Intervista a Raffaele Mantegazza
a cura di Antonino Criscione

      

D.: Quale valutazione si sente di dare sull'esperienza della Scuola di Specializzazione all'Insegnamento, con particolare riferimento alla Specializzazione per l'insegnamento della Storia?

R.: Cominciamo col dire che io e gli altri colleghi di Scienze dell'Educazione vediamo tutti gli specializzandi SILSIS, facendo anche molta fatica a distinguere ......credo che il discorso sia molto più generale, magari differenziando, questo sì, quelli che afferiscono all'area umanistica da quelli che afferiscono all'area scientifica. Posso dire della mia esperienza di grande difficoltà nel far passare, più in generale, tra gli specializzandi l'idea dell'approccio storico come fondamentale, a livello espistemologico, nel rapporto con le discipline. La storia viene concepita come una disciplina che interessa soltanto gli specializzandi in quell'ambito specifico, ma non come un sapere trasversale, una possibilità di attivazione di altri saperi. Ogni volta io propongo una curvatura storica delle Scienze dell'Educazione, non nel senso di fare Storia della Pedagogia, ma se vuoi in una prospettiva più genetica. Questa cosa viene accolta con interesse, però si fa molta fatica a mostrare come non esistano saperi che non debbano essere declinati storicamente, che non debbano avere una consapevolezza della loro origine. Questa difficoltà è molto forte nell'area scientifica, dove gli specializzandi mi restituiscono ancora un'idea del sapere "oggettivo" e di una scienza che non ha una storia, come se le conoscenze scientifiche non avessero una storia. Sul versante invece degli specializzandi dell'area umanistica la storia è considerata una disciplina importante che rimane però molto spesso come la sorella minore. Non mi pare che ci sia piena consapevolezza della sua trasversalità...

D.: ...eppure questo in qualche modo confligge con l'impostazione prevalente nei programmi della scuola secondaria superiore, dove si fa Storia della Letteratura, Storia della Filosofia. Mi sembra che qui venga fuori un paradosso nell'attuale configurazione delle discipline nella scuola italiana....

R.: .....però non si fa Storia della Fisica, Storia della Chimica, Storia della Matematica. Quando leggo che la cultura italiana è di impronta storicistica mi meraviglio, perché non lo è assolutamente nell'ambito scientifico. Il contrario avviene nell'ambito umanistico, dove si fa solo Storia della Filosofia, Storia della Letteratura, senza invece dare agli studenti uno sguardo epistemologico su che cosa vuol dire fare filosofia, fare letteratura, fare storia. Le competenze al livello di una epistemologia della ricerca storica sono scarsamente diffuse, e questo è molto faticoso da recuperare.

E poi bisogna riconoscere che c'è un'ignoranza notevole dei fatti storici essenziali, tipo "25 aprile 1945", tra gli specializzandi e cioè tra gente che ha una laurea, che da un lato è sconcertante dall'altro è giustificata col dire "ma io insegno Matematica", "che importanza ha per me, insegnante di Fisica, sapere queste cose ?". Il grosso problema che abbiamo incontrato è stato questo: da un lato noi dell'area pedagogica ci siamo detti: "È inutile che andiamo a fargli la lezione disciplinare. In una Scuola di specializzazione puntiamo più in alto, puntiamo a una metariflessione sui saperi che sono già presenti nel bagaglio culturale degli specializzandi"; dall'altro ci siamo resi conto che molti di questi saperi non erano presenti... Quindi, mentre molti di questi specializzandi, i più preparati, i più motivati, consideravano inutile una ripetizione delle lezioni disciplinari, io mi sono reso conto che in altri casi mancava il vocabolario di base per capire quello che dicevamo. E questo è un grosso problema anche per il futuro di queste Scuole di Specializzazione. Che cosa fanno? Rifanno le lezioni disciplinari? Fanno la didattica delle singole discipline? Oppure attivano il sapere pedagogico come sapere trasversale, e allora danno anche un riconoscimento diverso allo statuto delle discipline pedagogiche? Se si deve formare il futuro insegnante le discipline pedagogiche devono avere un valore trasversale e diverso dai saperi disciplinari. Il confronto con i disciplinaristi è stato anche duro su questi punti...

D.: Può riprendere schematicamente i temi principali di questo confronto?

R.: Il problema è uno solo, però è grosso, ed è quello dell'identità dell'insegnante. Chi è l'insegnante? A quale figura professionale noi stiamo pensando? Le possibilità sono due: o si dice che l'insegnante è un esperto nelle discipline che insegna, che eventualmente ha qualche competenza di didattica della disciplina, oppure si dice che l'insegnante è un esperto di processi di apprendimento, è colui o colei che organizza eventi che ingenerano apprendimento, e allora ciò vuol dire che dopo la laurea costui, che deve avere già competenze disciplinari, fa un percorso soprattutto legato a che cosa vuol dire "creare apprendimento", quindi Psicologia dell'età evolutiva da un lato, dall'altro lato Discipline pedagogiche, organizzazione del setting di apprendimento, Storia della Pedagogia nel senso di storia di cosa abbia voluto dire "imparare" nel Novecento, di quali eventi hanno marcato l'avventura dell'educazione. È questo il grande dilemma. A me sembra che si stia scegliendo nettamente il primo corno del dilemma, il primo versante. La domanda che noi abbiamo posto, e che continueremo a porre è: "Per insegnare Fisica e Matematica alle scuole medie occorre fare quattro anni di Università più tre anni di specializzazione?". Uno esce da Fisica e la competenza generale la deve avere, se è laureato, e poi non sa che cos'è una classe, non sa come gestire i rapporti con i ragazzi di 13 anni. Forse è questo il sapere che andrebbe attivato. Questo è il grande scontro che è in atto.

D.: Un altro punto sul quale può essere interessante approfondire la discussione riguarda il Tirocinio, per il quale è previsto un pacchetto consistente di ore per gli specializzandi. Qui si tratta del rapporto con la scuola reale e non con la scuola immaginata.

R.: Io non ho seguito personalmente la questione del Tirocinio, ho dei rimandi di una grossa difficoltà anche per il numero di studenti... che però poi si riduce perché molti di questi, essendo già nella scuola come insegnanti precari, si vedono riconosciute delle ore....Quello che io ho potuto vedere è che forse manca una restituzione delle attività di tirocinio. A noi, in quanto Scienze dell'Educazione, interesserebbe che le persone ci dicessero come hanno retto la situazione formativa nella quale sono stati inseriti. Quindi è importante che loro ci sappiano indicare una lettura pedagogica e formativa di quello che hanno fatto. Questo viene fatto in alcuni momenti, per esempio nell'esame finale, ma forse andrebbe presidiato con più forza. I rapporti con le scuole sono tutto sommato positivi, forse le scuole dovrebbero "utilizzare", in senso buono, questi specializzandi come degli "sguardi esterni" sulla loro organizzazione didattica, che mettono a nudo, come tutti gli sguardi esterni, anche quello che non va, però serve che la scuola si guardi un po' meglio... Per noi il grosso problema è il numero, quest'anno abbiamo circa 1.100 iscritti....

D.: Questo aumento degli iscritti a che cosa è dovuto?

R.: Lo attribuisco alla confusione immonda che a livello ministeriale si fa sul futuro dell'abilitazione. Durante il primo anno della Scuola di specializzazione, due anni fa, sono uscite cinque diverse indicazioni di parte ministeriale sul carattere abilitante o meno del corso, durante il corso... Questa gente era disperata, ci fermava nei corridoi chiedendoci: "Ma questo è un corso abilitante o no?" e noi imbarazzatissimi a rispondere... Una cosa invereconda. Per molti studenti o ex studenti, anche molto brillanti, che noi abbiamo questa è un'opportunità, ma il problema è che non c'è molta chiarezza sul dopo. Noi non ci aspettavamo un aumento degli iscritti di tali proporzioni, siamo rimasti molto colpiti e tutto questo ci ha creato non pochi problemi di tipo strutturale (trovare le aule, etc.).

D.: Si ha l'impressione di un processo di assestamento abbastanza lento e complesso di questa nuova realtà, che d'altro canto non è una novità improvvisa, perché di un ruolo dell'Università nella formazione iniziale degli insegnanti si parla e si discute da tempo. Certamente sullo sfondo sta il problema del rapporto tra scuola e Università, due realtà tra le quali non sembra ci siano molti contatti o rapporti. Lei pensa che questa scommessa si possa giocare o no?

R.: Penso di sì, però... le faccio un esempio: in questa Scuola di Specializzazione vengono persone adulte, e questa Scuola mette queste persone in una condizione analoga a quella dello studente universitario (vai a lezione, prendi appunti, hai un libretto, vai a fare l'esame, etc.). È una cosa francamente sconcertante! Con tutte le ricerche fatte anche nella nostra Facoltà sulla formazione, riattivare anche per gli adulti un modello universitario io lo trovo umiliante. Questa gente è arrabbiata e io li capisco, perché probabilmente potremmo studiare percorsi diversi, più flessibili, anche per piccoli gruppi, e modalità di registrazione delle valutazioni che eliminino quanto di burocratico rimanda al mondo universitario. Noi li mettiamo in una condizione di minorità. Quello che secondo me è fondamentale, se noi vogliamo far passare il messaggio che questi corsi sono di alta specializzazione, è che dobbiamo avere fantasia.... Noi, fin da quando non eravamo ancora Facoltà, siamo tutti abituati ad usare metodi attivi... però per usare questi metodi la gente la devi avere in cerchio e non in un'aula a gradoni, perché lì con mille persone non posso fare teatro, non posso fare simulazioni. E questo ci blocca, è una sofferenza che tutti i colleghi sentono... soprattutto perché alla fine io vado a dire agli insegnanti che non devono usare il modello trasmissivo e lo faccio in modo trasmissivo. Mi sento contraddittorio e frustrato a livello professionale.

D.: Un altro tema importante mi pare sia quello della figura del Supervisore e cioè dell'insegnante al quale l'ordinamento di queste Scuole di Specializzazione assegna un ruolo particolare...

R.: Io non ho seguito personalmente questo aspetto, ma dalla collega che lo segue ho dei buoni riscontri. Questi insegnanti, probabilmente perché si sono visti riconoscere un ruolo, hanno lavorato molto bene, anche con molto sacrificio personale, e hanno ottenuto dei buoni risultati instaurando un modello un po' diverso di relazione formativa, di relazione educativa. Io penso che noi dobbiamo sempre di più andare in questa direzione di flessibilizzazione dei percorsi, di creazione di piccoli gruppi. È vero che c'è il problema del numero, però nelle varie discipline gli specializzandi sono pochi. Noi li abbiamo tutti e quindi abbiamo bisogno di risorse a cominciare dalle aule, perché l'Università esplode. Io penso che una ideale Scuola di Specializzazione all'Insegnamento dovrebbe prevedere un momento iniziale di grande gruppo, di presentazione istituzionale, e poi immediatamente dei momenti con gruppi medi e con piccoli gruppi al loro interno. Noi quest'anno avevamo pensato di farlo, ma è diventato impossibile per la mancanza di risorse. Un'altra idea che ci era venuta era che ogni docente prendesse un gruppo e lo portasse avanti per due anni con un suo programma articolato sui due anni... sono tutte cose che noi abbiamo in mente... se avessimo le risorse...

D.: Mi sembra che il versante curato da Scienze dell'Educazione sia percepito come "eccessivamente" trasversale. Sono state tentate strade in grado di evitare sia la massima trasversalità sia l'eccessiva chiusura nell'ambito disciplinare?

R.: Noi abbiamo pensato ad articolare percorsi di Didattica delle discipline, che sono importanti e probabilmente verranno attivati, però siamo convinti della grande ricchezza che sta nell'avere insieme, in piccoli gruppi, i futuri insegnanti delle varie discipline. Io ho fatto la simulazione del Consiglio di classe. È importante far riflettere su che cosa vuol dire "insegnare" per l'insegnante di Matematica, l'insegnante di Italiano, etc. Questa differenziazione è un motivo di grande ricchezza. Altra cosa è invece avere dei momenti nei quali si affronta la Didattica delle discipline o degli ambiti disciplinari. Io sono sempre convinto che ad un insegnante di Matematica non fa male ascoltare gli esperti di Didattica della Storia e viceversa... La trasversalità è una ricchezza, se si hanno però le strutture e le risorse per governarla. Noi non vogliamo rinunciare alla possibilità di vedere tutti gli specializzandi, però non come accade adesso, in un modo che rischia di essere poco significativo per loro...

D.. Una questione importante mi sembra questa del rapporto tra Didattiche delle discipline e formazione in senso generale. Se non ho capito male le Didattiche sono affidate ai docenti delle specifiche discipline. Si potrebbe avere l'impressione di una scissione eccessiva...

R.. Io credo che le Didattiche delle discipline debbano essere riservate agli esperti di Didattica disciplinare e non ai Docenti delle discipline. Una cosa è lo studioso della Lingua italiana, il linguista, una cosa è lo studioso di Didattica dell'italiano. Che cosa fa sostanzialmente l'esperto di Didattica delle discipline? Studia la comunicazione educativa in relazione alla didattica della specifica disciplina, entra nella struttura epistemologica della disciplina per cercare gli agganci per una possibile relazione educativa. L'esperto di Pedagogia studia invece i "dispositivi educativi", riflette sulla relazione educativa, sul rapporto insegnante-allievo, sui conflitti cognitivi che possono nascere all'interno di un Collegio Docenti o di un Consiglio di classe al cui interno sono presenti modelli educativi diversi, sulla contrapposizione tra un modello docimologico di impronta positivistico e un modello più attento alla relazione legato all'impronta umanistica e sulla necessità di superare questa scissione in un modello educativo integrato. La Pedagogia si colloca all'interno di questa riflessione preliminare, mentre la Didattica ha dei fili forti sotterranei che la collegano ad una scelta organizzativa più ampia dell'evento "apprendimento" e del sistema scuola. La Didattica ha dunque una sua specificità ma, mentre altri colleghi tendono a vederla più autonoma, noi tendiamo a farla rientrare in un orizzonte di significato più ampio.