essenziali intorno a cui i docenti calibreranno le loro Unità di Apprendimento. Rispettando la storia, se possibile.

 

  • "L’Illuminismo, la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese". Qui c’è una falla incomprensibile: manca la Rivoluzione industriale. Inutile soffermarsi sulla gravità di tale omissione, che non consente di comprendere la differenza sostanziale tra la contemporaneità e la realtà storica precedente. Senza di ciò come si può chiedere che la Scuola Secondaria di 1° grado aiuti "lo studente ad acquisire una immagine sempre più chiara ed approfondita della realtà sociale, a riconoscere le attività tecniche con cui l’uomo provvede alla propria sopravvivenza e trasforma le proprie condizioni di vita, a comprendere il rapporto che intercorre fra le vicende storiche ed economiche, le strutture istituzionali e politiche, le aggregazioni sociali e la vita e le decisioni del singolo"?

 

  • Per la terza classe della Secondaria di primo grado, l’obiettivo "lo stato nazionale italiano e il rapporto con le realtà regionali; il significato di simboli quali la bandiera tricolore, gli stemmi regionali, l’inno nazionale" dovrebbe, con maggiore pertinenza, essere collocato nell’Educazione alla cittadinanza poiché per la storia l’unità dello stato italiano già è compresa nell’obiettivo precedente. A meno che con tale dizione non si voglia recuperare sul piano affettivo, in un quadro sostanzialmente eurocentrico, il primato dell’Italia nelle coscienze degli allievi, recuperando attraverso enfasi e simboli il senso di un’identità etnico-religioso-culturale della nazione. La storia per raggiungere tale finalità non ha bisogno di un simile obiettivo: è sufficiente la sua pur problematica verità. Ed è sufficiente lo studio della Costituzione.

 

  • "L’Europa ed il mondo degli ultimi decenni dell’Ottocento". Altra espressione reticente: non si parla mai, in tutto il percorso della scuola media, della colonizzazione europea del mondo né, in questo caso, si accenna all’imperialismo – che non è termine legato ad una particolare ideologia se pensiamo al liberale, razionalista ed umanista Hobson, che ne fece il titolo di un suo fortunato libro – quasi a voler nascondere una pagina complessa e sotto molti aspetti vergognosa del passato europeo. Né si aprono spazi, in questi obiettivi che vorrebbero mostrare una civiltà esente da macchie, per la formazione di quell’Europa-mondo in cui si sviluppò, fra l’altro, in epoche precedenti la tratta degli schiavi e, nell’epoca qui indicata, la guerra dell’oppio e quella dei boeri. Di conseguenza, ci si dovrebbe aspettare fra gli OSA seguenti il tema della decolonizzazione. Come si potrebbe capire, altrimenti, il travaglio attuale del mondo ed i difficili rapporti fra Nord e Sud del pianeta?

 

  • Altro tema non indicato, ma indispensabile per la comprensione dell’età contemporanea, è la Rivoluzione russa, con le sue conseguenze e la politica dei blocchi nel mondo bipolare, senza cui non si comprenderebbe quel "crollo del comunismo", che pur viene richiesto, e molti aspetti della realtà di oggi.

 

  • Sarebbe necessario, ad aprire l’età attuale e ad esplicitare i "valori" su cui possono basarsi le speranze in un nuovo corso del mondo, un riferimento puntuale all’affermazione dei diritti dell’uomo. La Dichiarazione dell’ONU del 1948 dà il senso della reale svolta nella concezione dei rapporti tra gli uomini e le donne, gli stati, gli organismi nazionali e sopranazionali. Il lento cammino della storia e le vicende di quest’ultimo tratto della storia contemporanea vanno misurati e valutati nel confronto con i diritti proclamati e condivisi a livello mondiale, compresi quelli che riguardano il genere femminile.

 

  • Fissando all’"integrazione europea" il limite cronologico del percorso di storia, si fa un passo indietro rispetto ai programmi del 1960, che prescrivevano di giungere "fino ai nostri giorni". Con tale limitazione, come si potrebbe chiedere che gli alunni e le alunne usino "il passato per rendere comprensibile il presente" e comprendano "che domande poste dal presente al futuro trovano la loro radice nella conoscenza del passato"? Come potrebbe essere possibile "di un quotidiano o di un telegiornale comprendere le notizie principali, utilizzando i nessi storici fondamentali necessari per inquadrarle o sapendo dove andare a reperirli"?

 

  • Infine, se l’approccio alle varie discipline deve avere un carattere olistico, come si può conciliare la lista degli argomenti storici ed i tagli interpretativi delle Indicazioni con l’Educazione alla cittadinanza se non ci si propone di cogliere nella storia molti aspetti che rendono il mondo attuale, con tutte le sue difficoltà, frutto di numerose "radici" ed aperto a prospettive diverse? La cittadinanza viene ricondotta da un lato all’ambito di regole date e di strutture definite, dall’altro al terreno dei comportamenti astrattamente solidali e delle buone maniere. In parallelo con le carenze già riscontrate nel prospetto degli OSA di storia, non si fa menzione di memorie individuali e collettive che possono anche essere in conflitto, così come nell’Educazione apposita non ci si rapporta al fondamento relazionale della cittadinanza. Non si fa riferimento alla faticosa elaborazione dei patti costituzionali e delle carte dei diritti, né si pongono in rapporto le uguaglianze (art. 3 della Costituzione) e le differenze, rapporto che costituisce la sostanza di quella civiltà a cui si fa continuo riferimento. Nel paragrafo La diversità delle persone e delle culture come ricchezza la diversità viene intesa come disagio, emarginazione, handicap da "affrontare e superare con autonomia di giudizio, rispetto nei confronti delle persone e delle culture coinvolte, impegno e generosità personale". Non si affaccia l’idea che la diversità è il dono di tutte le individualità, e che l’uguaglianza sarebbe sterile ed astratta se non riconoscesse quell’unicum che ogni persona rappresenta. E, di conseguenza, non si cita mai il genere, né ciò che la storia delle donne e quella di genere hanno prodotto sul piano storiografico, l’attenzione alla pluralità dei soggetti e dei vissuti, al rapporto cambiamento/persistenze, alla costruzione sociale della differenza sessuale e al suo ruolo nell’organizzazione stessa delle società, nelle istituzioni civili e religiose, nel diritto, nel simbolico, sul piano materiale. Senza tali attenzioni, come si può effettuare l’indicazione per la Scuola Primaria secondo cui si dovrebbe "insegnare a tutti i fanciulli l’alfabeto dell’integrazione affettiva della personalità" e porre "le basi per una immagine realistica, ma positiva di sé, in grado di valorizzare come potenzialità personale anche ciò che, in determinati contesti di vita, può apparire e magari è un’oggettiva limitazione". Come si può ottenere un’immagine realistica, ma positiva di sé prescindendo dal genere? E come, in tale silenzio, si può proporre la "corporeità come valore"? E come può la Scuola secondaria di primo grado qualificarsi Scuola dell’educazione integrale della persona e Scuola dell’identità "anche per quanto concerne l’educazione all’affettività e alla sessualità"? Il genere, la corporeità, la sessualità, l’affettività sono realtà segnate dalla storia.