«Difendere la nostra Costituzione che in modo chiaro ed inequivocabile dichiara che l’Italia "ripudia la guerra"»

Intervista al Presidente dell’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, Senatore Oscar Luigi Scalfaro (marzo 2003).
di Alessandra Chiappano

Presidente, quale è il significato e il valore del 25 aprile oggi di fronte agli scenari di guerra che dilagano nel mondo?

Come ogni anno ritorna il 25 aprile che ci ricorda gli avvenimenti legati alla Liberazione; è un termine che riassume in sé molti elementi e posso assicurare che, per chi ha vissuto quelle ore e quelle giornate, è un termine che richiama la luce, perché quel giorno ha significato la fine della guerra, il ritorno della pace, il ritiro dell’esercito occupante. Occorre ricordare che l’esercito tedesco non si era limitato a fare una guerra convenzionale, tradizionale, ma soprattutto con le squadre delle SS aveva massacrato questa povera Italia, aveva massacrato cittadini inermi, facendo scempio di ogni concetto di umanità.

Il 25 aprile ha portato con sé dunque un augurio di resurrezione, un annuncio di gioia e di serenità a venire. Così è stato vissuto da chi ha avuto l’avventura di vivere quei giorni in prima persona. Mi ricordo che venivo dalla periferia di Novara, in una zona che allora era di poche case e di smisurati campi e ad un tratto fui investito da un turbinio di grida di giubilo e vidi letteralmente "schizzare" (è il termine esatto!) dalle porte delle case donne, ragazzi, bambini che gridavano tutti insieme concitatamente,in preda ad una gioia incontenibile:"La guerra è finita! E’ arrivata la pace!"

L’8 settembre, la falsa speranza e la guerra di liberazione
Mi ricordo che avevo già udito quelle stesse manifestazioni di giubilo, sempre a Novara, la mia città, l’8 settembre 1943 quando il generale Badoglio aveva dato l’annuncio dell’armistizio, che sembrava davvero preludere alla fine della guerra. Ma poi non era stato così, non c’era stata nessuna liberazione, non era venuta la pace. Anzi. Era iniziata una tragedia destinata a durare venti lunghi mesi. Infatti subito dopo l’annuncio dell’armistizio, era giunta la notizia che la Quarta Armata in perfetto assetto di guerra e senza aver sparato un solo colpo, nelle zone di confine tra il Piemonte e la Francia, si era disciolta come neve al sole, da ogni parte giungevano soldati che fuggivano senza meta, quasi sempre vestiti con indumenti sporchi e laceri, ottenuti da qualcuno, soprattutto dalle donne, nel tentativo di liberarsi della divisa militare, per paura dei tedeschi, che già avevano occupato militarmente il paese. Molti allora, alcuni con consapevolezza politica, altri con l’ingenuità e il senso di avventura che contraddistingue la giovinezza, proprio nel mio Piemonte, come in altre parti del Nord Italia, hanno preso la strada della montagna, dando vita al movimento partigiano, nelle sue varie forme, iniziando una guerriglia contro i tedeschi e i fascisti che ha certamente aiutato gli Alleati, impegnati a risalire la penisola. E’ stata una lotta dura, aspra, che ha conosciuto momenti esaltanti e brucianti sconfitte, ma non c’è dubbio di chi stesse dalla parte giusta. Ci sono stati partigiani in buona fede e partigiani disonesti e questo vale anche per i repubblichini, ma la posizione degli uni era a difesa della libertà e della democrazia, gli altri combattevano invece a difesa di un progetto razzista e liberticida e questo non possiamo dimenticarlo, mai.

Dopo mesi difficili, sofferenze, lutti, stragi finalmente venne il 25 aprile ed era finita per davvero questa volta. Molti partigiani erano già scesi dai monti, altri si apprestavano a farlo, e le città pian piano respiravano aria di libertà e c’era nell’aria un grande, ampio anelito di pace unito alla voglia di ricostruire, di ricominciare, di consegnare ai giovani un mondo migliore, frutto anche della lotta di chi non c’era più a godere della pace, perché era caduto combattendo per essa. E occorreva costruire anche per loro.

Il 25 aprile oggi e la guerra
Quest’anno la rievocazione storica non cambia e identico è il significato che attribuiamo a questa ricorrenza, ma l’augurio di pace che è intrinsecamente connesso con questa ricorrenza si infrange dolorosamente di fronte alle immagini che quotidianamente la televisione ed i giornali portano nelle nostre case. Immagini di una guerra ingiusta, insulsa, che ha il sapore amaro della prepotenza.

Siamo ben consapevoli che è giusto lottare contro il terrorismo e questo noi italiani è un fenomeno che abbiamo conosciuto a fondo e dolorosamente, perché negli anni Settanta ed Ottanta questo fenomeno ha messo a dura prova la nostra democrazia. Proprio in questi giorni ricorre l’anniversario del rapimento di Moro: quello è stato uno degli episodi più tragici di quegli anni difficili, finito, come tutti certamente ricordano in tragedia, con l’uccisione di Moro da parte delle Brigate Rosse. Per quattro anni sono stato Ministro dell’Interno, quando il terrorismo sembrava invincibile, quando ogni giorno, scorrendo i giornali si apprendeva di qualcuno che era stato ucciso, ferito, rapito dai brigatisti. Ma rimango convinto che contro il terrorismo occorre avere un piano che nulla a ha a che vedere con la guerra, perché la guerra, come appare oggi chiaramente a tutti, coinvolge un popolo intero e nessuno mai potrà dimostrare che un intero popolo è interamente coinvolto negli atti di terrorismo, spesso ideati e realizzati da una minoranza. Per vincere il terrorismo occorre che i governi e gli stati si comunichino vicendevolmente ogni notizia utile, ogni indizio che possa essere utile per sgominare questo fenomeno. Occorre agire con intelligenza ed astuzia, la forza è inutile e rovinosa. Certo, bisogna predisporre intelligenti azioni di polizia, anche su scala internazionale, supportate da considerevoli forze militari, ma soprattutto è necessario studiare a fondo le cause che determinano il terrorismo, altrimenti si finisce per lottare contro le cause di un male di cui non si conoscono le origini e sembra quasi che neppure ci si sforzi di volerle conoscere.

Non dimentichiamo mai che fra le cause del terrorismo vi è certamente l’eccesso di ricchezza contrapposto allo squallore di una miseria che ferisce le persone nella loro dignità e vi è la tracotanza che nasce dal potere e dal denaro. Questo è bene non dimenticarlo mai.

Noi tutti quindi celebreremo il 25 aprile ripetendo ancora una volta in modo chiaro ed inequivocabile il nostro NO alla guerra, soprattutto il nostro NO di fronte ad una guerra che travolge le istituzioni internazionali e che ha provocato serie divisioni in seno all’Europa, divisioni e contrasti che potrebbero costituire un serio ostacolo nell’edificazione di un’Europa unita, anche da un punto di vista politico.

Celebreremo il 25 aprile assumendo l’impegno di lavorare con tutte le nostre forze, con tutta la nostra intelligenza per ripristinare la collaborazione fra i popoli e il rispetto delle norme internazionali, che sono state istituite proprio allo scopo di tutelare la pace fra i popoli.

Continueremo a difendere la nostra Costituzione che in modo chiaro ed inequivocabile dichiara che l’Italia "ripudia la guerra" e questa frase non può essere oggetto di interpretazioni postume e di comodo, che certo erano lontane dalla mente dei Costituenti. Questo principio può a buon diritto affermarlo chi ai lavori dell’Assemblea Costituente ha partecipato di persona. Ero giovane, avevo ventotto anni, ed è stata un’esperienza indimenticabile ed è per questo che penso che la Costituzione, alla quale mi lega un affetto profondo, dovrebbe essere maggiormente letta e conosciuta, soprattutto dai giovani.

Celebreremo il 25 aprile difendendo dunque quella Costituzione che è nata grazie al sacrificio, al dolore, alla morte di molti, ed è proprio questo il fondamento umano più ricco della nostra carta costituzionale.

Presidente dove si trovava esattamente il 25 aprile del 1945?

Ero magistrato a Novara. Ero stato richiamato subito dopo essermi laureato e ho servito come ufficiale in Sicilia. Poi ci fu un provvedimento grazie al quale tutti i magistrati vennero congedati perché eravamo pochi ed era quindi impossibile senza di noi esercitare la giustizia. Ero dunque tornato a casa e dall’8 settembre in poi, pur continuando a compiere il mio dovere di magistrato, mi sono tenuto in stretto contatto con le forze di liberazione per dare il mio contributo alla lotta per la libertà.