In
Italia negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda
guerra mondiale il cinema raccontò, attraverso documentari e film di fiction,
lesperienza appena conclusa della Resistenza al nazifascismo,
fornendo, allora, una propria lettura dell'evento e contribuendo, nel tempo a
riversare sulla collettività la memoria storica di una fase così
importante e controversa del passato italiano più recente. La lotta
di Liberazione era ancora in corso o era da poco terminata quando i
cineasti, del tutto immersi nelle vicende del presente, la usarono
come fonte di ispirazione, realizzando nel periodo 1945-1949 13 film
di finzione e fungendo - come ha scritto Pierre Sorlin - da
"primi cronisti dell'Italia in guerra".
Il fatto che quelle opere girate a caldo abbiano essenzialmente la
struttura di film-cronaca e raccontino la realtà nel suo svolgimento
diretto, determinerebbe, secondo alcuni studiosi, un'assenza di
prospettiva storica. È quanto ha sostenuto in particolare il critico
Aldo Viganò, che ha escluso dalla sua antologia di pellicole storiche
tutti i film del neorealismo italiano e dunque quelli sulla Resistenza
girati tra il 1945-1949 - fatta eccezione per Paisà
(1946) di Roberto Rossellini -, perché - a suo avviso - troppo
ripiegati sull'urgenza della cronaca e privi di
"quell'atteggiamento narrativo, sistematorio e oggettivante, che
concorre a definire qualsiasi esempio di cinema storico":
"In queste [quelle] opere - scrive
Aldo Viganò - c'è soprattutto il pathos
di chi vuole cambiare il presente, guardando al passato prossimo; c'è
una posizione della macchina da presa sempre troppo vicina agli
avvenimenti, per poterli anche oggettivare; c'è la descrizione di un
quotidiano che scorre inesorabile anche quando il tono si fa
eccezionalmente epico, come nel caso della morte della Magnani o della
fucilazione di Fabrizi in "Roma
città aperta" .
La scelta di Viganò di non considerare
storici quei film è alquanto discutibile. Le pellicole sulla
Resistenza realizzate nel dopoguerra - che più che mai mescolavano
documento e finzione, vicende "vere" e vicende
"ricostruite" - rappresentano un caso tipico di "storia
immediata" e cioè - come scrive Jean Lacouture - un tipo di
storiografia fondata sulla "prossimità temporale delle opere al
soggetto trattato, e la vicinanza materiale dell'autore ai fatti che
esamina".
Attraverso quei film, i registi italiani dell'epoca hanno contribuito
a loro modo alla stesura del "grande testo che la società scrive
sul suo passato prossimo o remoto" - come sostiene Gianfranco
Gori - e hanno influenzato la mentalità e l'immaginario del pubblico
al quale si rivolgevano.
Ciò è avvenuto, ad esempio, con Roberto Rossellini il quale, con Roma
città aperta (1945),
riuscì a dare una dimensione storica anche a ciò che si stava
svolgendo sotto i suoi occhi, nel presente stesso. A conferire
ulteriore storicità ai film resistenziali del dopoguerra cè,
inoltre, quella "descrizione del quotidiano" che sempre si
intreccia alla descrizione dellevento storico. La studiosa e
autrice cinematografica ungherese Yvette Biro, nel 1962, in occasione
di un convegno a Roma sul film storico italiano, aveva indicato,
infatti, la storicità del cinema nella sua capacità di
intrecciare i drammi individuali all'evoluzione dell'umanità,
rappresentando le grandi svolte storiche attraverso le azioni
quotidiane della gente semplice: la storicità - ebbe a dire Biro-
"non consiste obbligatoriamente nell'evocare i tempi passati,
nell'esprimersi 'al passato', ma piuttosto nell'esprimere questo nuovo
rapporto tra universo e individuo".
E Yvette Biro aveva chiamato "storici"- contrapponendoli
agli spettacolari colossi a soggetto biblico come La regina di Saba o Ben Hur
- proprio i due film di Roberto Rossellini sulla Resistenza, Roma
città aperta e Paisà che, riallacciandosi alla tradizione del grande romanzo
storico, ponevano al centro dell'azione eroi umili:
"Paisà
e Roma città aperta per contemporanei che siano, sono allo stesso
tempo profondamente storici, perché analizzano l'influenza reciproca
della storia sull'uomo e viceversa e presentano non solo degli uomini
insignificanti e innocenti sballottati dagli uragani della storia, ma
anche il modo in cui questa stessa gente semplice, un prete, una
ragazza intervengono - plasmando la propria vita - nel corso della
storia".
I
film resistenziali sono profondamente storici - nel senso indicato da
Yvette Biro - proprio per la loro capacità di raccontare la lotta
partigiana attraverso i destini delle persone semplici. Ciò è valido
non solo per le pellicole di Rossellini in cui l'intreccio tra la
Storia e le vicende individuali è più evidente, ma anche per le
altre opere realizzate in quel periodo. Come ha sostenuto Pietro
Pintus, daltronde, in tutto il cinema italiano del dopoguerra cè
una "presenza storica" intrinseca, in molti casi
inconsapevole: "l'immagine, da sola, - scrive il critico - nella
sua fulmineità di rappresentazione del reale, è carica di passato,
intrisa quindi di storia".
La rilevanza storica dei
film sulla Resistenza aumenta con il passare del tempo. Una distanza
di più di cinquant'anni rende automaticamente preziose quelle
pellicole, trasformandole in documenti e consentendo allo spettatore
di effettuare ciò che Guido Fink, con un'efficace espressione, ha
definito "un duplice viaggio nel passato".
Visti oggi, i film offrono la possibilità di avvicinarsi a due epoche
differenti: da un lato c'è il periodo dichiarato, il passato messo in
scena e riprodotto più o meno minuziosamente dal cinema; dall'altro,
ci sono i riferimenti temporali al momento in cui l'opera è stata
realizzata, riferimenti impliciti, non voluti dagli autori, ma
comunque riconoscibili nei volti degli attori, nelle acconciature, nei
modi di muoversi, nelle tecniche di ripresa e di montaggio. E così Roma
città aperta e Paisà,
a ogni nuova visione, ci trasportano - come ha scritto sempre Guido
Fink - "anzitutto al mondo rosselliniano degli anni 1945-47; e di
qui, con un passaggio ulteriore e non immediato, verso il 'contenuto'
di quei film".
Il "contenuto" di cui parla Guido Fink, cioè la
rappresentazione della guerra e della lotta partigiana, risulta,
tuttavia, inevitabilmente falsato da quelli che oggi, alla luce delle
conoscenze e delle interpretazioni storiografiche acquisite, appaiono
eccessi e luoghi comuni - primo fra tutti l'idea della Resistenza come
movimento di massa - ma che non sono altro che il riflesso
dell'ambiente, delle ideologie, dei valori e della mentalità
dell'Italia postbellica.
Anche i due film di Rossellini Roma città aperta e Paisà che
più di altri seppero rievocare con immediatezza ed emozione
l'esperienza della Resistenza, non si sottraggono ai condizionamenti
della società e del contesto storico-politico dell'epoca, proponendo
in alcuni casi una versione della lotta eccessivamente semplicistica.
C'è poi, ovviamente, a determinare La raffigurazione della guerra di
Liberazione sul grande schermo è poi anche il risultato, ovviamente,
del punto di vista e dell'intenzione ideologica degli autori.
Lassunto secondo il quale nessuno storico è mai puro trascrittore,
ma sovrappone sempre la propria interpretazione ai fatti narrati, è
più che mai valido per quei cineasti - primo fra tutti Rossellini -
che nel dopoguerra raccontarono la Resistenza.
Non si può essere pertanto d'accordo con Paolo Meldini quando
sostiene che "né Roma città
aperta né Paisà
propongono un'interpretazione della Resistenza", ma sono semplice
"testimonianza".
Sono dunque svariati gli
elementi che hanno contribuito a dare una certa immagine della lotta.
Siegfried Kracauer lo diceva già nel 1947: "il film non è mai
prodotto da un individuo", ma è un'opera collettiva e
socialmente influenzata, in cui passato e presente si rincorrono
continuamente e in cui si nascondono le tendenze, i modi di pensare,
l'immaginario di una società.
Si può estendere al film quanto Jacques Le Goff ha scritto per il
documento storico in generale, evidenziandone il legame con la società
che lo ha prodotto:
"Il documento non è neutro, non
deriva solo dalla scelta dello storico, egli stesso parzialmente
condizionato dalla sua epoca e dal suo ambiente; è prodotto
consciamente o inconsciamente dalle società del passato per imporre
un'immagine di questo passato non meno che per dire la "verità".
I
film analizzati mostrano più che la lotta di Liberazione in sé,
l'interpretazione che di quella esperienza appena conclusa dava il
mondo del dopoguerra. "I film - ha sostenuto Pierre Sorlin - non
[vanno] considerati come semplici finestre sull'universo; essi
costituiscono uno degli strumenti di cui una società dispone per
mettersi in scena e mostrarsi" e, proprio in quanto tali, sono
importanti documenti del loro tempo e fonti per lo storico per
scoprire e analizzare il modo in cui in un certo periodo ne veniva
socialmente pensato un altro. Marc Ferro e Pierre
Sorlin hanno compreso come il cinema sia per sua natura "messa in
scena" e come, pertanto, vada studiato e interpretato dallo
storico a partire delle sue specifiche strutture narrative e dalla sua
autonoma valenza linguistica. Solo in tal modo il film di finzione può
essere accettato come fonte per la storia del periodo in cui fu girato
- fonte "diretta" in quanto testimone di paesaggi e
comportamenti, fonte "indiretta" poiché riflesso delle
mentalità correnti e dell'immaginario collettivo - e come efficace
scrittura storica, cioè come mezzo per
rappresentare la storia, che può essere anche valido ausilio per la
divulgazione e l'insegnamento. Lo studioso si avvicina ai film
narrativi, dunque, confrontandosi - come scrive Giovanni De Luna - da
un lato, "con il presente che li ha prodotti", dall'altro,
"con il passato che essi intendono raccontare e riprodurre".
Solo considerando il documento cinematografico in tutta la sua
complessità - tenendo conto, cioè, della sua irriducibile
ambivalenza tra reale e fantastico, del legame con la sua epoca,
dell'ottica particolare degli autori e dell'involucro ideologico che
lo avvolge - "lo sposalizio tra cinema e storia" - come lo
ha definito Piero Melograni - pare possibile e oggi più che mai
realizzabile proprio percorrendo quelle due "linee"
tracciate trent'anni fa da Marc Ferro: lettura storica del film e
lettura cinematografica della storia.
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