Il significato attuale dei film sulla Resistenza 

  Le pellicole resistenziali, oltre a rappresentare una forma di storiografia e una fonte per la conoscenza dell'epoca in cui furono realizzate, assumono oggi un ulteriore significato: diventano mezzi per tenere viva la memoria storica della Resistenza. Quei film, al di là delle semplificazioni e dei limiti sottolineati, hanno comunque il merito di aver portato sullo schermo una vicenda nazionale, di aver tramandato il ricordo, seppur rielaborato e reinterpretato, della guerra partigiana. Rimane - a distanza di tempo - il forte impatto emotivo e la capacità evocativa di opere come Roma città aperta o Paisà, tanto che ci si può chiedere con Pierre Sorlin "che cosa conoscerebbe la gente, oggi, a più di cinquant'anni di distanza, della guerra e della lotta contro il nazismo se non vi fosse stato il cinema?"[27].

Il regista David Griffith, autore di Nascita di una nazione (1915) e di Intolerance (1916), nel 1920 preconizzava la progressiva sostituzione dei libri di storia con i film storici, sostenendo che "il cinema insegna in un lampo"[28]. Se le previsioni di Griffith appaiono eccessive e anche un po' ingenue, è tuttavia innegabile l'enorme potenzialità del cinema come veicolo di comunicazione storica e ausilio per la didattica. L'immediatezza delle immagini, la capacità di sintesi del linguaggio cinematografico, i meccanismi di identificazione propri della fiction, fanno del film il canale privilegiato per avvicinare soprattutto le giovani generazioni alla storia. La sostituzione del testo scritto con il film per spiegare la Resistenza è alquanto improbabile - e anzi l'integrazione tra scrittura e immagine rimane indispensabile - ma è vero, ad esempio, che "il grido della Magnani (Francesco...! Francesco!) - come ha scritto Gian Piero Brunetta - il suo furioso divincolarsi e correre dietro al camion con i prigionieri prima di cadere sotto la raffica del mitra, [...] hanno raccontato la lotta al fascismo in modo più diretto ed emblematico di migliaia di pagine e documenti storici"[29]. Come ha sostenuto Piero Melograni, in una società che visualizza tutto, anche la storia, "il mezzo cinematografico costituisce uno strumento importantissimo di divulgazione"[30], a patto ovviamente di non dimenticare la natura di documento affabulato del film e di non farne l'unica via attraverso la quale lo spettatore si appropria di un evento storico. Le immagini cinematografiche, così ricche di suggestioni e di efficacia, accompagnate ai tradizionali supporti didattici e adeguatamente mediate dagli insegnanti, possono far comprendere agli studenti come un film sia in parte testimonianza storica, ma anche allo stesso tempo esempio di come un dato fatto sia stato recepito, rielaborato, anche mistificato da un regista e dalla società dell'epoca. Pierre Sorlin, tra i primi ad aver introdotto il film nelle aule universitarie, ha sintetizzato in quattro "tappe" il percorso analitico che deve seguire a una proiezione in classe. 1) Studio della realtà filmata, ossia lettura dei frammenti di realtà che si nascondono nella finzione narrativa; 2) ricerca del mittente, ossia individuazione della "voce che s'esprime nel racconto e guida lo spettatore"; 3) analisi del modo di raccontare, ossia studio del linguaggio, degli stili - ironico, misterioso, avventuroso, horror - e dei ritmi utilizzati nel film; 4) valutazione ideologica, ossia riconoscimento del messaggio che il film propone e dell'interpretazione che fornisce di un dato avvenimento[31]. Un'osservazione così dettagliata e il ricorso a speciali filtri e a mediazioni critiche consentono di utilizzare il film storico come strumento di comprensione e di racconto oltre che come fonte, e di effettuare senza ingenuità quel famoso "viaggio nel passato" di cui parlava Guido Fink. Non a caso, Peppino Ortoleva ha definito il film una "macchina del tempo […] capace di mettere in scena il passato per mezzo del passato stesso"[32]. E l'utilizzo della "macchina del tempo" può servire se non a dare risposte, a sollecitare curiosità, se non a mostrare il passato "come realmente era", a indurre al confronto, all'approfondimento, a sempre nuovi quesiti. Partire dal film, dunque, per arrivare alla conoscenza storica.

I film sulla Resistenza girati nel dopoguerra vanno interpretati in tal senso: come mezzi attraverso i quali le generazioni per cui fascismo e Resistenza sono ormai realtà lontane, "avvenimenti appartenenti quasi ad altre ere, altre civiltà", possano essere condotte a interrogarsi sul mondo che le ha precedute[33]. Le pellicole di Roberto Rossellini, Aldo Vergano, Luigi Zampa e degli altri registi che scelsero di narrare la Resistenza possono essere un ideale punto di partenza per raccontare ai giovani cosa sono stati il fascismo, la guerra, la lotta partigiana e tutti "quei mutamenti attraverso i quali - come scrive Giuseppe Gubitosi - siamo divenuti quello che siamo"[34]. Affinché non accada mai quanto sembrava prefigurare Luciano Salce in La voglia matta del 1963 quando, all'evocazione del nome di Mussolini, faceva rispondere alla sedicenne protagonista "Chi? Il padre del pianista".



[27]Cfr. P. SORLIN, Guerra e Resistenza, cit., p. 720.

[28]Citato in G. GORI, La storia al cinema: una premessa, in G. GORI (a cura di), La storia al cinema, cit., p. 12.

[29]Cfr. G. P. BRUNETTA, Cent'anni di cinema italiano, vol. 2, Dal 1945 ai nostri giorni, Roma-Bari 1995, pp. 95-96.

[30]Cfr. P. MELOGRANI, Oltre lo spettacolo, cit., p. 67.

[31]Cfr. P. SORLIN, Storia e cinema: tra immagini e realtà, in AA.VV. La cinepresa e la storia, cit., pp. 11-16. Nel contributo citato, Pierre Sorlin adotta come esempio per la dimostrazione del suo metodo di analisi dei film, una pellicola sulla Resistenza francese realizzata nel 1945, Operazione Apfelkern di René Clement, che dal punto di vista della struttura narrativa, ha il suo equivalente più prossimo, tra i film italiani, in Paisà.

[32]Cfr. P. ORTOLEVA, Cinema e storia, cit., pp. 191-192.

[33]Cfr. G. P. BRUNETTA, Il cinema come storia, in AA.VV., La cinepresa e la storia..., cit., p. 34. Le parole tra virgolette sono di Gian Piero Brunetta.

[34]Cfr. G. GUBITOSI, Rossellini dal cinema alla storia, in «L'Italia contemporanea». Studi in onore di Paolo Alatri, II, p. 415.