Breve, ma intensa, la vita delle SSIS
di Antonino Criscione

       Non si può certo dire che la breve vita delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS) sia stata tranquilla e priva di problemi o colpi di scena. Ciò è del resto coerente con un processo di istituzione durato vari anni e in alcuni momenti esposto al rischio del fallimento. Chi attribuisse tali difficoltà soltanto a inevitabili intoppi burocratici rischierebbe di fare la figura dell’ingenuo, se si considerano non soltanto i problemi derivanti dalla scarsa comunicazione tra il mondo della scuola e l’Università, ma anche i prosaici e corposi interessi legati alle tradizionali modalità di reclutamento degli insegnanti. Nel caso del concorso a cattedre non è infatti facile distinguere gli aspetti di inefficienza grottesca e di conclamata inefficacia rispetto ai fini ad esso assegnati dai suoi aspetti più propriamente criminogeni, come la recente vicenda dell’ultimo concorso ha esemplificato con geometrica evidenza. Per avere un’idea degli interessi in gioco in quest’ultimo caso non è del tutto priva di logica l'ipotesi che, dati 1.000.000 di candidati per 65.000 posti, ogni candidato abbia sborsato almeno 1.000.000 di lire per la preparazione e che quindi attorno all’evento-concorso si sia materializzata una massa monetaria di circa 1.000 miliardi di lire. Possiamo dunque immaginare che una tale massa monetaria abbia attirato l'interesse di molti soggetti più o meno qualificati, con conseguenze che in taluni casi hanno suscitato l’attenzione delle locali stazioni dei carabinieri nonché l’intervento di qualche Procura della Repubblica. Possiamo anche immaginare che, laddove le SSIS funzionassero veramente garantendo la formazione e il reclutamento dei futuri insegnanti, le masse monetarie di cui sopra non si materializzerebbero più, provocando qualche dispiacere ai potenziali accaparratori delle stesse. Non va infine dimenticato che il problema della formazione e del reclutamento degli insegnanti riguarda soltanto la scuola pubblica e non la scuola privata, dove ciò che conta è il rapporto personale tra il gestore/proprietario e l’insegnante o aspirante tale mentre il tema della formazione iniziale degli insegnanti, oltre che della loro formazione in servizio, si attenua fino a dissolversi nelle nebbie dell'arbitrio.

Una storia infinita

     La questione della laurea abilitante e della modifica delle procedure di reclutamento nella scuola pubblica ha una storia lunga, che qui non è il caso di ripercorrere, e che si intreccia con le rivendicazioni del movimento sindacale degli insegnanti. Non è un caso che la legge istitutiva delle SSIS (legge n. 341 del 19.11.90) porti la data del 1990, all’indomani di una fase di grande mobilitazione del movimento degli insegnanti. Quando poi nell’a.a. 1999-2000, a seguito del Decreto del 26 maggio 1998, si è attuato quanto prescritto dalla legge, la breve vita delle SSIS è stata terremotata dalla parallela indizione dell’ultimo concorso e dalla riforma dell’Università, che ha istituito due diversi livelli di laurea: la laurea breve (tre anni), e la laurea specialistica (cinque anni). Nel momento in cui la laurea triennale si configura come un percorso di formazione superiore separato dalla ricerca, che si sposta nel biennio di specializzazione, si pone il problema di quale debba essere il titolo richiesto per accedere alle SSIS e quindi di quale collocazione queste ultime debbano avere nella struttura delle Università.

     Nel corso dell’ultimo anno si è aperto un ampio dibattito tra coloro che sostenevano essere la laurea triennale una base formativa adeguata per il futuro insegnante e coloro che invece ritenevano necessaria a tale scopo una laurea specialistica. La prima ipotesi, sostenuta prevalentemente da docenti delle Facoltà Scientifiche, prevedeva un itinerario formativo del futuro insegnante di cinque anni (tre di Università e due di SSIS); la seconda ipotesi, sostenuta principalmente da docenti delle Facoltà Umanistiche, prevedeva un percorso inevitabilmente più lungo (cinque anni di Università e uno di Tirocinio nella scuola con il conseguente smantellamento delle SSIS). Alla fine della scorsa Legislatura, nell'aprile 2001, parve delinearsi un accordo tra queste due posizioni: per gli insegnanti della Scuola dell'infanzia laurea in Scienza della Formazione Primaria e Master annuale di perfezionamento, per un totale di quattro anni; per la Scuola di base (per gli studenti di 6-12 anni secondo il progetto di riordino dei cicli) un percorso di cinque anni (laurea in Scienze della Formazione primaria e SSIS per gli insegnanti del primo segmento; laurea disciplinare e SSIS per gli insegnanti del secondo segmento); per la scuola secondaria un percorso di sei anni (laurea triennale, un anno di corso di laurea specialistica per un totale di 60 crediti, due anni di SSIS).

    Con la vittoria della Casa delle Libertà alle elezioni del maggio 2001 e con il nuovo governo di centrodestra tutto è tornato in alto mare. La ministra Moratti ha incaricato un "Gruppo Ristretto di lavoro", coordinato dal prof. Giuseppe Bertagna, di elaborare le basi per ridisegnare le strutture della scuola italiana. Nel documento, pubblicato nel sito del Ministero dell'Istruzione il 28 novembre 2001, il "Gruppo Ristretto di lavoro" propone un'ulteriore modifica del quadro istituzionale riguardante le SSIS (vedi: Rapporto finale del Gruppo Ristretto di lavoro costituito con D.m. 18 luglio 2001, n. 672, pp. 72-81): la formazione iniziale degli insegnanti di ogni ordine e grado si sviluppa su un arco di 300 crediti universitari, alla fine di questo processo si acquisisce una laurea specialistica abilitante all'insegnamento in uno specifico grado scolastico e, per la secondaria, in una specifica classe di concorso; l'accesso alla laurea specialistica per l'insegnamento avviene tramite selezione e il numero degli ammessi dovrà, come per l'attuale meccanismo di ammissione alle SSIS, coincidere con il numero di posti effettivamente disponibili nella scuola dopo due anni; ai 300 crediti conseguiti in questo percorso vanno aggiunti 60-90 crediti di Laboratori e Tirocinio supervisionati dall'Università e praticati nella scuola nel corso dei primi due anni di esperienza professionale dell'insegnante; alla fine di questi due anni l'insegnante ottiene, previa conferma dell'Università e della scuola di appartenenza, la conferma in ruolo. Una volta superata la lieve sensazione di capogiro, che l'accavallarsi di tante e qualificate proposte è in grado di generare, si può affermare che la breve vita delle SSIS volge ormai al termine, in quanto una specifica struttura interfacoltà e interuniversitaria non avrebbe più ragione di esistere, e tutto verrebbe ricondotto nell'alveo delle singole Facoltà e delle relative lauree specialistiche per l'insegnamento. A questa conclusione arriva infatti il prof. Giovanni Vitolo dell'Università di Napoli "Federico II" in un intervento sul tema, ospitato da "Il Sole-24ore" del 2 dicembre 2001 a pagina 14 con il suggestivo titolo Idee chiare per "sfornare" i bravi docenti (al lettore attento non sfuggirà la finezza della metafora e la considerazione del lavoro degli insegnanti, assimilati a croccanti nonché seriali panini, che essa implica). 

    Se le SSIS navigano in acque torbide, cionondimeno i problemi della formazione iniziale degli insegnanti, delle procedure che regolano la loro assunzione, del rapporto tra formazione iniziale e formazione in servizio, mantengono una certa rilevanza e sono ancora lontani da una soluzione stabile e soddisfacente. Le questioni sopra indicate resterebbero aperte anche nel caso in cui diventassero operative le idee prevalenti nel governo di centrodestra, che prevedono l'assunzione degli insegnanti nella scuola pubblica secondo modalità affini a quelle in vigore attualmente nelle scuole private, con contratti di lavoro a tempo determinato e per chiamata diretta da parte degli organismi dirigenti della singola scuola (cfr. proposta di legge di Forza Italia al riguardo nella passata legislatura).

La formazione degli insegnanti di Storia

     Particolare rilievo assumono tali questioni nel caso degli insegnanti di Storia, e ad esse dedichiamo questo Dossier nel tentativo di raccogliere informazioni e giudizi su quanto è stato fatto in proposito all'interno delle SSIS in questi due anni di attività. Su questi problemi riflette da tempo con particolare attenzione la Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO), associazione che raggruppa storici e studiosi di storia contemporanea accademici e non, la quale ha dedicato alle SSIS un congruo spazio nei due numeri finora usciti del suo Annale "Il mestiere di storico": un'intera sezione del primo numero (2000) assume questo tema di riflessione con vari saggi e interventi (Paolo Pezzino, Le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario: una riforma necessaria o un passo avanti verso la liquidazione di un sistema educativo nazionale?, pp. 81-90; Claudio Crivellari, Le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario. Un lungo e faticoso cammino, pp. 91-106; Maria Elisabetta Tonizzi, Intervista a Giunio Luzzatto, pp. 107-113; Luca Curti, Le Scuole di specializzazione nell'insegnamento secondario (Ssis). Storia, problemi, prospettive, pp. 114-134); nel secondo numero (2001) trovano posto due interessanti interventi sulla formazione iniziale degli insegnanti di Storia:
- Gaetano Greco, Insegnare a insegnare la storia: appunti sull'esperienza della Ssis della Toscana, pp. 11-27, anche in: <http://sissco.iue.it/pubblicazioni/annali/annale2/greco.htm>; 
- Giorgio Cavadi, Pietro Corrao, Sull'insegnamento delle discipline storiche nella Ssis di Palermo (1999-2001), pp. 28-34, anche in: <http://sissco.iue.it/pubblicazioni/annali/annale2/cavadi.htm>.

     Da queste analisi e da questi resoconti emergono linee problematiche in alcuni casi comuni alla formazione iniziale di tutti gli insegnanti, in altri casi più specificamente connesse alla formazione degli insegnanti di Storia. Tra queste ultime vanno ricordate le osservazioni sui limiti riscontrati nella preparazione storica di base di quote consistenti di laureati che vogliono specializzarsi nell'insegnamento della Storia: "di fronte alla grave impreparazione dei nostri allievi, i corsi dell'Area 2 (l'area disciplinare) si sono trasformati in cicli di lezioni di ripasso o di primo, frettoloso assaggio di tematiche, la cui conoscenza giustamente appariva irrinunciabile ai docenti universitari [...] i corsi di quest'area disciplinare erano stati immaginati con un'altra finalità: definire l'impianto epistemologico particolare di ogni disciplina e costruire la sua specifica didattica" (Gaetano Greco, Insegnare a insegnare la storia: appunti sull'esperienza della Ssis della Toscana, cit., pg. 20). Né d'altro canto risulta che la formazione universitaria abbia stimolato una qualche riflessione metodologica in laureati "la cui preparazione risente evidentemente di una scarsa attenzione della didattica universitaria di base nei confronti degli aspetti metodologici più generali e delle caratteristiche specifiche della conoscenza storica" (Giorgio Cavadi, Pietro Corrao, Sull'insegnamento delle discipline storiche nella Ssis di Palermo (1999-2001), pag. 32). Se a ciò si aggiunge la constatazione della scarsa presenza di studi storici nel curriculum di una quota consistente degli specializzandi, si comincia ad avere un quadro abbastanza realistico della situazione che i docenti universitari e i supervisori delle Scuole di Specializzazione per insegnanti di storia hanno dovuto affrontare, cercando di coniugare la ripresa o l'integrazione delle conoscenze acquisite in ambito universitario con una riflessione sui fondamenti epistemologici dell'operazione storica e con un'offerta di specializzazione professionalizzante su tematiche, metodologie, modelli didattici operativi.